Tre anni fa, con le bombe russe che piovevano dal cielo, Volodymyr Zelenskyj era in piedi fuori del palazzo presidenziale di Kiev, impegnato a registrare con il suo telefono il discorso alla nazione che lo avrebbe reso un simbolo della resistenza ucraina. In quei giorni, usando le doti perfezionate nella sua carriera di comico, il presidente ucraino è riuscito a conquistare un sostegno globale per il suo paese, alle prese con la più grande invasione in territorio europeo dalla seconda guerra mondiale. “Sul palcoscenico internazionale Zelenskyj è diventato il simbolo dell’Ucraina”, osserva Oleksandr Merežko, capo della commissione esteri del parlamento di Kiev ed esponente del partito di Zelenskyj.
Dall’inizio dell’invasione russa sono passati 1.101 giorni, e lo sforzo bellico dell’Ucraina è in stallo. Il presidente statunitense Donald Trump sta cercando di negoziare un accordo con la Russia scavalcando Kiev e manifesta apertamente il suo disprezzo per il presidente ucraino, che oggi è alle prese con la più difficile battaglia politica mai affrontata. L’obiettivo di Kiev non è più mobilitare il mondo al suo fianco, ma solo conservare l’appoggio degli alleati in una fase in cui la popolarità del suo presidente è in declino. “Come succede sempre, anche per Zelenskyj il successo non è eterno, ma diminuisce con il tempo”, dice Aleksandr Rodnjansky, produttore cinematografico ucraino e fondatore del canale tv 1+1, dove Zelenskyj ha costruito la sua carriera di comico di successo. Con il futuro del paese appeso a un filo, l’attore-presidente si trova a dover improvvisare un ruolo nuovo, perché Trump sta riscrivendo a proprio piacimento il copione della storia. “Il mondo è cambiato, i tempi sono cambiati, ma ho la sensazione che Zelenskyj non se ne sia ancora accorto”, sottolinea Rodnjansky.
Nella bolla della propaganda
Le difficoltà del presidente ucraino nel mantenere il sostegno internazionale sono apparse evidenti durante l’incontro del 12 febbraio con Scott Bessent, il segretario del tesoro statunitense inviato a Kiev da Trump. Dietro le pesanti porte dell’ufficio presidenziale di Kiev, la tensione è rapidamente arrivata a livelli di guardia, tanto che i testimoni hanno riferito di aver sentito urla provenire dall’interno dello studio. “Zelenskyj era fuori di sé”, racconta uno dei presenti.

Il motivo del litigio era la proposta con cui Washington sta chiedendo a Kiev il 50 per cento dei diritti sui minerali rari del paese come rimborso dei fondi prestati all’Ucraina in questi tre anni, cifra arbitrariamente fissata da Trump in 500 miliardi di dollari. Importanti funzionari ucraini hanno riferito al Financial Times che Bessent avrebbe preteso da Zelenskyj una firma immediata e che il presidente ucraino si sarebbe rifiutato. In seguito, comparendo davanti ai giornalisti con le mani tremanti e accanto a un Bessent evidentemente agitato, Zelenskyj ha dichiarato che Kiev avrebbe discusso la proposta nei giorni successivi con il vicepresidente J.D. Vance e altri rappresentanti del governo statunitense durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco. (L’accordo è poi stato raggiunto il 25 febbraio. Washington ha accattato di abbandonare le pretese sui 500 miliardi di dollari, ma non si è impegnata a dare a Kiev garanzie di sicurezza esplicite. Secondo le prime informazioni, i proventi confluiranno in un nuovo fondo di proprietà congiunta ucraina e statunitense, che sarà usato per investire nella ricostruzione del paese).
A Kiev c’è chi considera i recenti attacchi di Trump contro Zelenskyj come un tentativo di forzare la mano dell’Ucraina e costringere Kiev ad accettare l’accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie. Il presidente americano ha definito il suo collega ucraino “un dittatore senza elezioni” – bisogna ricordare che secondo la legge ucraina il voto non può essere organizzato finché è in vigore la legge marziale – accusandolo ingiustamente di aver provocato la guerra. E ha detto la sua anche sull’attuale popolarità di Zelenskyj, sostenendo che il gradimento del presidente ucraino è precipitato al 4 per cento. La popolarità di Zelenskyj è effettivamente calata rispetto ai picchi del 90 per cento, ma resta molto più solida di quanto creda Trump. Secondo un recente sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, un ente indipendente, il 57 per cento degli ucraini continua ad avere fiducia nel proprio leader.
Zelenskyj, che secondo i suoi collaboratori è irascibile quanto Trump e tende a reagire in modo eccessivo alle critiche, ha attaccato il presidente americano accusandolo di vivere in una “bolla di disinformazione russa”. Merežko ritiene che quello di Zelenskyj non sia stato un attacco personale, ma solo la semplice “constatazione dei fatti dal suo punto di vista”: secondo il presidente ucraino Trump riceve da alcuni suoi collaboratori “informazioni errate”, probabilmente frutto della propaganda russa. Merežko, però, aggiunge che “a volte bisogna considerare non solo quello che si vuole dire, ma anche come le proprie dichiarazioni saranno percepite o distorte dagli interlocutori”. Un ex alto funzionario del governo ucraino che ha lavorato a stretto contatto con il presidente è ancora più esplicito: “Zelenskyj ha lasciato che la sua emotività prendesse il sopravvento, un errore che commette spesso. Si è cacciato nei guai perché ha dato una risposta onesta e immediata”.

Una nuova coesione
Tra i problemi più seri dell’amministrazione ucraina sembra esserci l’assenza di comunicazioni dirette e costanti con la Casa Bianca. Mentre era in corso il turbolento incontro tra Zelenskyj e Bessent, il capo dell’ufficio del presidente ucraino Andrij Jermak ha dichiarato al Financial Times che al momento “è difficile” creare un legame solido con Washington. Jermak ha riferito di essere in contatto con il consulente per la sicurezza nazionale Mike Walt e con l’inviato speciale di Trump per l’Ucraina Keith Kellogg. Questi rapporti, però, sono ancora allo stato embrionale, ben diversi da quelli che Jermak aveva costruito con Jake Sullivan, il consulente per la sicurezza nazionale di Joe Biden. Per tre anni i due sono rimasti in contatto quasi quotidianamente. Come ha spiegato l’ex funzionario del governo con cui abbiamo parlato, “tra Zelenskyj e la squadra di Trump non c’è un vero dialogo”. D’altra parte Jermak “ha investito tutto” nei rapporti con l’ex segretario di stato di Trump, Mike Pompeo, mentre Zelenskyj ascolta soprattutto il senatore repubblicano Lindsey Graham, “la cui influenza è però sopravvalutata”.
Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, sembra che l’atteggiamento conflittuale di Trump abbia prodotto un effetto imprevisto. Anziché isolare Zelenskyj, gli attacchi del presidente americano hanno fatto di nuovo crescere la sua popolarità tra gli ucraini. Oleksandr Prokudin, capo dell’amministrazione militare regionale di Cherson, ha dichiarato al Financial Times che la retorica politica degli ultimi giorni ricorda in qualche modo quella della prima fase del conflitto. “Allora l’invasione di Putin ha unito l’Ucraina e il suo popolo”, sottolinea Prokudin. “Allo stesso modo oggi gli statunitensi stanno ricompattando la popolazione intorno al suo presidente. Trump sta facendo crescere il gradimento nei confronti di Zelenskyj”.
Prokudin non è l’unico ad aver notato un cambiamento nelle dinamiche politiche. Anche altri analisti sottolineano che i tentativi di indebolire la posizione di Zelenskyj fanno parte di una strategia più ampia per costringere Kiev ad accettare un accordo di pace sfavorevole.
Jevhenija Zakrevska, soldata e avvocata ucraina che si occupa di diritti umani, in un discusso intervento sui social network ha sostenuto che il potere di trattativa dell’Ucraina è sotto attacco. “La nostra causa viene messa in discussione con un preciso obiettivo: indebolire la nostra posizione nella trattativa e fare in modo che il nostro rappresentante firmi un accordo di pace sfavorevole, svantaggioso e devastante”, ha scritto Zakrevska, invitando gli ucraini a sostenere il loro leader e sostenendo che una dimostrazione di unità simile a quella mostrata nei primi giorni dell’invasione oggi è indispensabile per resistere alle pressioni esterne. “Per averla vinta, non devono piegare una sola persona, devono piegare tutti gli ucraini”, ha detto Zakrevska. “Ma saranno loro a farsi male”. ◆ as
© The Financial Times Limited 2025. All Rights Reserved. Il Financial Times non è responsabile dell’accuratezzae della qualità di questa traduzione.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1603 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati