In natura gli scimpanzé sembrano imparare l’uno dall’altro e poi – proprio come gli esseri umani – perfezionare le tecniche apprese generazione dopo generazione. In particolare, le giovani femmine che si spostano da un gruppo all’altro portano con sé il loro sapere culturale, e le comunità possono integrare le nuove tecniche con quelle esistenti per migliorare la loro capacità di trovare cibo.
Grazie a questa “cultura cumulativa” alcune comunità stanno lentamente diventando via via più progredite, dice Andrew Whiten della University of St. Andrews nel Regno Unito. “Se gli scimpanzé possiedono un sapere culturale che manca nella comunità in cui si trasferiscono è possibile che lo trasmettano, proprio come succede con i geni”, spiega. “E quella cultura si accumula”.
Gli scienziati sapevano già che gli scimpanzé sono capaci di usare strumenti in modi sofisticati e di trasmettere quel sapere alle generazioni successive. In confronto alla rapida evoluzione tecnologica umana, però, non sembravano migliorare le innovazioni, dice Whiten. Inoltre è difficile seguirne l’evoluzione culturale, perché spesso gli utensili che adoperano sono fatti di materiale vegetale biodegradabile.
Per risolvere il mistero Cassandra Gunasekaram dell’università di Zurigo, in Svizzera, ha pensato di ricorrere all’analisi genetica. Mentre gli scimpanzé maschi restano vicino a casa, le giovani femmine lasciano le comunità di provenienza per accoppiarsi altrove. Così la scienziata si è chiesta se quelle femmine portassero il loro sapere ai nuovi gruppi.
Per scoprirlo lei e i colleghi hanno sfruttato i dati già disponibili su 240 scimpanzé rappresentativi delle quattro sottospecie raccolti in precedenza da altri gruppi di ricerca in 35 siti africani. I dati comprendevano informazioni precise sugli strumenti usati da ogni esemplare studiato e sui legami genetici degli ultimi 15mila anni. “La genetica è una macchina del tempo che ci mostra come si è trasmessa la cultura in passato”, dice Whiten.
Alcuni scimpanzé creavano combinazioni complesse di utensili, per esempio per cacciare le termiti, unendo un rametto che funge da trapano a un pennello ricavato sfilacciando il gambo di una pianta con i denti. I ricercatori hanno scoperto che quelli con gli strumenti più progrediti avevano da tre a cinque volte più probabilità di condividere il dna, anche se vivevano a migliaia di chilometri di distanza, rispetto a quelli che usavano strumenti semplici o non ne usavano affatto. E l’uso degli utensili avanzati è risultato anche maggiormente associato agli spostamenti delle femmine rispetto all’uso di strumenti semplici o di nessuno strumento.
“Secondo la nostra interpretazione, gli strumenti complessi sono inventati a partire da una forma precedente più semplice. Per cui la loro creazione dipende dal sapere che le femmine provenienti dalle comunità che li hanno inventati trasmettono a quelle di cui entrano a far parte”, dice Whiten. “È la dimostrazione che gli utensili complessi si basano sugli scambi sociali tra comunità”, spiega Gunasekaram.
Pochi contatti
Thibaud Gruber dell’università di Ginevra non si stupisce dei risultati, ma trova controversa la definizione di comportamento complesso. “L’uso del bastone è di per sé complesso”, commenta. Il suo
team ha scoperto quello che definisce un esempio di cultura cumulativa negli scimpanzé che realizzano spugne con il muschio invece che con le foglie. Questi strumenti non sono più complessi, ma sono più efficienti per assorbire l’acqua ricca di minerali dai pozzi d’argilla. “Non è questione di complessità, quanto di padroneggiare una tecnica ricavata da una precedente”, dice.
L’accumulazione di cultura negli scimpanzé è comunque notevolmente più lenta che negli esseri umani, probabilmente a causa delle diverse capacità cognitive e dell’assenza del linguaggio, sostiene Gunasekaram. Inoltre gli scimpanzé interagiscono meno degli umani con gli esemplari delle altre comunità, per cui hanno meno opportunità di avere scambi culturali. ◆ sdf
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 109. Compra questo numero | Abbonati