Dominic Cummings, ex consulente del premier britannico Boris Johnson, ha fatto scalpore affermando che la reazione del governo alla pandemia di covid-19 è stata “un classico esempio di pensiero di gruppo”. Secondo Cummings, più aumentavano le critiche al piano antipandemico, più le autorità le liquidavano come ottuse. E ha aggiunto che se il piano fosse stato sottoposto a una verifica tempestiva, “avremmo capito molte settimane prima che c’erano alternative migliori”.
Non possiamo sapere con certezza se la sua critica è fondata, ma è l’occasione per riflettere sull’importante questione delle dinamiche decisionali collettive. Cos’è il pensiero di gruppo e quali sono i consigli della scienza per evitarlo?

Il pensiero di gruppo è il fenomeno in base al quale un gruppo di persone competenti può prendere decisioni sbagliate. Di fatto, il gruppo esercita una pressione psicologica sui singoli affinché si adeguino alle opinioni dei leader e di altri membri influenti.
Tra gli esempi più noti del pensiero di gruppo c’è la decisione degli Stati Uniti d’invadere Cuba nel 1961 e quella della Coca-Cola di lanciare la New Coke nel 1985. In questi e in altri casi il gruppo ha preso decisioni sbagliate pur avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie. Chi aveva opinioni diverse, e avrebbe potuto evitare errori imbarazzanti o tragici, si è astenuto dal condividerle.
Senso di appartenenza
Perché a volte persone intelligenti e informate, riunite in gruppo, giungono a conclusioni apparentemente inspiegabili? I motivi principali sono tre. Il primo è che tutti amiamo provare un senso di appartenenza: il nostro cervello è predisposto per cercare una tribù o un gruppo di cui far parte. Nelle situazioni collettive, consapevolmente o meno, vogliamo sentirci accettati e avere l’approvazione degli altri. Questo atteggiamento può portare però a discussioni falsate, che convergono su affinità e consensi escludendo differenze e dissensi.
Il secondo motivo è che “per andare d’accordo bisogna adeguarsi”. Anche se il dissenso sulla strategia migliore da adottare è sano (anzi è proprio quello che giustifica l’idea di far prendere decisioni a un gruppo), spesso le divergenze sfociano in scontri personali. Questo rischio induce chi è in disaccordo a tenere la bocca chiusa, soprattutto quando a esprimere l’opinione sono i leader o le voci più autorevoli.
Il terzo motivo è che modifichiamo impercettibilmente le nostre preferenze per renderle conformi all’opinione prevalente. In altre parole, quando non abbiamo le idee chiare su un determinato argomento tendiamo ad adottare, spesso senza accorgercene, questa opinione, che diventa la lente attraverso cui interpretiamo le informazioni ricevute. Un componente del gruppo che rivela le sue preferenze, quindi, crea un ciclo invisibile che si autoalimenta e perpetua il consenso.
Per disinnescare il pensiero di gruppo bisogna concentrarsi sulle varie opzioni e sulle informazioni disponibili, astenendosi dall’esprimere la propria preferenza il più a lungo possibile. Dopo aver stabilito gli obiettivi, il gruppo dovrebbe prendere in considerazione varie opzioni e i partecipanti dovrebbero fornire tutte le informazioni utili, anche quelle che mettono in discussione l’opinione che sembra prevalere. La discussione sulla linea da adottare dovrebbe arrivare in un secondo momento, al termine di una minuziosa analisi della situazione.
I leader possono contribuire a evitare il pensiero di gruppo. Alcuni studi dimostrano che chi coordina il processo decisionale senza rivelare le proprie preferenze o sostenere una particolare tesi riesce a evitare il pensiero di gruppo e a prendere decisioni migliori. Chi si dichiara invece a favore di una determinata scelta, soprattutto all’inizio, tende a condizionare tutti e a consolidare il pensiero di gruppo.
Sarebbe quindi opportuno che ogni governo si attivasse per invitare tutti gli organi decisionali a seguire questi consigli. Neanche i gruppi composti dalle persone più illuminate sono infatti esenti dai meccanismi psicologici alla base del pensiero di gruppo. ◆ sdf
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati