Nessuna proposta di riforma delle pensioni è mai stata criticata tanto come quella voluta dal presidente francese Emmanuel Macron. È vero che su diverse questioni il provvedimento, frutto di un accordo tra deputati e senatori, non è abbastanza incisivo; e anche che, a prescindere dalle consuete proteste contro l’idea di alzare l’età pensionabile, la riforma deluderà i sostenitori del partito del presidente.
L’idea originaria di Macron, che ambiva a un regime universale in cui per ogni euro versato tutti avessero gli stessi diritti, ha lasciato il posto a una riforma classica, che aumenta l’età pensionabile e la durata dei contributi. Inoltre, non cambieranno la complessità e le disuguaglianze che derivano dalla coesistenza di 42 regimi pensionistici.
Il contesto politico e sociale ha spinto il governo a fare una serie di concessioni, indebolendo l’obiettivo di arrivare a un equilibrio dei conti. Il traguardo è stato spostato al 2030, ma è vincolato a una previsione economica ottimistica e alla condivisione degli oneri da parte dello stato e di altri rami della previdenza sociale, per un ammontare di più tre miliardi di euro. Nonostante queste concessioni e l’appoggio dei repubblicani – un partito conservatore che non fa parte della maggioranza di governo – nelle ultime settimane l’esecutivo non è stato in grado di uscire dall’isolamento, e alla fine ha perso anche la battaglia della comunicazione.
Nella legge ci sono comunque aspetti da salvare. Bisogna ricordare che lo stato sociale francese, basato su una forte redistribuzione, è indebolito dal deficit. Per sostenerlo è indispensabile aumentare la quantità di lavoro collettivo, e per farlo c’è bisogno di rafforzare il tasso d’occupazione degli ultracinquantenni e alzare l’età pensionabile, che resta molto al di sotto della media europea. La riforma non risolve tutti i problemi e quindi non sarà l’ultima, ma soddisfa quanto meno buona parte delle necessità di finanziamento per il prossimo decennio, e potrebbe facilitare l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione, a condizione di essere accompagnata da una vera mobilitazione in favore dell’impiego delle persone che hanno più di cinquant’anni.
Il provvedimento prevede anche la valorizzazione delle pensioni minime per chi ha cominciato a lavorare da molto giovane. È una misura che è stata fin troppo pubblicizzata, ma darà comunque dei frutti importanti. La soppressione dei regimi speciali, infine, riguarderà certamente diverse generazioni, ma ormai è incisa nel marmo. E non è un risultato da poco.
Ultima considerazione: nel 2027 si tornerà a votare e i partiti che si sono schierati contro la legge voluta da Macron potranno proporre di tornare al sistema precedente. È già successo in passato. ◆ as
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