La taiwanese Tsmc, principale produttrice mondiale di semiconduttori, ha annunciato che intende investire cento miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni. Il presidente dell’azienda, C.c. Wei, ha spiegato che il piano prevede un centro di ricerca e sviluppo, due impianti di confezionamento avanzato e tre impianti di produzione di chip. L’azienda si espanderà quindi fuori dell’Arizona, dove ha costruito tre fabbriche con 12 miliardi di dollari stanziati durante la prima amministrazione Trump, saliti a 65 miliardi durante l’era Biden grazie alle sovvenzioni previste dal Chips act. La legge, votata dal congresso statunitense nel 2022, prevede sussidi miliardari per il settore e ora il presidente Donald Trump vorrebbe revocarla perché la ritiene “un’iniziativa fallimentare che ha regalato denaro ad aziende straniere”.

La Tsmc, che ha sempre cercato di tenersi lontano dai riflettori, è stata quindi costretta a schierarsi con gli Stati Uniti nella competizione politica, economica e geostrategica tra Washington e la Cina, in parte perché il suo radicamento a Taiwan le garantisce dei vantaggi, dato che Taipei mira a mantenere il mondo impegnato in sua difesa facendo leva sulla dipendenza globale dai suoi semiconduttori. Non è chiaro se il nuovo piano d’investimenti placherà Trump, che ha accusato Taiwan di aver “rubato” al suo paese la produzione di chip e ha detto che l’isola dovrebbe pagare Washington per la sua difesa. Prima dell’annuncio del nuovo piano della Tsmc, Trump aveva minacciato di tassare i semiconduttori taiwanesi del 100 per cento, con il rischio di danneggiare anche le imprese statunitensi che li usano: la Tsmc realizza più del 90 per cento dei chip di ultima generazione e copre più del 60 per cento dell’offerta globale. Trump potrebbe però apprezzare l’idea di una fabbrica che torna negli Stati Uniti, in linea con orientamenti politici più generali.

È molto probabile quindi che una cornice più ampia in cui gli Stati Uniti emergano come vincitori nell’accordo con la Tsmc e Taiwan come la parte sconfitta possa convincere il presidente a non portare avanti la minaccia dei dazi. Inoltre il piano d’investimento può anche essere visto come il modo in cui Taiwan pagherà effettivamente Washington per la sua difesa, e pazienza se gli Stati Uniti guadagnano già vendendo armi a Taipei.

Un regalo che indebolisce

Il Kuomintang, il principale partito d’opposizione che aveva già criticato gli altri investimenti della Tsmc negli Stati Uniti, ha contestato il piano dell’azienda. In particolare, i conservatori da anni accusano il Partito progressista democratico (Dpp), al governo dal 2016, di aver “regalato” la Tsmc agli Stati Uniti, indebolendo la supremazia globale di Taiwan e, di conseguenza, la motivazione politica ed economica di altri paesi a impegnarsi nella sua difesa (per questo il 5 marzo il governo taiwanese ha specificato che la tecnologia dei chip più avanzati rimarrà sull’isola).

Segnali preoccupanti

◆ I primi segnali arrivati dal presidente statunitense Donald Trump dopo il suo insediamento preoccupano Taiwan, la cui esistenza dipende dal sostegno internazionale, e statunitense in particolare. Oltre ad aver minacciato dazi sui semiconduttori prodotti sull’isola, Trump non sembra interessato a difendere i valori democratici e i diritti civili che finora hanno garantito a Taiwan l’appoggio di Wash­ington. Inoltre la sua apertura alla Russia sull’Ucraina fa temere che possa usare Taiwan come merce di scambio in un eventuale accordo con la Cina. **The Guardian **


L’amministrazione Lai dovrà quindi da un lato convincere l’opinione pubblica taiwanese che così non si ucciderà la gallina dalle uova d’oro, e al tempo stesso convincere Trump che gli Stati Uniti sono gli unici vincitori dell’investimento della Tsmc. D’altro canto, come si è visto nell’incontro tra lui, il suo vice J.D. Vance e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per Trump raggiungere un accordo significa in primo luogo fare come dice lui. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati