Se mi chiedessero qual è il punto più basso della mia vita da mamma, potrei indicare un giorno preciso. Erano i primi di marzo del 2021. Nel Regno Unito era in vigore il terzo lockdown per il covid. Vivevo nel paese da più di un anno, ma essendoci arrivata pochi mesi prima dell’inizio della pandemia, mi sentivo ancora una straniera. Le mie figlie avevano due e tre anni e la più piccola stava attraversando una fase da urlatrice. Ero sopraffatta, depressa e disperatamente sola. Dovevo cambiare qualcosa. All’epoca era assolutamente vietato “mischiare le famiglie”. Ma tra le linee guida sul lockdown c’era la possibilità per i genitori di formare delle bolle con un’altra famiglia per badare ai bambini. Perciò ho scritto un messaggio in una chat di genitori a cui ero stata aggiunta, chiedendo se qualcuno fosse interessato a formare una bolla. Una coppia ha risposto alla mia offerta, e per puro caso abitavano proprio dietro l’angolo. Si erano appena trasferiti dagli Stati Uniti, come noi, e non avevano parenti o amici che potessero dargli una mano. E, come noi, avevano due bambine. Dopo una breve videochiamata abbiamo deciso di fare a turno per badare per qualche ora a settimana alle bambine.

 Col senno di poi è stato un po’ un azzardo. Non li conoscevamo bene, né avevamo parlato di quello che le bambine avrebbero fatto o mangiato mentre si trovavano a casa loro. Di certo nessuna delle due famiglie si aspettava che l’altra preparasse attività speciali, ma solo che badasse alle bambine per qualche ora.

 Non pensavo che questo patto della disperazione avrebbe superato la pandemia. Ma mi sbagliavo. Abbiamo continuato il nostro “scambio di figli” per quasi tre anni, e ci siamo allargati: adesso sono coinvolte quattro famiglie. Due sere alla settimana una famiglia prende tutti i bambini per tre ore, dando agli altri genitori la possibilità di avere una serata per sé. Pochi mesi fa, mentre mescolavo un pentolone di pasta al formaggio per sei bambini tra i due e i sette anni che mi scorrazzavano intorno, mi sono resa conto che, quasi per caso, avevo costruito qualcosa di simile al proverbiale “villaggio” di cui i genitori moderni sentono tanto la mancanza.

 Ho capito in seguito che il successo di questa impostazione così rilassata non è una coincidenza: il nostro villaggio non prospera malgrado le basse aspettative che nutriamo gli uni nei confronti degli altri, ma proprio grazie a esse. E questa consapevolezza mi ha fatto capire che l’approccio “intensivo” di un genitore sempre all’erta, diventato così dominante nel modello familiare statunitense, e anche in quello britannico, è incompatibile con la costruzione del villaggio.

Puoi voler gestire minuziosamente l’educazione dei figli sotto tutti gli aspetti: mangiare zuccheri oppure no, imporre un limite di tempo davanti agli schermi, chiedere scusa per aver sottratto il giocattolo a un altro bambino, o puoi avere una comunità affidabile che dia una mano ad accudirli. Ma non puoi avere entrambe le cose.

Sviluppare la fiducia

L’espressione “genitorialità intensiva” può far pensare a genitori ossessionati dai risultati che martellano i figli di due anni con l’alfabeto o impongono a quelli di quattro lezioni di violino. In questo caso uso il termine in senso più ampio per riassumere la tendenza di molti genitori moderni ad attribuire un’importanza smisurata a qualsiasi decisione. Riflette una visione fortemente deterministica dell’educazione dei bambini, che lascia ai genitori poco spazio per l’errore.

 Penso che fare i genitori, e farlo bene, sia molto importante. È giusto considerare con attenzione i bisogni dei bambini. Portato alle estreme conseguenze, però, un approccio intensivo può precludere l’opportunità di avere supporto dalla comunità. Se il calendario settimanale di vostro figlio è pieno zeppo di attività, sarà molto più difficile per voi e per gli aspiranti abitanti del “villaggio” trovare il tempo per aiutarvi. E, in un’accezione più profonda, esasperare l’importanza delle decisioni genitoriali presuppone un livello di controllo sull’ambiente di un bambino o di una bambina che è incompatibile con la vita del villaggio. Se vuoi fare affidamento sulla tua comunità, devi fidarti di quella che hai a disposizione. E non puoi aspettarti di esercitare lo stesso controllo che potresti avere con un accordo di custodia a pagamento. Quando assumo una baby­sitter concordiamo sul fatto che sono io a dare le regole e che la pago perché venga a casa mia e replichi il mio sistema educativo. Ma non è così che funziona la reciprocità da “villaggio”. 

Anche in questo caso c’è un aspetto utilitaristico, però la natura dell’accordo è molto diversa. Non sto assumendo le famiglie che ci stanno intorno, gli sto chiedendo di fare spazio alle mie figlie nelle loro case per una sera, con l’idea che io farò lo stesso per loro.

 Consentire a ciascuna famiglia di continuare a fare le cose a modo loro rende la situazione molto più rilassata. Un accordo di questo tipo inoltre è più consono al vero obiettivo della costruzione del villaggio: dare vita a una rete di relazioni definita da un senso di comunità. La bellezza di crescere i figli in un villaggio è che a un certo punto badare gli uni ai figli degli altri non equivale più a una serie di favori isolati, ma fa parte della quotidianità.

 Costruire un villaggio significa inevitabilmente dare fiducia. E questo vuol dire lasciarsi andare un po’ e rinunciare ai giudizi su come gli altri vivono ed educano i loro figli. Io e mio marito siamo pignoli sui “per favore” e i “grazie” e non permettiamo mai alle bambine di guardare la tv. Altre famiglie hanno le loro regole e le loro abitudini. Perché tutto questo funzioni, devo confidare nel fatto che ciascuna famiglia abbia dei metodi ragionevoli per gestire le buone maniere, il conflitto e il tempo davanti a uno schermo e che questi metodi, qualunque essi siano, non rovineranno le mie figlie.

 Ovviamente non le lascerei a chiunque. Fidarsi delle persone non significa non stabilire mai dei confini, o non chiedere mai qualche compromesso. Spesso però vuol dire accettare che altre persone gestiranno le esigenze di tuo figlio diversamente da come lo faresti tu. Allentare la presa può aiutare a scalfire la paura che ti fa pensare di dover controllare tutto e può dimostrarti che i tuoi figli si adatteranno e saranno felici anche in ambienti diversi. In altre parole, un villaggio può offrire uno dei regali più belli ai genitori: rassicurarli sul fatto che la strada per crescere figli sani ed equilibrati non è così stretta come si pensa. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1607 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati