Nelle settimane successive al suo insediamento, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha emanato una serie di ordini esecutivi per scardinare le leggi progressiste e, in alcuni casi, le fondamenta stesse della democrazia costituzionale. L’impressione, mentre gli ordini arrivano uno dopo l’altro, finora sono quasi novanta, è di uno stato che si autoamplifica, deciso a sconfiggere i princìpi del diritto e a testare i limiti del potere autoritario. Di fronte a ciò in tanti provano un senso di disorientamento e di terrore; ci si domanda quando, o se, finirà. Oppure c’è chi non dà peso agli ordini, sottolineando la difficoltà di metterli in atto e dicendosi certo che i tribunali, alla fine, impediranno che diventino legge. E chi, confortato dal proprio realismo (o cinismo?), proclama l’inevitabile fine della democrazia per mano dell’autoritarismo, di fatto rinunciando alla lotta. Tante associazioni hanno ceduto agli ordini non appena sono stati emanati. Alcuni si saranno arresi per paura delle conseguenze. Altri sono eccitati dalla paura che Trump ispira, schiavi del potere a cui s’inchinano. A quanto pare, non si sono fermati a domandarsi quale conseguenza potrebbe avere la loro capitolazione o a considerare che, nel diffondere e nell’applicare gli ordini, gli stavano dando forza.

L’ordine esecutivo 14168, emanato il 20 gennaio, s’intitola “Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e ripristinare la verità biologica nel governo federale”. Nel libro che ho pubblicato l’anno scorso, Chi ha paura del gender? (Laterza 2024), osservavo che la campagna contro l’“ideologia gender” ha tardato a prendere piede negli Stati Uniti. L’espressione stessa è stata coniata dal Vaticano negli anni novanta del secolo scorso. È stata diffusa in America Latina sia dalla chiesa cattolica sia dalla chiesa evangelica (contribuendo così a ricucire la frattura tra le due) e ripresa dal congresso mondiale delle famiglie, soprattutto nel 2017, alla presenza dei rappresentanti di Trump. È stato un tema incendiario nelle campagne elettorali in Costa Rica, Uganda, Corea del Sud, Taiwan, Francia, Italia, Argentina e Brasile, per ricordarne solo alcune, anche se i mezzi d’informazione non se ne sono quasi accorti. In Ungheria Viktor Orbán si è di fatto alleato con la chiesa ortodossa russa nel condannare l’ideologia gender; a sua volta, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato il suo sostegno alle critiche di J.K. Rowling nei confronti dei diritti delle persone trans, dicendo che le “libertà gender” associate all’“occidente” sono una minaccia per l’essenza spirituale e la sicurezza nazionale russe. Gli ultimi due pontefici hanno preso entrambi posizione contro l’ideologia gender: papa Francesco, nonostante il suo occasionale progressismo, ha accelerato il discorso, ribadendo che il gender è una minaccia per uomini e donne, per la civiltà, la famiglia e l’ordine naturale delle relazioni umane.

Donald Trump ha emanato una serie di ordini esecutivi per scardinare le leggi progressiste e, in alcuni casi, le fondamenta della democrazia costituzionale

Trump arriva tardi a questa festa, anche se nel 2018 ha seguito il richiamo del Vaticano alla legge naturale ordinando al dipartimento della salute e dei servizi umani di dichiarare il sesso una caratteristica “immutabile” della persona. La linea adottata dalla sua amministrazione era che i genitali e il linguaggio senza ambiguità fossero gli unici criteri da usare per determinare il sesso. L’obiettivo politico di Trump era impedire alle persone trans di ottenere protezioni ai sensi del titolo VII della legge sui diritti civili del 1968, che vieta la discriminazione in materia di occupazione sulla base del sesso. Tuttavia i nuovi criteri si sono rivelati difficili da applicare in un panorama giuridico complicato dalle differenze politiche tra gli stati.

Poco dopo, sono cominciate le udienze della causa Bostock contro contea di Clayton (la sentenza è del 2020). La corte suprema era chiamata a valutare se il trattamento discriminatorio contro le persone trans potesse essere considerato discriminazione sessuale. I nove giudici hanno deciso, sei a tre, che il titolo VII poteva essere usato per proteggere le persone trans dalla discriminazione, perché (a) il sesso assegnato a una persona alla nascita può essere diverso dal sesso che la persona assume nel tempo, ma si tratta in entrambi i casi di sesso e dovrebbero essere ugualmente tutelati dalla discriminazione sessuale; (b) essere trattati in modo diverso sulla base della percezione del proprio sesso è una forma consolidata di discriminazione sessuale. Il problema della discriminazione non riguarda il sesso di una persona, ma il modo in cui è percepito e di conseguenza trattato. È semplicemente sbagliato che un individuo sia trattato in modo ingiusto sulla base di una percezione pregiudiziale del sesso. La sentenza Bostock contro contea di Clayton, scritta dal giudice Neil Gorsuch, nominato da Trump, sembrava aver sconfitto qualsiasi tentativo di rendere permanente e immutabile il sesso assegnato alla nascita.

Non sorprende, quindi, che l’ordine esecutivo 14168 includa la necessità di correggere qualsiasi “errata applicazione” della sentenza Bostock contro contea di Clayton. In effetti, il provvedimento sposta la base della “classificazione biologica immutabile di un individuo” dai genitali ai gameti: “Per ‘femmina’ s’intende una persona appartenente, al momento del concepimento, al sesso che produce la cellula riproduttiva grande… Per ‘maschio’ s’intende una persona appartenente, al momento del concepimento, al sesso che produce la cellula riproduttiva piccola”. Perché questo cambiamento? E cosa significa che il governo può cambiare idea su ciò che è immutabile? L’immutabile è tutto sommato mutabile? L’esistenza di persone intersessuali ha da tempo creato un problema per l’assegnazione del sesso, dato che sono la prova vivente che per certi versi i genitali possono combinarsi o mescolarsi. I gameti devono essere sembrati meno problematici. Ce n’è uno più grande e uno più piccolo: facciamo che sia quella la differenza immutabile tra femmina e maschio.

Servirsi dei gameti per definire il sesso pone due problemi non da poco. Anzitutto, nessuno controlla i gameti al momento dell’assegnazione del sesso, figurarsi al momento del concepimento (quando non esistono ancora). Non sono osservabili. Usarli per l’assegnazione del sesso significa dunque affidarsi a una sua dimensione impercettibile, mentre l’osservazione rimane il modo principale in cui il sesso è assegnato. In secondo luogo, la maggior parte dei biologi concorda sul fatto che né il determinismo biologico né il riduzionismo biologico forniscono una spiegazione adeguata della determinazione e dello sviluppo del sesso. Come afferma la Society for the study of evolution in una lettera pubblicata il 5 febbraio, il “consenso scientifico” definisce il sesso negli esseri umani come un “costrutto biologico che si basa su una combinazione di cromosomi, equilibri ormonali e la conseguente espressione di gonadi, genitali esterni e caratteristiche sessuali secondarie”. Ci ricordano che “sesso e genere derivano dal reciproco influenzarsi di genetica e ambiente. Tale varietà è un tratto distintivo delle specie biologiche, esseri umani compresi”. Influenza reciproca, interazione, co-costruzione sono concetti ampiamente usati nelle scienze biologiche. E, a loro volta, le scienze biologiche hanno dato un contributo notevole alla teoria del genere: la sessuologa statunitense Anne Fausto-Sterling, per esempio, sostiene da tempo che la biologia interagisce con i processi culturali e storici producendo modi diversi di definire e vivere il genere.

Guido Scarabottolo

Il linguaggio che parla d’immutabilità appartiene più propriamente alla tradizione della legge naturale in cui i generi maschile e femminile sono stabiliti dalla volontà divina e appartengono dunque a una versione del creazionismo. Sono caratteristiche immutabili dell’umano, come ha affermato papa Francesco. Trump parla in nome della scienza, ma – nonostante la partecipazione speciale della teoria dei gameti – lo fa per ribadire con efficacia che Dio ha decretato il carattere immutabile dei due sessi e che lui, Trump, lo sta decretando un’altra volta, sia per fare eco alla parola di Dio sia per rappresentare la sua parola come divina. La dottrina religiosa non può fare da base alla ricerca scientifica o alla politica statale. Eppure è quel che succede in questo ordine esecutivo.

L’editto di Trump mira a rimuovere “l’estremismo dell’ideologia gender” dal discorso pubblico e da tutte le attività finanziate a livello federale. Lo stato dà per scontato che esista un’ideologia gender. Ma se invece quest’espressione fosse in realtà un insulto inventato per ridurre e demonizzare il lavoro complesso, produttivo, spesso rissoso, certamente indispensabile svolto dai movimenti sociali e da chi si occupa di ricerca, politica sociale e diritto? Potremmo ragionevolmente domandarci se si vogliono contrastare solo le presunte forme “estremiste” dell’ideologia gender. In tal caso, quale criterio si propone – sempre che ce ne sia uno – per distinguere l’ideologia gender estremista da una non estremista? Poiché il governo federale si oppone a un fenomeno che ritiene reale, è ragionevole pensare che debba dirci come fare a riconoscerlo e come distinguere tra le sue forme inammissibili e quelle potenzialmente ammissibili. Nelle circostanze attuali, qualsiasi riferimento al gender nei documenti che riguardano i soldi erogati dal governo, comprese le borse di studio universitarie, l’assistenza sanitaria e la tutela dei diritti civili, mette a rischio questi stanziamenti.

Se questa cosa chiamata “ideologia gender” non esiste, se è un fantasma evocato allo scopo di contrastare una serie di politiche sociali a favore di donne, bambini e persone trans, queer, non binarie e intersessuali, allora si può dire che è essa stessa “costruita”. È stata ovviamente l’affermazione che il genere è “socialmente costruito” a far infuriare in primo luogo i suoi oppositori, soprattutto quando fraintendono quella teoria pensando che una categoria sociale faccia in qualche modo esistere la cosa che nomina. Adesso, a loro volta, cercano di creare un consenso sociale attorno al fatto che l’ideologia gender non solo esiste, ma è una forza pericolosa, addirittura distruttiva.

Per rispondere alla raffica di ordini esecutivi di Trump abbiamo bisogno di forme di pedagogia pubblica che prevedano una loro lettura attenta, per meglio capire cosa stanno dicendo e facendo con il linguaggio che usano. Quali realtà cercano di creare e normalizzare? Il ritmo è stato così veloce da rendere impossibile cogliere le implicazioni di ogni ordine, anzi, barcolliamo sotto il loro attacco concentrico. Ma con un po’ di calma possiamo smontare collettivamente in pubblico ciascuno di quegli ordini e costruire gradualmente un contro-discorso.

La dichiarazione d’intenti nella sezione 1 dell’ordine esecutivo 14168, recita così:

Guido Scarabottolo

In tutto il paese gli ideologi che negano la realtà biologica del sesso hanno sempre di più usato mezzi legali e altri mezzi socialmente coercitivi per consentire agli uomini di autoidentificarsi come donne e di accedere a spazi e attività intimi e monosessuali concepiti per le donne, dai rifugi per le donne vittime di abusi domestici alle docce per le donne sul posto di lavoro. Questo è sbagliato.

Il decreto pretende di proteggere le donne contrastando l’ideologia gender, basandosi sull’argomento transesclusivo secondo cui le donne trans non sono donne o sono una minaccia per le donne, dove per donna s’intende un individuo assegnato al genere femminile alla nascita. L’accusa che il gender o le teorie del genere siano una minaccia per le donne dimentica che la questione è stata centrale nel pensiero femminista almeno a partire dal lavoro di Simone de Beauvoir alla fine degli anni quaranta del novecento. La biologia, sosteneva la scrittrice, è parte della nostra condizione individuale, ma non determina il tipo di lavoro che faremo, la persona che ameremo o il destino della nostra vita. Le persone trans si sottopongono a un intervento chirurgico o assumono ormoni, quando lo fanno, perché cercano di alterare l’anatomia: senza dubbio capiscono che c’è un’anatomia che cercano di alterare.

La dichiarazione d’intenti attribuisce un fine strumentale alle persone che, assegnate al genere maschile alla nascita, ricorrono alla transizione: non lo fanno perché sperano in una vita più vivibile, ma perché essi – intendendo solo coloro che hanno preso misure per garantire la propria identità di donne – cercano di entrare negli spazi femminili allo scopo, si presume, di far del male alle donne presenti. Questa supposizione è del tutto infondata. Esistono casi documentati in cui tali propositi erano chiaramente in atto, ma cosa ci autorizza a considerarli un modello per la transizione? Non segnaliamo i gesti efferati di singoli ebrei o musulmani per concludere che tutti gli ebrei o tutti i musulmani agiscono in quel modo. No, ci rifiutiamo di generalizzare e sospettiamo che chi generalizza ricorra a esempi particolari per ratificare e amplificare una forma di odio che già prova. Citando l’ordine esecutivo, questo è sbagliato.

Dobbiamo domandarci se questo ordine non sia un trucco messo in atto in nome del femminismo, un altro modo di strumentalizzare le donne per promuovere il potere dello stato. Questa iniziativa, infatti, danneggia senza alcun dubbio gli ideali per i quali il femminismo si è sempre battuto: il superamento delle discriminazioni e delle disuguaglianze e il rifiuto di nozioni offensive su chi è degna di essere una donna e chi invece non lo è. Il presunto intento femminista della dichiarazione è smentito dal fatto che agli uomini trans non si fa alcun cenno. E nemmeno alle persone intersessuali, che dalla nascita non rientrano esattamente in nessuna delle due categorie e che costituiscono, secondo alcune definizioni, l’1,7 per cento della popolazione statunitense, cioè più di cinque milioni di persone. Il mancato riconoscimento di queste due categorie è significativo. Ci ricorda che l’oppressione può prendere di mira una specifica comunità, come fa questa dichiarazione rivolta contro le donne trans, e può cancellare la realtà di un altro gruppo non nominandolo affatto.

L’ordine continua:

I tentativi di sradicare la realtà biologica del sesso colpiscono sostanzialmente le donne privandole della loro dignità, della loro sicurezza, del loro benessere. La cancellazione del sesso nel linguaggio e nella politica ha un impatto corrosivo non solo sulle donne, ma sulla validità dell’intero sistema statunitense. Basare la politica federale sulla verità è vitale per la ricerca scientifica, la sicurezza pubblica, la morale e la fiducia nel governo stesso.

Anche se ha come bersaglio coloro che vorrebbero “sradicare la realtà biologica del sesso”, qui l’ordine definisce anche quali sono gli interessi delle donne, cosa comporta la fiducia nel governo e cosa è in gioco. Pertanto la regolamentazione dell’assegnazione del sesso e l’eliminazione dell’esistenza giuridica trans, intersessuale e non binaria sono una questione d’interesse nazionale: è in gioco “l’intero sistema statunitense”. Va da sé che la dignità, la sicurezza e il benessere delle donne devono essere garantiti, ma se teniamo a questi princìpi, allora non ha senso garantire la dignità, la sicurezza e il benessere di un gruppo a scapito di un altro. E invece l’ordine consegna di fatto le persone trans a un’indegnità e a un’insicurezza radicali, se non all’inesistenza. Le donne – comprese le donne trans – e le persone trans, intersessuali e non binarie meritano tutte di essere libere da attacchi alla loro dignità, alla loro sicurezza e al loro benessere, non solo perché il principio si applica a tutte, ma perché queste categorie di persone si sovrappongono. Non sono sempre gruppi distinti.

L’ordine esecutivo non mira solo a difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender, ma anche a restituire la “verità biologica” al governo federale. Cosa significa per il governo cominciare a “riportare” la realtà biologica del sesso “al” governo? Significa imporre un ordine vincolante sulla biologia del sesso: ci saranno due sessi e solo due, e ciascuno rimarrà immutabilmente com’è stato assegnato all’origine. Se quella verità è “assegnata al governo”, allora la verità biologica diventa qualsiasi cosa affermi il governo, alla faccia della biologia dello sviluppo o della ricerca sulla determinazione del sesso in antropologia, neurologia, endocrinologia o qualsiasi altro campo. La teoria dei gameti ha vinto, o almeno così dice il governo.

Trump ha emanato l’ordine esecutivo 14168 il primo giorno del suo secondo mandato. Nove giorni dopo ha firmato l’ordine esecutivo 14188, “Misure aggiuntive per combattere l’antisemitismo”, che richiama l’attenzione sull’“ondata senza precedenti di vile discriminazione antisemita, vandalismo e violenza contro i nostri cittadini, soprattutto nelle nostre scuole e nei nostri campus”. L’ordine s’impegna a “perseguire, rimuovere o altrimenti chiamare a dar conto i responsabili”. L’8 marzo Mahmoud Khalil, residente permanente negli Stati Uniti che l’anno scorso ha partecipato alle proteste contro la guerra di Israele a Gaza, è stato arrestato. Trump ha postato online che “questo è il primo arresto di molti a venire”. Può sembrare che prendere di mira chi protesta a sostegno della libertà della Palestina non abbia niente a che vedere con le obiezioni all’ideologia gender e ai tentativi del governo di privare le persone trans dei loro diritti. Ma il collegamento appare appena si osserva chi, o cosa, è raffigurato come una minaccia per la società. Le istituzioni educative e le organizzazioni non profit, in particolare quelle progressiste, rischiano di perdere i loro sgravi fiscali federali se collaborano a progetti sulla Palestina o se non espellono gli studenti che partecipano a proteste spontanee o “non autorizzate”. Se questa diventerà la politica ufficiale, le istituzioni o le organizzazioni che finanziano lavori critici nei confronti dello stato di Israele (o, più precisamente, lavori che potrebbero essere interpretati come critici) saranno considerate antisemite e sostenitrici del terrorismo. Se finanziano lavori sul razzismo e sul genere, non saranno semplicemente woke, ma saranno considerate ostili all’ordine sociale che oggi definisce gli Stati Uniti: in altre parole, una minaccia per la nazione.

Quale sarebbe la natura dell’ordine ripristinato se l’amministrazione Trump avesse successo? Nessun finanziamento per la ricerca o l’istruzione senza il rispetto delle richieste autoritarie; nessuna esenzione fiscale per le organizzazioni non profit; nessun posto nel paese per i migranti o gli studenti stranieri che osano affermare i propri diritti; nessuna assistenza sanitaria per i giovani trans. I movimenti nazionalisti di destra, quando incitano all’odio contro i migranti e le persone trans, chiedono la difesa delle culture nazionali fondate sulla supremazia della bianchezza e della famiglia eteronormativa. I regimi autoritari hanno fatto sempre più spesso ricorso alla paura del genere per distogliere l’attenzione dall’instabilità economica, ecologica e sociale. Le argomentazioni contro l’ideologia gender sono simili a quelle usate per opporsi allo studio della “teoria postcoloniale” in Germania o della “teoria critica della razza” negli Stati Uniti. In ogni caso, una caricatura sostituisce un campo di studi complesso, mentre qualsiasi ricerca effettiva in materia viene ignorata.

Promettendo un ritorno a un passato immaginario, gli autoritari alimentano una furiosa nostalgia in chi non ha un modo migliore per capire cosa sta davvero minacciando la sua idea di un futuro stabile e significativo. Lo ritroviamo nel discorso dell’Afd in Germania, di Fratelli d’Italia, dei sostenitori di Jair Bolsonaro in Brasile, di Trump, di Orbán e di Putin. Però osserviamo l’animosità anti-gender anche tra i centristi che sperano di reclutare il sostegno della destra per rimanere al potere. Quando la diversità, l’equità e l’inclusione diventano “minacce” per l’ordine sociale, la politica progressista in generale è considerata responsabile di ogni male sociale. Il risultato, come abbiamo visto negli ultimi anni, può essere che il sostegno popolare favorisca l’avvento di poteri autoritari che promettono di togliere i diritti alle persone più vulnerabili in nome della salvezza della nazione, dell’ordine naturale, della famiglia, della società o della civiltà stessa. Gli ideali della democrazia costituzionale e della libertà politica sono considerati superflui nel corso di queste campagne, perché la salvaguardia della nazione va anteposta a tutto il resto: è una questione di autodifesa. Qualsiasi risposta efficace al movimento anti-gender comporterà una critica delle nuove forme di autoritarismo e delle passioni che sfruttano.

È giusto difendere la politica di genere, punto per punto, da chi gli fa una guerra ignorante, ma non basterà. Abbiamo bisogno di capire meglio le paure sfruttate dagli autoritari: chi è questo “migrante”, così pericoloso da dover essere deportato; questo “palestinese” la cui morte garantisce l’ordine sociale e politico; cos’è questa nozione di gender tanto minacciosa per l’individuo, per la famiglia e per la società?

Qualunque alternativa all’autoritarismo deve affrontare queste paure basandosi sull’idea di un mondo dove ci sarebbe sicurezza per tutti coloro che ora temono di scomparire insieme alla propria comunità. Ci è immediatamente chiaro che in questo mondo immaginario, costruito collettivamente e ispirato a ideali democratici, non ci sarebbe posto per cancellazione dei diritti, politiche eliminazioniste ed espropriazioni violente. E che esso rifiuterebbe ogni forma di violenza, inclusa la violenza legale, affermando l’uguaglianza, il valore e l’interdipendenza di tutti gli esseri viventi. Un mondo pazzerello e irrealistico, senza dubbio. Ma non per questo meno necessario. ◆ mn

Judith Butler è una filosofa statunitense. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Chi ha paura del gender? (Laterza 2024). Questo articolo è uscito sul giornale letterario britannico London Review of Books con il titolo This is wrong”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1607 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati