I bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza sono stati pianificati con un database supportato dall’intelligenza artificiale (ia), il cui impiego non era mai stato reso noto, che ha identificato fino a 37mila potenziali obiettivi sulla base del loro presunto legame con Hamas. A riferirlo sono state alcune fonti di intelligence coinvolte nella guerra. Oltre ad aver parlato dell’uso del sistema di ia, chiamato Lavender, le fonti affermano che i funzionari militari israeliani hanno permesso l’uccisione di un gran numero di civili palestinesi, in particolare nelle prime settimane e nei primi mesi del conflitto. Queste testimonianze forniscono un raro spaccato delle esperienze dirette dei funzionari dell’intelligence israeliana, che hanno usato dei sistemi di apprendimento automatico per identificare i loro obiettivi nei sei mesi di conflitto.
Con l’uso di potenti sistemi di ia nella sua guerra contro Hamas, Israele è entrato nel territorio inesplorato delle guerre d’avanguardia, sollevando una serie di questioni legali e morali, e trasformando il rapporto tra personale militare e macchine. “Che io ricordi, è una cosa senza precedenti”, ha affermato un ufficiale dell’intelligence che ha usato Lavender, spiegando di avere più fiducia in un “meccanismo informatico” che in un soldato in lutto. “Tutti, me compreso, hanno perso qualcuno il 7 ottobre. La macchina agisce freddamente. E ha reso tutto più facile”. Un’altra persona che ha usato Lavender dubita che il ruolo umano nel processo di selezione dei bersagli sia rilevante. “Impiegavo venti secondi per ogni obiettivo, e ne facevo a decine ogni giorno. Non avevo valore aggiunto in quanto essere umano, servivo solo da timbro di approvazione. Ci ha fatto risparmiare molto tempo”.
La testimonianza dei sei funzionari d’intelligence, coinvolti nell’uso dei sistemi di ia per identificare gli obiettivi di Hamas e della Jihad islamica palestinese nel conflitto, è stata raccolta dal giornalista Yuval Abraham in un’inchiesta pubblicata dal sito d’informazione israelo-palestinese +972 Magazine e dalla testata in lingua ebraica Local Call. I racconti sono stati condivisi in esclusiva con il Guardian prima della pubblicazione. Tutti i funzionari hanno detto che il sistema Lavender ha svolto un ruolo fondamentale nella guerra, processando grandi quantità di dati per identificare rapidamente miliziani “minori” da colpire. Quattro delle fonti hanno affermato che, in una fase iniziale della guerra, Lavender ha fornito una lista di 37mila palestinesi che il sistema di ia aveva associato a Hamas o alla Jihad islamica.
Lavender è stato sviluppato dall’unità 8200, una divisione d’élite dell’esercito israeliano, simile alla National security agency statunitense e al Government communications headquarters britannico. Più di una fonte ha spiegato come, per alcune categorie di obiettivi, l’esercito abbia concesso un’autorizzazione preventiva stabilendo un margine di tolleranza per il numero di civili che sarebbero potuti morire in un attacco.
Flusso costante
Due fonti hanno affermato che nelle prime settimane di guerra gli era concesso di uccidere fino a 15-20 civili in un bombardamento mirato contro un miliziano di basso rango. Gli attacchi avvenivano usando munizioni non guidate note come dumb bomb (bomba stupida), che distruggono intere abitazioni uccidendone tutti gli occupanti. “Non conviene sprecare bombe costose per persone poco importanti. È molto oneroso per il paese, e ce ne sono poche”, ha detto un ufficiale dell’intelligence. Un altro ha spiegato che hanno dovuto stabilire se il “danno collaterale” di civili permetteva comunque un attacco. “Di solito infatti usavamo le dumb bomb, e questo significa letteralmente far crollare tutta la casa addosso ai suoi occupanti. Ma anche se un attacco è annullato, non importa perché passi subito ai bersagli successivi: grazie al sistema non finiscono mai. Ce ne sono altri 36mila in attesa”.
Secondo gli esperti di conflitti, se Israele ha impiegato le dumb bomb per radere al suolo le abitazioni di migliaia di palestinesi riconducibili, con l’aiuto dell’ia, ai gruppi armati di Gaza, questo spiegherebbe almeno in parte il bilancio altissimo di vittime nel conflitto. Il ministero della sanità della Striscia controllato da Hamas dichiara che negli ultimi sei mesi sono stati uccisi 33mila palestinesi. I dati delle Nazioni Unite mostrano che nel primo mese di guerra 1.340 famiglie avevano subìto più di una perdita e 312 avevano perso almeno dieci componenti.
In risposta alla pubblicazione di queste testimonianze, l’esercito israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che le sue operazioni sono state eseguite nel rispetto delle norme di proporzionalità stabilite dal diritto internazionale. Le dumb bomb, ha aggiunto, sono un “armamento standard” usato dai piloti in modo da garantire “un alto livello di precisione”. Lavender è descritto come un database usato “per incrociare i dati delle fonti d’intelligence e produrre informazioni aggiornate sui militanti delle organizzazioni terroristiche. Non è una lista di combattenti idonei a essere colpiti”.
“L’esercito non usa un sistema di intelligenza artificiale che identifica combattenti o tenta di prevedere se una persona è un terrorista”, aggiunge. “I sistemi informatici sono semplicemente strumenti per analisti nel processo di identificazione dei bersagli”.
Le maglie della rete
Nelle precedenti operazioni militari condotte dall’esercito israeliano la selezione di obiettivi umani di solito richiedeva molto più lavoro. Varie fonti, che hanno descritto al Guardian come avveniva la selezione dei bersagli nelle guerre precedenti, spiegano che la decisione di “incriminare” un individuo o identificarlo come un obiettivo legittimo doveva essere discussa e approvata da un consulente legale. Le fonti riferiscono che nelle settimane e nei mesi successivi al 7 ottobre i tempi per approvare gli attacchi contro obiettivi umani hanno subìto una drastica accelerazione. Con l’intensificarsi dei bombardamenti su Gaza i comandanti volevano un flusso costante di obiettivi. “Eravamo continuamente sotto pressione. Gridavano: ‘Dateci altri bersagli’”, ha raccontato un ufficiale dell’intelligence. “Ci dicevano: ‘Ora dobbiamo disintegrare Hamas, a qualunque costo. Bombardate tutto quello che si può’”. Per soddisfare questa richiesta, l’esercito israeliano ha fatto grande affidamento su Lavender perché generasse un database di individui con caratteristiche considerate riconducibili a un miliziano di Hamas o della Jihad islamica.
Nei resoconti pubblicati da +972 e Local Call non ci sono dettagli sul tipo specifico di dati usati per addestrare l’algoritmo di Lavender o su come il programma raggiunga le sue conclusioni. Tuttavia, le fonti hanno affermato che nelle prime settimane di guerra l’unità 8200 ha perfezionato l’algoritmo, aggiustandone i parametri di ricerca. Dopo un controllo incrociato delle sue previsioni su un campione casuale, l’unità ha concluso che Lavender aveva ottenuto un tasso di accuratezza del 90 per cento. Di conseguenza, l’esercito ne ha approvato l’uso intensivo come strumento di segnalazione dei bersagli.
Lavender ha creato un database di decine di migliaia di persone segnalate per lo più come affiliati di basso rango del braccio militare di Hamas, hanno aggiunto le fonti. È stato usato insieme a un altro sistema di supporto delle decisioni basato sull’intelligenza artificiale, chiamato Gospel, che suggerisce edifici e strutture da colpire invece di persone (rivelato da un’altra inchiesta pubblicata da +972 Magazine e Local Call e tradotta nel numero 1542 di Internazionale).
I resoconti forniscono una testimonianza diretta di come gli ufficiali dell’intelligence hanno lavorato con Lavender e di come le maglie della sua rete possano essere aggiustate. “Al culmine della sua attività il sistema è riuscito a segnalare 37mila potenziali obiettivi umani”, ha detto una delle fonti. “Ma i numeri cambiavano in continuazione, perché dipende da dove posizioni l’asticella per stabilire chi può essere considerato un militante di Hamas”. E ha aggiunto: “Ci sono stati momenti in cui la definizione era più ampia, e la macchina cominciava a proporci personale dei corpi di difesa civile e agenti di polizia, sui quali sarebbe stato un peccato sprecare bombe. Aiutano il governo di Hamas, ma non mettono davvero in pericolo i soldati israeliani”. Prima della guerra, Stati Uniti e Israele stimavano che il braccio militare di Hamas contasse tra i 25mila e i 30mila combattenti.
Le fonti riferiscono che nelle settimane successive all’attacco compiuto il 7 ottobre nel sud di Israele, in cui i miliziani di Hamas hanno ucciso quasi 1.200 israeliani e sequestrato circa 240 persone, è stato deciso di considerare come potenziali obiettivi tutti gli uomini palestinesi legati al braccio militare di Hamas, indipendentemente dal loro rango o importanza. Anche il processo di selezione dei bersagli nella fase più intensa dei bombardamenti sarebbe stato reso meno rigido. “C’è stata una politica assolutamente permissiva sulle vittime dei bombardamenti”, ha detto una fonte. “Talmente permissiva che a mio parere conteneva un elemento di vendetta”.
Un’altra fonte, che ha giustificato l’uso di Lavender per identificare obiettivi di basso livello, ha detto che “quando si tratta di miliziani minori non conviene investirci tempo e manodopera”. In guerra non c’è tempo sufficiente a “incriminare ogni obiettivo” accuratamente. “Quindi sei disposto ad accettare il margine di errore usando l’intelligenza artificiale, rischiando di fare danni collaterali e morti civili, di colpire obiettivi sbagliati, e a fartene una ragione”.
Le testimonianze pubblicate da +972 Magazine e da Local Call spiegherebbero come mai un esercito di tipo occidentale con un potenziale militare così avanzato, e armi che possono realizzare attacchi chirurgici, stia conducendo una guerra con un bilancio di vittime così alto. Quando bisognava colpire sospetti militanti di Hamas e della Jihad islamica di rango minore si preferiva che fossero in casa. “Non ci interessava ucciderli solo quando erano in un edificio militare o coinvolti in un’attività militare”, ha detto una fonte. “È molto più facile bombardare l’abitazione di una famiglia. Il sistema è fatto per individuarli in questo tipo di situazioni”. Il rischio di una strategia simile è causare un numero più alto di vittime civili. Le fonti hanno riferito che l’esercito ha preventivamente imposto dei limiti al numero di civili che era accettabile uccidere in un attacco mirato contro un singolo miliziano di Hamas. Il rapporto cambiava nel tempo e a seconda dell’importanza del bersaglio.
In base all’inchiesta, negli attacchi contro funzionari di alto rango di Hamas l’esercito israeliano ha ritenuto accettabile che fossero uccisi anche più di cento civili. “Facevamo un calcolo di quanti civili si potevano uccidere per un comandante di brigata, quanti per un comandante di battaglione, e così via”, ha detto una fonte. “C’erano delle regole, ma erano molto elastiche”, ha aggiunto un’altra. “Abbiamo ucciso centinaia di persone, forse anche migliaia. Sono cose che non erano mai accadute prima”.
A quanto pare, nelle diverse fasi della guerra ci sarebbero state oscillazioni significative nel numero di vittime collaterali tollerate dai comandanti militari. Una fonte ha riferito che il limite “andava su e giù” nel tempo e che a un certo punto era arrivato a cinque persone. Nella prima settimana di conflitto, spiega, era consentito uccidere quindici non combattenti per eliminare un miliziano di basso rango. Tuttavia la stima delle vittime civili era imprecisa, perché era impossibile sapere con certezza quante persone c’erano in un edificio.
Un altro ufficiale dell’intelligence ha affermato che più di recente la quantità di danni collaterali consentiti è stata di nuovo ridotta. Ma in una fase precedente della guerra i militari sono stati autorizzati a uccidere fino a “venti civili non coinvolti” per un singolo combattente, a prescindere dal rango, dall’importanza militare e dall’età. “Non si tratta solo di uccidere qualunque soldato di Hamas, cosa chiaramente consentita e legittima in termini di diritto internazionale”, ha osservato la fonte. “Ma loro ti dicono direttamente: ‘Hai il permesso di ucciderli insieme a tutti questi civili’. In pratica, non c’era alcun criterio di proporzionalità”.
Nel comunicato, l’esercito sostiene che le sue procedure “prevedono una valutazione individuale del vantaggio militare previsto e dei presunti danni collaterali. L’esercito non realizza attacchi quando i danni collaterali previsti sono eccessivi in rapporto al vantaggio militare”. E respinge “l’accusa secondo cui vi sia una politica che prevede l’uccisione di migliaia di persone nelle loro case”.
Dolore e vendetta
Parlando con il Guardian, alcuni esperti di diritto internazionale umanitario hanno espresso preoccupazione per il fatto che l’esercito israeliano accetti e autorizzi preventivamente una quota di danni collaterali fino a venti civili per ogni combattente, soprattutto quando si tratta di miliziani di basso livello. I militari, sottolineano gli esperti, devono valutare la proporzionalità per ogni singolo attacco.
Un esperto di diritto internazionale del dipartimento di stato statunitense afferma di non aver “mai ho sentito dire neanche lontanamente che uno a quindici è un rapporto accettabile, soprattutto quando si tratta di combattenti di basso livello. La discrezionalità è ampia, ma questo mi sembra davvero estremo”. Sarah Harrison, ex avvocata del dipartimento della difesa statunitense, oggi analista dell’International crisis group, ha dichiarato: “Ci sono alcune circostanze in cui quindici vittime civili collaterali potrebbero essere considerate proporzionate, ma altre volte certamente non lo sono. Non si può semplicemente stabilire un numero tollerabile per una categoria di bersagli e dire che in tutti i casi questo sarà legittimo e proporzionato”.
A prescindere dalla giustificazione legale o morale per la strategia di bombardamenti di Israele, sembra che alcuni dei suoi ufficiali dell’intelligence stiano cominciando a mettere in discussione il metodo stabilito dai loro comandanti. “Nessuno ha pensato a cosa fare dopo, quando la guerra sarà finita o a come sarà possibile vivere a Gaza”, ha detto una fonte. Un’altra ha raccontato che dopo il 7 ottobre l’atmosfera nell’esercito era “dolorosa e vendicativa”: “C’era una dissonanza. Da un lato le persone qui erano frustrate dal fatto che non stavamo attaccando abbastanza. Dall’altro, vedevi che a fine giornata altri mille abitanti di Gaza erano morti, per la maggior parte civili”. ◆ fdl
Il 7 aprile, a sei mesi dall’inizio della sua offensiva nella Striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha annunciato il ritiro delle truppe di terra dal sud del territorio palestinese, compresa la città di Khan Yunis. Tel Aviv non ha fornito dettagli sui motivi della decisione, ma ha detto che si sta preparando per “operazioni future”. Il giorno dopo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che è stata fissata una data per un’offensiva su Rafah, la città a ridosso della frontiera con l’Egitto dove vivono ammassate un milione e mezzo di persone, in maggioranza sfollati. Gli Stati Uniti hanno ribadito la loro opposizione all’operazione. Secondo L’Orient-Le Jour diversi analisti sostengono che il ritiro delle truppe potrebbe aprire la strada a “una terza fase della guerra”, fatta di raid mirati sulle postazioni di Hamas senza la presenza fissa dei soldati sul terreno. Subito dopo l’annuncio israeliano, centinaia di palestinesi che si erano rifugiati a Rafah sono tornati a Khan Yunis, ridotta a un cumulo di macerie, viaggiando a piedi, in auto o su carretti trainati da asini.
Intanto, proseguono al Cairo i negoziati per una tregua, con la mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti. Le posizioni sono però ancora distanti: Hamas chiede una tregua completa, il ritiro dell’esercito israeliano, il ritorno degli sfollati e un accordo per uno scambio tra ostaggi e prigionieri palestinesi. Netanyahu ha escluso la possibilità di una tregua senza il rilascio di tutti gli ostaggi. Una fonte interna ad Hamas ha fatto sapere all’agenzia France-Presse che il movimento palestinese sta esaminando una proposta che prevede, in una prima fase, un cessate il fuoco di sei settimane, la liberazione di 42 ostaggi israeliani in cambio di circa novecento palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, l’ingresso di quattrocento o cinquecento camion di aiuti umanitari al giorno e il ritorno alle loro case degli abitanti del nord della Striscia sfollati per la guerra. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati