Li Jianxiong è convinto di aver vissuto due vite. La prima è cominciata nel 1984, quando è nato in una famiglia di contadini poveri nella provincia dell’Henan. Audace e ambizioso, ha saputo approfittare appieno della nuova apertura economica seguita ai disastri degli anni di Mao. Nel 2017 si era già creato una famiglia, aveva una casa a Pechino ed era considerato uno dei migliori direttori del marketing di tutto il paese. Ma il successo aveva un costo. La Cina era ormai tristemente famosa per la sua cultura del lavoro “996” – dalle nove del mattino alle nove di sera, sei giorni alla settimana – ma nel caso di Li si poteva praticamente parlare di “007”: 24 ore al giorno, tutti i giorni. Mentre gestiva una devastante crisi d’immagine per il suo datore di lavoro, una grande azienda di corsi privati, aveva cominciato a soffrire d’insonnia, palpitazioni e di un grave eritema che i medici avevano attribuito a un sistema immunitario vacillante. Più volte si è chiesto se stava rischiando di morire per il troppo lavoro.

Stando al racconto di Li, la sua seconda vita è cominciata nel 2018, quando ha voltato le spalle al suo redditizio lavoro. Sentendosi distrutto e tormentato, ha deciso di lanciarsi in un esperimento di autosalvezza. Si è cimentato con Freud, ha letto libri di psicologia positiva e si è avvicinato alle opere del monaco buddista Thich Nhat Hanh. Ha approfondito le biografie di Gandhi e Madre Teresa. Ha viaggiato nei luoghi sacri del taoismo nella provincia dell’Hubei, è andato in un villaggio curativo ecologico del Guizhou e in una casa della carità buddista a Taiwan. Per un certo periodo si è anche trasferito negli Stati Uniti, dove ha frequentato ritiri cristiani per la crescita personale e ha studiato religione alla Columbia university.

Nell’aprile 2021, nove mesi dopo essere tornato a Pechino, Li ha fondato una comunità di sostegno reciproco per persone colpite dal burnout che ha chiamato Heartify. Il programma somigliava a quello degli alcolisti anonimi, che aveva scoperto cercando gruppi di autoaiuto a New York. La Heartify ha cominciato con venti persone che si riunivano in un ristorante di cucina taiwanese nel distretto artistico 798 di Pechino. Oggi dà lavoro a cento istruttori, insieme a decine di volontari, che insegnano in una “scuola serale” con classi e laboratori dedicati al benessere. Gli utenti pagano l’equivalente di 60 euro per partecipare a sei seminari settimanali della durata di due ore ciascuno. Ogni corso esplora un diverso metodo terapeutico, dalla meditazione alle composizioni floreali, dall’agricoltura all’antica filosofia cinese. In tre anni e mezzo di attività, decine di migliaia di persone hanno partecipato ai programmi della Heartify.

Li, che oggi ha quarant’anni, è una persona alla mano, con i capelli corti, occhiali quadrati e uno sguardo che uno dei suoi volontari definisce foxi, un termine gergale che evoca la calma del Buddha. Parla della sua biografia in termini quasi profetici. “La mia storia è come quella della fenice che rinasce dalle ceneri”, mi ha detto l’estate scorsa, quando ci siamo incontrati in un caffè alla moda con gli interni in legno al centro di Pechino. Era un modo ricercato per descrivere quella che più tardi avrebbe definito “una crisi di mezza età”, ma in un certo senso quella grandiosità era appropriata, perché la crisi personale e professionale che lo ha portato a fondare la Heartify era il sintomo di una più vasta insoddisfazione diffusa tra la classe media cinese impegnata a migliorare la propria condizione.

Per gente come Li e molti clienti della Heartify, cresciuti nelle province rurali povere della Cina, il vangelo della nuova Cina, che prometteva prosperità in cambio di sacrifici e duro lavoro, era la cosa più vicina a una fede religiosa che avessero mai avuto. Ma alla metà degli anni dieci del duemila, e soprattutto dopo la pandemia, molte di quelle stesse persone hanno cominciato a mettere in discussione la loro dedizione. Oggi in Cina quasi un giovane su cinque è disoccupato. Le amministrazioni locali sono sommerse dai debiti. Le difficoltà del mercato immobiliare, un tempo motore dell’economia cinese, hanno fatto crollare i tassi di crescita nazionali. Sebbene il Partito comunista abbia cercato di ridare energia al paese sotto la bandiera del “pensiero di Xi Jinping” –che prevede un futuro alimentato dalle industrie hi-tech e una rinascita delle tradizioni confuciane – tanti cinesi hanno cominciato a chiedersi se sia saggio lottare all’infinito per un futuro migliore che sembra non arrivare mai. Li ha fondato la Heartify per rispondere a questo disagio. Per quanto diversi per occupazione ed esperienze di vita, i suoi clienti hanno in comune la mancanza di fiducia nelle strutture sociali che una volta sostenevano la loro ambizione e l’impegno nel lavoro. “Quando la realtà non gli darà abbastanza spazio – a causa della crisi economica o di altri fattori – ancora più persone vorranno guardarsi dentro”, mi ha detto Li.

Studenti si preparano per il gaokao, l’esame di ammissione all’università, fuori dalle aule. Huzhou, Cina, 27 febbraio 2024  - Tan Yunfeng, Vcg/Getty
Studenti si preparano per il gaokao, l’esame di ammissione all’università, fuori dalle aule. Huzhou, Cina, 27 febbraio 2024  (Tan Yunfeng, Vcg/Getty)

La Heartify è uno dei tanti progetti e servizi dedicati alla conoscenza di sé apparsi dopo la pandemia in Cina, dove un’economia stagnante e un sistema politico congelato hanno spento ogni illusione sul sogno cinese tra la popolazione urbana. Li, che con la sua crisi del 2018 ha rinunciato a quell’ideale prima di molti suoi coetanei, è diventato naturalmente una guida. Citando le parole di un dipendente della Heartify, dopo la pandemia, quando “tutti erano smarriti”, Li “era l’unico a cercare una luce, una direzione”.

Li aveva solo otto anni nel 1992, quando Deng Xiaoping fece un viaggio nella Cina meridionale e indicò ai quadri del partito e ai dirigenti economici di lavorare per una crescita “più rapida possibile”. La visita rilanciò la politica “delle riforme e dell’apertura”, che aveva subìto una battuta d’arresto dopo la repressione militare delle proteste di piazza Tiananmen nel 1989. Quando Li aveva cominciato il liceo, nel 2001, più di cento milioni di persone, compresa sua sorella maggiore, avevano lasciato i loro villaggi di campagna per le città della costa. “La nostra generazione, quelli nati negli anni settanta e ottanta, era in sintonia con la riforma e l’apertura”, mi ha detto Li. “Tutti erano fondamentalmente spinti a svilupparsi rapidamente”.

Le riforme di Deng, che privilegiavano i lavori altamente specializzati nella scienza e nella tecnologia, offrivano nuove opportunità nell’istruzione superiore, ma saperle cogliere poteva essere difficile. Gli studenti dell’Henan avevano scarse probabilità di riuscire a frequentare una grande università di Pechino. Secondo un rapporto del 2013, su diecimila persone che sostenevano l’esame di ammissione all’università, il gaokao, solo tre centravano l’obiettivo. Ma Li si avvalse di un nuovo sistema che gli consentì di trasferirsi dalla scuola del villaggio al miglior liceo della vicina città di Xinyang. Si svegliava ogni giorno alle 5 e mezza e studiava matematica e letteratura cinese fino alle undici di sera. Non riuscì a superare il gaokao al primo tentativo, ma supplicò i genitori di farlo provare ancora una volta, e l’anno dopo ottenne uno dei punteggi più alti della sua provincia.

Alla fine Li ha frequentato la prestigiosa università di Pechino con l’intenzione di diventare giornalista. Ma quando si è laureato, nel 2008, l’economia globale era in recessione. Il quotidiano dove lavorava lo licenziò e la pressione finanziaria lo spinse ad abbandonare la professione per un lavoro di pubbliche relazioni in un nuovo negozio di moda online. Nel giro di due anni era alla guida della strategia di pubbliche relazioni dell’azienda. Nel 2009 ha sposato la fidanzata del liceo, Rose, e poco dopo è nato il loro primo figlio. Quando Rose si è stabilita nel loro appartamento a Zhongguancun, il distretto tecnologico di Pechino noto come la Silicon valley cinese, guardava con orgoglio gli annunci di Li sui vagoni della metro e sugli autobus della zona. La fama del genio di Li per il marketing si diffuse e ben presto cominciò a rispondere alle offerte che gli arrivavano da quasi tutte le grandi aziende di commercio online. All’epoca, la Cina era in preda alla “febbre dell’istruzione”, perché i genitori della nuova, fiorente classe media erano alla ricerca di qualunque vantaggio potesse accelerare l’ascesa sociale dei figli. Era proprio quello che prometteva di fare la Tal education, una startup che offriva lezioni private dall’asilo al liceo. Il debutto dell’azienda alla borsa di New York, nel 2010, fu emblematico della storia d’amore della Cina con il capitalismo statunitense. Poco dopo Li cominciò a lavorare per l’azienda, che nei sette anni seguenti passò da duecento dipendenti a tempo pieno a 28mila.

All’epoca dell’assunzione Li aveva 27 anni ed era uno dei più giovani direttori di un’azienda cinese quotata in borsa. Ben presto si rese indispensabile, e il lavoro lo compensò con ricchezza e prestigio. “Quelli sono stati davvero gli anni d’oro”, ricorda Li. “Tutto si muoveva così in fretta”. Il suo ruolo nell’azienda lo qualificava per un hukou, un permesso di residenza a Pechino: il massimo traguardo per un figlio di agricoltori che nei giorni più bui del regime di Mao avevano imparato a mangiare la corteccia degli alberi.

Nel 2016 la Tal era diventata una delle principali aziende cinesi di corsi privati della Cina, con più di trecento centri di formazione in tutto il paese. Ma all’orizzonte si addensavano i problemi. Nel novembre di quell’anno, un giornale di Hang­zhou pubblicò una lunga inchiesta che presentava i centri di formazione della Tal come un inferno di genitori ansiosi e preadolescenti stressati. I giornali di partito accusarono le agenzie di tutoraggio di alimentare “le ansie collettive della classe media”. Qualche mese dopo, le autorità locali sospesero le iscrizioni nelle sedi della Tal ad Hangzhou, Wuhan e Chengdu. In meno di un decennio, l’industria del tutoraggio privato aveva generato una corsa agli armamenti nel campo dell’istruzione, una gara per i punteggi migliori che tormentava le famiglie e arricchiva la Tal. Come mi ha detto Li: “Tutti ci investivano un sacco di tempo e di soldi, e alla fine l’unico risultato era aumentare i voti e la quantità di compiti di tutti”.

Il contraccolpo pubblico seguito all’articolo di Hangzhou fece crollare la facciata di autocontrollo che era sempre stata parte dell’immagine professionale di Li. Ma lui non poteva parlare dei suoi problemi al lavoro. “Non c’era questo tipo di cultura”, mi ha detto. “Nessun collega diceva mai, ‘Hai l’aria stanca, Jianxiong’”. I problemi della Tal accelerarono la crisi personale di Li, e lo stress ovviamente lo seguiva anche a casa. Ogni mattina alle quattro fissava il soffitto della stanza da letto ascoltando il rumore dello spazzino in strada. Cominciò a soffrire di mal di testa e aveva continui sbalzi d’umore. Ma negava il problema: “Ero giovane, no? Da giovani tendiamo a non preoccuparci per la salute”.

Per tutto il 2017 Li fu così assente dalla vita del figlio che tra gli altri genitori del quartiere circolava una battuta: nessuno sapeva che aspetto avesse. “Tornava a casa tardi, si prendeva una birra e si sedeva per conto suo”, mi ha raccontato Rose. Un giorno Li diede al figlio un pizzicotto così forte che Rose prese nota dell’incidente. “Sembrava che stesse perdendo il controllo”, ha detto.

Si stava imbarcando in un viaggio al centro del capitalismo occidentale per trovare un elisir spirituale che salvasse le anime dei cinesi

Quell’autunno Li raggiunse il suo punto più basso, e fu colpito da una grave eruzione cutanea che i medici diagnosticarono come herpes zoster, un’infezione causata dal virus della varicella che si era probabilmente riattivato a causa dello stress. Era così debole che aveva bisogno di Rose per assumere i farmaci. All’epoca Rose non riusciva a trovare le parole per definire la condizione di Li, anche se ripensandoci oggi pensa che soffrisse di depressione. In un post su un blog, Li l’ha descritta con una metafora: “La mia vita sembrava precipitare in un infinito buco nero di nulla”.

La crisi di Li raggiunse il picco in un periodo in cui molti cinesi stavano perdendo fiducia nelle promesse della meritocrazia. Dai fattorini intrappolati nella massacrante gig economy agli operai in difficoltà per ritmi di produzione impossibili fino ai dirigenti delle aziende tecnologiche spremuti come limoni, tutti lavoravano decisamente troppo per un futuro migliore che sembrava non arrivare mai. Alla metà degli anni dieci Xiang Biao, direttore dell’istituto Max Planck per l’antropologia sociale di Halle, in Germania, e profondo conoscitore della società cinese contemporanea, ha paragonato i cinesi ai colibrì, che devono battere le ali molto velocemente solo per restare fermi in aria. “Sospensione è il termine che ho usato per definire la situazione prima dei lockdown”, mi ha detto Xiang, “quando l’economia andava ancora forte e le persone continuavano a sperare e a pensare: ‘Oh, non posso permettermi di occuparmi della mia salute. Devo solo guadagnare di più, e quando avrò abbastanza soldi tutti i miei problemi scompariranno”.

Sospensione, o xuanfu, allude al rinvio dei problemi della vita – solitudine, famiglie in crisi, salute personale, diritti politici – per pensare innanzitutto ai soldi. E molti cinesi della classe media e alta che avevano soddisfatto le loro necessità materiali di base cominciavano a chiedersi che senso avesse tutto questo. Un video del 2019 in cui Xiang illustrava il concetto di sospensione diventò virale, con trenta milioni di visualizzazioni nelle prime due settimane. Nelle discussioni online si parlava di “cultura del lavoro 996” e “starsene sdraiati” – cioè rifiutare la cultura del successo e abbracciare la pigrizia – e di “involuzione”, in riferimento a un sistema che richiedeva sempre più sforzi senza una ricompensa.

Il capitalismo di stampo occidentale aveva fatto il suo corso, lasciando dietro di sé disuguaglianza, decadenza e corruzione

Mentre era in atto questa resa dei conti, il Partito comunista presentò la sua versione. Nella narrazione ufficiale, il capitalismo di stampo occidentale aveva fatto il suo corso, lasciando dietro di sé disuguaglianza, decadenza e corruzione. Il tutoraggio privato era citato come esempio di tutto ciò che era andato storto. Sostenuto da finanzieri occidentali, aveva trasformato la tanto magnificata mobilità sociale cinese in un sistema a pagamento. Nel 2021 Xi Jinping ha definito questa industria da cento miliardi di dollari “un malanno ostinato”, e qualche mese dopo il partito comunista l’ha annientata quasi completamente costringendo le aziende a registrarsi come “non profit”. I dirigenti del settore annunciarono “la fine di un’era”, e le aziende come la Tal in un solo giorno persero il 70 per cento del loro valore azionario.

L’attacco del partito al sistema di tutoraggio rientrava in un’ampia campagna nota come “prosperità comune”, volta ad accelerare la transizione da una società logorata dagli eccessi del capitalismo a una nuova era di mercati addomesticati e di un popolo che trae forza dall’ideologia del partito e dalla tradizione culturale. Ma a causa della debole società civile del paese, il governo aveva pochi strumenti eccetto i giri di vite e le campagne di massa per promuovere il rinnovamento. Miliardari e monopoli tecnologici sono stati trascinati nel fango, ma queste politiche non hanno aiutato granché i lavoratori e le piccole aziende cinesi colpite durante il lockdown più rigido della pandemia. Quando la crisi legata al covid-19 è finita, l’economia era già così rallentata che le odi ufficiali alla “prosperità comune” cominciavano a sembrare stonate. L’espressione è quasi svanita dai documenti politici. Molti sono rimasti delusi dal nuovo patto sociale di Xi Jinping, mentre altri si preparavano a ulteriori sconquassi.

Sopraffatti dal materialismo

Li si è licenziato dalla Tal nel dicembre 2018. Più o meno nello stesso periodo aveva maturato l’idea di lasciare la Cina per andare negli Stati Uniti, da solo. All’inizio dell’anno aveva presentato domanda per una borsa di studio allo Weatherhead east asian institute della Columbia university e quattro mesi dopo ha ricevuto un’offerta. Poco dopo, Rose è rimasta incinta di nuovo, ma Li era ancora deciso a partire.

La famiglia pensava che avesse perso la testa. Rose racconta che il padre gli chiedeva: “Hai dei figli piccoli e dei genitori anziani. Come puoi andare così lontano senza un reddito e senza sapere quando tornerai?”, e anche lei si poneva le stesse domande. Il padre non ha mai approvato fino in fondo la decisione di Li, ma Rose alla fine gli ha permesso di partire. Il giorno in cui l’ha accompagnato all’aeroporto era incinta di tre mesi e si stava riprendendo da un forte attacco di nausea. “Jianxiong ci mette tutto sé stesso quando è concentrato su qualcosa”, mi ha detto Rose con un tono di stanca accettazione. “Non pensa troppo a cose tipo ‘Oh, mia moglie è incinta, dovrei vedere come sta’”.

In cerca di un impiego a una fiera del lavoro a Pechino, 16 aprile 2016 - Kevin Frayer, Getty
In cerca di un impiego a una fiera del lavoro a Pechino, 16 aprile 2016 (Kevin Frayer, Getty)

La singolare avventura di Li non era solo un fatto personale: si stava imbarcando in un viaggio al centro del capitalismo occidentale – quando Donald Trump era presidente e le vendite milionarie di arte crittografica per milioni di dollari dominavano le prime pagine – per trovare un elisir spirituale che salvasse le anime dei cinesi. Ma stava anche seguendo un sentiero già battuto in passato. Un secolo prima Lu Xun aveva trovato ispirazione nella letteratura occidentale per contribuire a lanciare un movimento culturale che reinventò la Cina. Anche gli occidentali – con i beat degli anni cinquanta o con il libro di Elizabeth Gilbert Mangia, prega, ama, del 2006 – hanno guardato sistematicamente all’oriente nella speranza di un rinnovamento spirituale. “Volevo capire cosa stavano facendo altri paesi, Stati Uniti compresi, nella psicologia e nella cultura di comunità”, mi ha detto Li a Pechino.

Nella sua lettera al direttore del programma della Columbia Li parlava di una crisi morale sul punto di investire la Cina. Il materialismo aveva sopraffatto il paese, l’ansia “si accumulava” e i valori “stavano crollando”. L’antidoto che proponeva era un insieme di psicologia occidentale e cultura cinese tradizionale. A New York, Li cominciò a frequentare i tanti parchi e musei della città finché non ebbe una sorta di epifania. Tre decenni di rapida crescita avevano privato la società cinese di “terzi posti”. Pechino, a differenza di New York, non aveva un’infrastruttura sociale che aiutasse a promuovere un senso di appartenenza. L’intera società cinese sembrava sentirsi senza peso.

Alla Columbia Li cominciò a ospitare gruppi di discussione sulla crisi di mezza età con altri cinesi colpiti da burnout. Questo inflazionato concetto occidentale, che evoca auto sportive e incontri extraconiugali, negli ultimi tempi ha trovato un nuovo uso in Cina, dove le fratture personali sono collegate agli sconvolgimenti sociali. Per la comunità di Li a New York, come per tanti nel suo paese, la crisi di mezza età era nazionale e al tempo stesso personale: non era una coincidenza, in altre parole, che una nuova fase della vita personale fosse arrivata proprio quando il paese era entrato in un’epoca di crescita più fiacca, rallentata. “Oggi persone di tutte le età attraversano una crisi”, dice Li.

Quando la pandemia ha raggiunto New York, nella primavera del 2020, Li si è deciso a tornare a Pechino. Ossessionato da un nuovo obiettivo, ha lanciato la Heartify nell’aprile 2021 con un formato unico, che ha chiamato “il salotto delle storie di vita vissuta”. Ha preso l’idea dagli alcolisti anonimi, apparentemente una fonte d’ispirazione improbabile per una cultura che attribuisce ancora un grande valore al salvare la faccia, o mianzi, piuttosto che rivelare le proprie vulnerabilità. Eppure Li dice che superare questa barriera è stato cruciale per la sua guarigione. “Credo di essermi curato con le storie”, ha detto una volta. Per il primo incontro aveva previsto che tre volontarie – una giornalista, un’influencer e una cosmetologa – condividessero per 15 minuti i loro percorsi di crescita personale. Ma quando le donne hanno finito di parlare, altre persone presenti nella sala si sono sentite spinte a condividere le loro storie. Questo sfogo spontaneo ha convinto Li di aver scoperto un problema vero e trascurato.

Nelle famiglie tradizionali cinesi ci si aspetta che le donne e i fratelli maggiori sacrifichino le loro ambizioni a favore dei genitori

Le sedute sono andate avanti ogni settimana fino alla fine del 2021, quando Li ha dovuto spostare la Heartify online per le nuove ondate di covid. Mentre i lockdown intrappolavano in casa centinaia di milioni di persone lasciandone senza lavoro altri 80 milioni, le sale online di Li hanno registrato un’esplosione di popolarità. Ben presto ciascuna delle sue sedute di due ore in diretta sono state frequentate da migliaia di persone – a volte fino a quindicimila – anche se Li limitava la pubblicità a un semplice canale WeChat. Per gli standard cinesi non è una grossa comunità, questo è parte del successo. L’azienda è all’avanguardia di un movimento spontaneo alla ricerca di “spazi” commerciali e comunitari su piccola scala, o kongjian. In una società dove i grandi gruppi, i forum digitali e le organizzazioni non profit sono rigidamente regolamentate dal governo per il timore che possano diffondere ideologie pericolose, il kongjian soddisfa alcune esigenze comunitarie di una classe media, o quei “terzi posti” di cui Li aveva individuato la mancanza. In Cina è nei caffè, negli studi di yoga e nelle lezioni di danzaterapia – sotto il freddo bagliore di luci fluorescenti e al ritmo del mandopop – che le conversazioni scorrono più liberamente, le storie rimbalzano e si può creare una realtà condivisa.

Un ceffone in testa

George Hu, presidente dell’associazione internazionale di Shanghai per la salute mentale, mi ha detto che la Heartify rientra in un’ondata di servizi per la salute mentale comparsi dopo la pandemia: “Il covid è stato un enorme ceffone in testa”. Le persone hanno cominciato a chiedersi “se il loro modo di affrontare la vita avrebbe dato i risultati che speravano”. Le telefonate al numero di emergenza di Jiandan Xinli – letteralmente “psicologia facile”, uno dei maggiori fornitori cinesi di consulenza psicologica online – sono aumentate in media del 25 per cento all’anno per “la pressante richiesta del pubblico”. App e start up di salute mentale ricevono una montagna di investimenti privati. Le aziende offrono programmi di assistenza per i dipendenti. Sui social media, gli hash­tag relativi a come gestire il neihao, un neologismo che indica l’inutile fatica mentale, sono arrivati a 950 milioni.

Non tutti sono colpiti dal successo di Li. Quando ho chiesto a un’imprenditrice dell’istruzione di Pechino cosa pensa della Heartify, l’ha liquidato rapidamente: “Un uomo carismatico di mezza età che predica l’autoaiuto? Non è una novità”. E malgrado la sua fissazione sulla necessità di coltivare le relazioni umane, Li qualche volta ha messo a rischio le proprie. Quando è tornato dagli Stati Uniti, mi ha detto Rose, il padre era confuso rispetto al suo nuovo progetto. “Non so neppure spiegare ai mie vicini cosa fai!”, diceva. Rose, da parte sua, mi ha detto che Li era più attento con i figli. Eppure c’erano ancora segnali che la sua crescita spirituale era piuttosto lontana dall’essere completa. Un giorno, quando Rose si rifiutò di stirargli gli abiti, Li le disse: “Sai, anche stirare i miei vestiti fa parte della tua pratica”.

Più difficile è mettere in dubbio la dedizione di Li per i suoi clienti. Sostiene di non aver guadagnato niente con la Heartify e di usare quasi tutto il ricavato per pagare gli istruttori. E malgrado abbia ricevuto numerose proposte per espandere l’attività a Guangzhou, Shanghai e perfino New York, ha scelto con scrupolo le persone giuste per portare avanti il suo lavoro. Durante le lezioni, Li è per lo più un osservatore silenzioso, non l’evangelista torreggiante che spesso si può trovare in questo genere di contesti. Anche il suo modo profetico di parlare non sembra tanto calcolato quanto piuttosto la stravaganza di un uomo che cerca di descrivere, nel nuovo linguaggio gergale dell’autoaiuto, il contraccolpo di aver vissuto trent’anni senza respirare.

Lo scorso settembre ho assistito a una delle sedute di vita vissuta di Li nel campus dell’università di Pechino. L’argomento era “condividere una storia sul tuo nome”. Una ventina di partecipanti erano seduti in cerchio, senza scarpe e con una scatola di fazzolettini di carta al centro. Come per la maggior parte dei clienti di Li, anche in questa seduta c’erano soprattutto donne, da giovani laureate a signore ultrasessantenni. Una ragazza chiacchierona con un vestito di seta in stile Tang ha aperto la seduta. Si è presentata come Jing, e ci ha detto che il suo nome, che significa sorpresa, spesso è scritto erroneamente come “gara”, e che fin da piccola è frustrata per il fatto che il suo nome non suoni femminile come lei vorrebbe. Mentre raccontava questa storia, Jing improvvisamente è scoppiata a piangere. Nulla nel suo racconto aveva fatto pensare a tanta sofferenza. I volontari della Heartify le hanno offerto dei fazzoletti di carta, e appena ha ripreso fiato Jing ha spiegato di essere stata travolta da tanti sgradevoli ricordi legati alla sua esperienza come sorella maggiore. Nelle famiglie tradizionali cinesi ci si aspetta che le donne e i fratelli maggiori sacrifichino le loro ambizioni a favore dei genitori e dei fratelli più piccoli, perciò una sorella maggiore sente su di sé un duplice peso.

Nessuno ha replicato alle parole di Jing. Li ha imposto regole severe, tra cui il divieto di fare commenti dopo la storia di qualcuno, in modo che le persone possano condividere il proprio vissuto senza il timore di essere giudicate. Eppure la storia di Jing sembrava aver cambiato il nengliang, l’energia della stanza. Una donna dall’aria scontrosa ha parlato delle sue difficoltà personali allontanandosi gradualmente dal tema del nome. Anche lei era una sorella maggiore, e aveva un figlio alle elementari. Con il marito assente per un viaggio di lavoro e i figli che uscivano da scuola a mezzogiorno, non sapeva più che pesci prendere. Non aveva avuto altra scelta che lasciarli da un’amica per poter partecipare alla seduta. “Mio marito è anche peggio”, ha detto un’altra donna. Stava cercando di offrire solidarietà, ma si è fermata ricordando la regola di non fare commenti. Come nella primissima seduta di Li, aveva prevalso un fervore silenzioso.

C’era qualcosa di deludente nelle attività della Heartify: sono rimasto sorpreso nel vedere che molte somigliavano a giochi per bambini o a iniziative aziendali per rompere il ghiaccio che in occidente probabilmente non sarebbero più allettanti di una bella lezione di yoga. Ho partecipato a una classe di drammaterapia dove l’istruttore ci ha fatto giocare ad acchiapparello, sedie musicali e pentolaccia, chiedendoci nello stesso tempo di fingerci animali. Li, l’ex genio della tecnologia, belava come una pecora e ululava come un lupo.

Ma anche se alcuni dei partecipanti più giovani ammettevano di essere delusi, molti altri clienti della Heartify, soprattutto i più anziani, parlavano di una conversione quasi spirituale. Durante la lezione di danza Li mi ha detto che “pochissimi cinesi hanno mai fatto qualcosa del genere per entrare davvero in contatto con il loro corpo”. Molti clienti si presentavano in classe con aria diffidente, in allerta, ma anche molto disposti ad abbassare le difese alla minima sollecitazione. Non erano alla ricerca di raffinatezze, ma di qualcosa di più prosaico: un’opportunità per uscire dai loro ruoli sociali – di collega, di madre o di sorella maggiore – e uno spazio per essere semplicemente, e sfacciatamente, se stessi.

Via dalla metropoli
Indice di variazione demografica cumulativa. L’indice è costruito su rilevazioni molto frequenti e corrisponde al volume dei flussi di persone - MetroDataTech
Indice di variazione demografica cumulativa. L’indice è costruito su rilevazioni molto frequenti e corrisponde al volume dei flussi di persone (MetroDataTech)

◆ Molti giovani professionisti in Cina lasciano le metropoli alla ricerca di ritmi di lavoro più lenti e di una vita più rilassante nelle città di provincia. Shanghai è il centro finanziario del paese.


Una donna sui 35 anni che ho conosciuto l’estate scorsa a una lezione di danza si era rivolta alla Heartify dopo essersi ripresa da una grave forma di depressione. Quando le ho parlato di nuovo, qualche mese dopo, era diventata una volontaria dell’azienda. L’istruttore di danza, mi ha detto, l’aveva fatta sentire come raramente le era capitato nella sua vita di giornalista radiotelevisiva. E mi ha raccontato che una notte, dopo aver fatto lezione, aveva sognato di affrontare una persona che l’aveva denigrata. Aveva avuto la sensazione che il suo inconscio stesse cominciando a “guarire vecchie ferite”.

La componente comunitaria sembra cruciale per il successo della Heartify, il che spiega la popolarità delle sedute organizzate da Li. Una volontaria di nome Bingyu mi ha detto che la sua vita le sembrava instabile, come “un filo d’erba che vaga senza radice”. Dopo una seduta di condivisione particolarmente gravosa che Li l’estate scorsa aveva organizzato in una fattoria, Bingyu si è sentita molto più solida e fiduciosa, tanto che era finalmente riuscita a fissare dei limiti alle insistenze di un venditore che lavorava in un negozio di cosmetica di cui era cliente. “Esteriormente non ero affatto cambiata”, mi ha detto. “Ma in qualche modo dentro mi sentivo diversa”.

Dopo la seduta con Li, abbiamo preso i tappetini gialli e abbiamo riportato sedie e banchi al centro della stanza, pronti ad accogliere la carica di nuovi studenti motivati nei giorni successivi. Mentre i frequentatori delle lezioni serali uscivano dal seminterrato, le conversazioni scorrevano più liberamente. Una delle partecipanti più anziane ha chiesto a Li se poteva diventare una volontaria della Heartify. Si sono scambiati i numeri di telefono. Io sono rimasto indietro con Li mentre spegneva le luci e poi siamo usciti nell’aria autunnale.

Era piovuto durante la lezione e fuori le strade scintillavano sotto i riflessi arancioni dei fari e dei lampioni. Mentre aspettavo il taxi, pensavo ai limiti e alle possibilità di quest’epoca di esplorazione personale. In tutte le mie interviste a Li e alle persone colpite da burnout alla Heartify, nessuno aveva accennato al desiderio di contare di più in politica. Il senso di spaesamento che in occidente potrebbe trovare espressione in una politica sovranista, populista, sembrava manifestarsi in modo diverso qui, dove le vie della politica sono precluse dall’autoritarismo di Xi Jinping. La logica mi è stata descritta da un’abitante di Shanghai sulla trentina che aveva passato del tempo negli Stati Uniti dopo aver sopportato un lockdown di due mesi. “Quando fai l’esperienza di una tale mancanza di libertà, ti domandi perché”, ha detto. “Poi decidi: Ok, è qualcosa che può cambiare? No? D’accordo, allora posso cambiare io?”. I valori e le priorità delle persone si trasformano. “La mentalità della sospensione sta sicuramente cambiando”, mi ha detto Xiang. “Il problema del qui e ora diventa sempre più pesante”. Dopo la pandemia c’è stata un’ondata di emigrazione. Un numero maggiore di donne critiche del sistema patriarcale cinese ha provocato un boom nel mercato delle opere femministe in traduzione.

L’estate scorsa, durante un viaggio sulle montagne di Wudang, uno dei luoghi natali del taoismo, ho visto templi brulicanti di giovani che studiavano diligentemente il tai chi e lo yangsheng, l’arte del benessere fisico. La pandemia sembrava aver risvegliato in molti cinesi la consapevolezza che, già da diversi anni, vivevano una sorta di menzogna: una vita di penuria in un’epoca di abbondanza. Era arrivato il momento di correggere il tiro. La ricerca è appena cominciata. ◆ gc

Chang Che è un giornalista che si occupa di politica e società cinesi. Sta scrivendo un libro sul burnout in Cina.

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati