Dalla finestra del suo appartamento veneziano Karuna Clayton, 35 anni, osserva una gondola sul canale e una chiesa di pietra bianca in un piccolo campo, come sono chiamate le piazze cittadine. Di solito si vede anche un flusso costante di turisti, ma in questo pomeriggio di gennaio, anche a causa della variante omicron del virus che causa il covid, la piazza è vuota.
Da nove mesi Clayton vive e lavora a Venezia con il compagno e la figlia di due anni, dopo aver fatto la _ food photographer _(fotografa di cucina) a Londra. Oltre a proseguire la sua attività di fotografa, Clayton insegna yoga e tiene corsi di autostima. “Non ho mai voluto dipendere dal luogo in cui sto”, spiega. “Prima della pandemia viaggiavo molto. Spesso lavoravo in altri paesi europei: tre settimane in Svezia, un mese qui, un altro mese lì”. Giovane, qualificata e nomade, Clayton rappresenta il tipo di persona che il nuovo progetto veneziano Venywhere sta cercando di coinvolgere.
Non c’è l’abitudine di lavorare in un bar al computer tra un caffè e uno spuntino
L’iniziativa, lanciata a dicembre del 2021 dall’università Ca’ Foscari e dalla Fondazione di Venezia, un’organizzazione per la protezione del patrimonio culturale cittadino, vuole convincere le persone che possono lavorare da qualsiasi posto a farlo a Venezia. I promotori di Venywhere credono che la città, ricca di palazzi fatiscenti e spazi poco usati, sia il laboratorio ideale per sperimentare nuovi metodi di lavoro.
Ripopolare il centro
Ispirandosi al progetto Tulsa remote work, negli Stati Uniti, e ad altre iniziative simili in tutto il mondo, Venywhere cerca di attirare giovani che vogliano vivere e lavorare in città invece di limitarsi a trascorrerci una vacanza. Anche Firenze ha lanciato un programma simile ad aprile del 2021. La speranza è che le città d’arte, dipendenti dal turismo, possano diversificare le proprie entrate e ripopolare i centri storici.
Secondo Massimo Warglien, fondatore di Venywhere e professore nel dipartimento di management dell’università Ca’ Foscari, gli effetti della pandemia sul mondo del lavoro possono essere “un modo per ripopolare la città”. Il progetto è stato pensato per chi può lavorare a distanza, ma vorrebbe coinvolgere anche aziende disposte a trasferire temporaneamente il personale nel capoluogo veneto.
A differenza di programmi simili in luoghi meno affascinanti, Venywhere non offre incentivi economici a chi si trasferisce. I nomadi digitali che desiderano stare a Venezia pagheranno un contributo una tantum per accedere a una serie di servizi: consulenti che vanno a vedere gli appartamenti al posto dell’aspirante inquilino, spiegazioni su come attivare una scheda telefonica o accedere al sistema sanitario, o su dove fare acquisti. La piattaforma aiuta i nuovi arrivati mettendo a disposizione spazi di lavoro, lezioni di lingua e strutture ricreative lontano dai percorsi turistici. In cambio la città otterrebbe un afflusso di giovani professionisti che possono ripopolare un centro storico in cui la popolazione è crollata dai 174mila abitanti degli anni cinquanta agli attuali cinquantamila. Venezia invecchia rapidamente. Gli ultimi dati demografici indicano che nel centro storico il numero dei cinquantenni è il doppio di quello dei ventenni.
**Spostamenti rapidi a piedi **
Sara Ajazi, 26 anni, responsabile progetto di Venywhere, è l’unica studente del suo corso (su trecento) ad aver scelto di vivere e lavorare a Venezia dopo essersi laureata alla Ca’ Foscari. Per i neolaureati che non aspirano a una carriera come gondolieri, guide turistiche o camerieri restare può essere una sfida.
Oliver Knick, regista teatrale tedesco, vive a Venezia e lavora a distanza da cinque anni: “Mancano i giovani di venti o trent’anni. È un peccato che tutta l’arte che viene esposta qui sia pensata altrove. A Londra o Berlino gli artisti vivono in città, dove creano ed espongono le loro opere”. Un’iniezione di lavoratori e lavoratrici a distanza può invertire questa tendenza demografica? Il progetto Venywhere scommette su un effetto domino: se le grandi aziende manderanno i loro dipendenti, l’arrivo dei professionisti potrebbe attirare nuovi investimenti e in prospettiva spingerebbe un numero maggiore di startup ad assumere i laureati della città lagunare.
Ma c’è chi sostiene che difficilmente Venezia potrebbe trasformarsi in tempi brevi in una destinazione di primo piano per i lavoratori e le lavoratrici a distanza. “Non è facile viverci”, sottolinea Riccardo Longobardi, che in passato lo ha fatto e che ha fondato su Facebook il gruppo Digital nomads in Italy. “I nomadi digitali tendono a preferire città dove possono trovare una nutrita comunità di persone come loro”.
Clayton è d’accordo con Longobardi: “Venezia non è il luogo ideale per lavorare a distanza. Gli spazi di coworking sono pochissimi e non c’è l’abitudine di stare seduti in un bar lavorando al computer tra un caffè e uno spuntino. Molti locali non offrono nemmeno il wifi”.
Risolvere i problemi di connessione è uno dei primi obiettivi di Venywhere. Tra i progetti c’è quello di creare una rete di hotspot pubblici in tutta la città.
“Vogliamo sperimentare l’idea che una città può essere un ufficio. Avremo spazi in giro per Venezia da frequentare in base alle necessità lavorative della giornata”, spiega Warglien. Ciò che rende pratico l’uso di questi spazi per lavorare è la possibilità di muoversi facilmente a piedi. “È la tipica ‘città da quindici minuti’, che qui sono venti. In questo lasso di tempo puoi arrivare ovunque”, sottolinea Warglien. Per accogliere i lavoratori, Venywhere propone di convertire i palazzi storici per ospitare le persone. Il campus di economia dell’università Ca’ Foscari, dove lavora la squadra che gestisce Venywhere, è un esempio di questo processo. È ospitato in alcuni edifici dell’ottocento in cui un tempo c’era l’ex macello comunale di San Giobbe.
In alternativa i lavoratori e le lavoratrici a distanza possono salire su un vaporetto e spostarsi sull’isola della Giudecca, in cui le gallerie di pietra e i tetti a volta delle vecchie concerie, delle fabbriche tessili e dei cantieri navali del Giudecca art district sono usati per ospitare mostre d’arte durante la Biennale. Venywhere vorrebbe sfruttare spazi come questi – insieme alle sale inutilizzate dei musei, agli atelier degli artisti rimasti vuoti, alle stanze libere negli alberghi e ai tavoli dei ristoranti tra un pasto e l’altro – per creare un’alternativa al tipico spazio per il coworking. “Non è costoso, usiamo ciò che già esiste. Molte strutture sono sfruttate solo a metà”, spiega Warglien.
Lo stesso ragionamento può essere applicato alle case in affitto in tempi di pandemia. Vivere a Venezia può essere costoso. Negli ultimi decenni i tentativi di costruire alloggi accessibili sono stati ostacolati dai politici conservatori che hanno preferito il più redditizio mercato turistico, facendo salire i prezzi in centro. Venezia è diventata sempre più inaccessibile ai veneziani, che spesso sono stati costretti a spostarsi sulla terraferma. Gli appartamenti che hanno abbandonato sono stati comprati da aziende private che li affittano a turisti attraverso piattaforme come Airbnb e Booking. Ocio, un’organizzazione che studia i problemi relativi agli alloggi, ha scoperto che in questo momento i posti letto riservati ai turisti equivalgono a quelli occupati dai residenti. Nel duemila i posti letto per i turisti erano quattordicimila, contro i 76mila per i residenti.
Con il numero di visitatori ancora ridotto per via della pandemia, i lavoratori a distanza che arrivano in città grazie a Venywhere trovano più facilmente posti dove stare. Il problema è individuare un alloggio a lungo termine che non sia stato inghiottito da una piattaforma per gli affitti turistici. La squadra di Venywhere spera di convincere i proprietari ad affittare i loro appartamenti attraverso il suo progetto anziché usare siti come Airbnb. Così avrebbero un guadagno regolare. I responsabili stanno discutendo anche con il ministero degli esteri per la creazione di un visto dedicato ai lavoratori da remoto, in modo da attirare anche i cittadini non comunitari. Paesi caraibici come le Barbados e Antigua e Barbuda hanno previsto visti simili per i nomadi digitali, mentre in Europa l’Estonia è stata il primo paese a creare un programma per la _ e-residency_, il soggiorno dei lavoratori da remoto.
Per Clayton vivere e lavorare a Venezia è diventato facile solo quando ha smesso di voler ricreare la sua esperienza londinese: “Mi sono rassegnata ad accontentarmi di ciò che è disponibile qui”, spiega. “La mia giornata è basata sui ritmi veneziani: caffè mattutino in un campo e spritz alle sei del pomeriggio. Bisogna vivere secondo le regole di Venezia”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati