Confronti

La Francia ha bisogno della riforma delle pensioni?

Lo stato sociale rischia di andare in crisi per colpa del deficit. Alzare l’età pensionabile può contribuire a salvarlo

Protesta in parlamento contro la riforma delle pensioni. Parigi, 20 marzo 2023  (Bertrand Guay, Afp/Getty)

Nessuna proposta di riforma delle pensioni è mai stata criticata tanto come quella voluta dal presidente francese Emmanuel Macron. È vero che su diverse questioni il provvedimento, frutto di un accordo tra deputati e senatori, non è abbastanza incisivo; e anche che, a prescindere dalle consuete proteste contro l’idea di alzare l’età pensionabile, la riforma deluderà i sostenitori del partito del presidente.

L’idea originaria di Macron, che ambiva a un regime universale in cui per ogni euro versato tutti avessero gli stessi diritti, ha lasciato il posto a una riforma classica, che aumenta l’età pensionabile e la durata dei contributi. Inoltre, non cambieranno la complessità e le disuguaglianze che derivano dalla coesistenza di 42 regimi pensionistici.

Il contesto politico e sociale ha spinto il governo a fare una serie di concessioni, indebolendo l’obiettivo di arrivare a un equilibrio dei conti. Il traguardo è stato spostato al 2030, ma è vincolato a una previsione economica ottimistica e alla condivisione degli oneri da parte dello stato e di altri rami della previdenza sociale, per un ammontare di più tre miliardi di euro. Nonostante queste concessioni e l’appoggio dei repubblicani – un partito conservatore che non fa parte della maggioranza di governo – nelle ultime settimane l’esecutivo non è stato in grado di uscire dall’isolamento, e alla fine ha perso anche la battaglia della comunicazione.

Nella legge ci sono comunque aspetti da salvare. Bisogna ricordare che lo stato sociale francese, basato su una forte redistribuzione, è indebolito dal deficit. Per sostenerlo è indispensabile aumentare la quantità di lavoro collettivo, e per farlo c’è bisogno di rafforzare il tasso d’occupazione degli ultracinquantenni e alzare l’età pensionabile, che resta molto al di sotto della media europea. La riforma non risolve tutti i problemi e quindi non sarà l’ultima, ma soddisfa quanto meno buona parte delle necessità di finanziamento per il prossimo decennio, e potrebbe facilitare l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione, a condizione di essere accompagnata da una vera mobilitazione in favore dell’impiego delle persone che hanno più di cinquant’anni.

Il provvedimento prevede anche la valorizzazione delle pensioni minime per chi ha cominciato a lavorare da molto giovane. È una misura che è stata fin troppo pubblicizzata, ma darà comunque dei frutti importanti. La soppressione dei regimi speciali, infine, riguarderà certamente diverse generazioni, ma ormai è incisa nel marmo. E non è un risultato da poco.

Ultima considerazione: nel 2027 si tornerà a votare e i partiti che si sono schierati contro la legge voluta da Macron potranno proporre di tornare al sistema precedente. È già successo in passato. ◆ as

Les Échos è un quotidiano francese di informazione economica e finanziaria, fondato nel 1908.

Non è vero, come sostiene Macron, che gli alti costi del sistema pensionistico sono un problema per le finanze francesi. E non è vero che la riforma era stata chiesta dalle istituzioni europee e internazionali

Niente giustifica la determinazione politica mostrata dal presidente francese Emmanuel Macron nel far passare a qualunque costo una riforma delle pensioni che non vuole nessuno. Non la vogliono l’opinione pubblica, i sindacati e neanche i parlamentari. Il fastidio per questa ostinazione da presidente autoritario è ancora più giustificato se si pensa che Macron ha sostenuto la riforma ripetendo una serie d’informazioni false sulla situazione finanziaria del paese. L’ultima l’ha usata per giustificare il ricorso all’articolo della costituzione che permette di approvare una proposta di legge senza passare dal voto dei parlamentari: “Penso che, allo stato attuale delle cose, i rischi finanziari ed economici siano troppo grandi”, ha detto Macron, come se la Francia non fosse più in grado di finanziarsi se la riforma non fosse stata approvata.

Nel 2023 il paese prenderà in prestito dai mercati 270 miliardi di euro, la somma più alta di sempre. Da gennaio i finanziamenti stanno andando molto bene: a metà marzo la Francia aveva preso in prestito un terzo del suo fabbisogno annuale, e lo spread franco-tedesco, quel poco d’interesse in più che dobbiamo pagare rispetto alla Germania, è di poco superiore ai cinquanta punti base ed è stabile da molti mesi: ai creditori internazionali non interessa la riforma delle pensioni finché Parigi continua a ripagare il suo debito, come ha sempre fatto. Al contrario, i creditori potrebbero temere le tensioni sociali alimentate dal presidente. Se Macron è davvero preoccupato dal rischio di non riuscire a pagare gli interessi, perché ha deciso di spendere sessanta miliardi di euro per finanziare tagli fiscali durante i suoi primi cinque anni di mandato, seguiti da un ulteriore taglio delle tasse sulla produzione? Il governo deve smettere di pensare che ogni problema possa essere risolto con misure simili.

Un altro argomento a sostegno della riforma è che gli impegni presi dalla Francia in Europa per controllare il debito impongono al paese di mettere mano al suo sistema pensionistico. Se analizziamo meglio questa tesi, è chiaro che in realtà le cose stanno diversamente. Bisogna sapere che le raccomandazioni esterne, che provengano dalla Commissione europea, dall’Ocse o dal Fondo monetario internazionale, sono sempre negoziate tra le istituzioni e gli alti funzionari francesi: il più delle volte cioè sono solo il risultato di una richiesta dei dirigenti francesi di ricevere sostegno alle loro priorità politiche fuori dei confini del paese.

In questo caso, nessuno ha chiesto alla Francia di riformare le sue pensioni. È vero che le istituzioni europee e internazionali mirano a un certo rigore nella gestione dei bilanci statali, in modo da abbassare deficit e debito pubblico, e che chiedono una riduzione della spesa per paura che i governi aumentino le tasse. Ma ogni paese può fare ciò che vuole – tranne che in tempi di crisi – finché il debito rimane sostenibile. E quello francese senza dubbio lo è.

È ancora più facile ignorare un ultimo pretesto finanziario che può essere avanzato dai sostenitori del governo, quello secondo cui le caratteristiche del sistema pensionistico costringerebbero i francesi a lavorare di più. L’elenco delle possibili risorse a cui attingere è lungo: ripensare le esenzioni dei contributi salariali che non creano posti di lavoro, assoggettare i risparmi dei lavoratori ai contributi pensionistici e, naturalmente, aumentare il tasso di occupazione dei giovani e degli anziani. Fare quest’ultima cosa avrebbe dovuto essere il primo passo di qualsiasi riflessione sul futuro del sistema ridistributivo.

Senza dimenticare di aumentare i contributi, non solo per compensare il deficit ma anche per far crescere le pensioni future, il cui calo relativo rispetto al reddito da lavoro dipendente spiega in gran parte perché nei prossimi anni il deficit del regime rimarrà contenuto. Il sistema pensionistico francese ha effettivamente un problema finanziario: ha bisogno di più spese e più entrate. ◆ ff

Christian Chavagneux è un economista francese, editorialista del mensile Alternatives Économiques.

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1504 - 24 marzo 2023
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