Cultura Schermi
A white white day. Segreti nella nebbia
Ingvar Sigurðsson, Ída Mekkín Hlynsdóttir
Islanda / Svezia / Danimarca 2019, 109’. In sala
A white white day (Dr)

Lungo la costa islandese un macigno si stacca da una cresta e affonda lentamente in mare. La cinepresa lo segue per sessanta angosciosi secondi. Questo thriller visivamente molto affascinante, scritto e diretto da Hlynur Pálmason, è punteggiato da altre licenze poetiche simili che ne sottolineano l’atmosfera spettrale. All’inizio un proverbio suggerisce che la permeabilità della nebbia consente ai morti di comunicare con i vivi. Ingvar Sigurðsson offre un’interpretazione misurata nei panni di Ingimundur, un orgoglioso ex poliziotto vedovo, immerso nella nebbia del lutto. Le scene in cui è insieme alla nipote di otto anni Salka (Ída Mekkín Hlynsdóttir), come quelle in cui le racconta una macabra favola della buona notte, fanno venir fuori le forze gemelle di odio e amore che si agitano sotto la sua dura scorza. Verso il finale la tensione cresce, ma i momenti più sorprendenti del film sono quelli contemplativi. Simran Hans, The Observer

Antlers
Keri Russell, Jesse Plemons
Stati Uniti / Messico / Canada 2021, 99’. In sala

Lucas (Jeremy T. Thomas), un ragazzino che vive in una cittadina sperduta dell’Oregon, ha un segreto. La sua insegnante Julia (Keri Russell) è preoccupata: sembra malnutrito, passa le lezioni a fare disegni allucinanti, sembra perseguitato da qualcosa di misterioso. Anche Julia ha il suo fardello di abusi, che l’ha spinta ad andarsene per anni. Ora che è tornata non lascerà che Lucas subisca il suo stesso destino. Ma perché il ragazzo continua a portare in casa animali morti? C’è qualcosa di letargico nel modo in cui viene portato avanti il film. Un ritmo che sarebbe giustificato se in fondo ci fosse un po’ di sostanza da estrarre. Ma in verità la storia è semplice, anche se mascherata da qualcosa di più complesso. Il tentativo di Scott Cooper di elevare l’horror a film d’autore non sembra pienamente riuscito, ma quello che risulta irrispettoso è ispirarsi alle leggende dei nativi americani scegliendo di non includere praticamente nessun personaggio nativo nella trama. Benjamin Lee, The Guardian

Madres paralelas
Penélope Cruz, Milena Smit
Spagna 2021, 120’. In sala

La fotografa di moda Janis (Penélope Cruz) sta per partorire. In ospedale fa amicizia con Ana (Milena Smit), un’adolescente privilegiata che considera la sua gravidanza indesiderata una tragedia tanto quanto Janis la considera una gioia. Partoriscono contemporaneamente, e molto presto le loro vite s’intrecceranno in modi fin troppo prevedibili per chi ha familiarità con il melodramma. Due anni dopo Dolor y gloria, che molti pensavano (o temevano) fosse un biglietto d’addio, Pedro Almodóvar ha smentito gli apocalittici. Il suo è un film più ruvido e meno coeso dei precedenti, ma che forse offre qualcosa di ancora più eccitante: il lavoro di un artista che, arrivato all’apice del suo mestiere, si domanda: “Cosa c’è dopo?”. In questo caso la risposta è una coscienza politica, un attivismo inedito per Almodóvar. Che però mentre riflette sull’eredità della guerra civile spagnola, dimostra di non aver cambiato musica. Semmai ha alzato il volume. Madres paralelas parla ancora di madri, modelle e ricchi madrileni, ma gli spara in faccia la dura luce del mondo reale. Ben Croll, The Wrap

200 metri
Ali Suliman
Palestina / Giordania / Qatar / Italia / Svezia 2020, 96’. In sala
200 metri (dr)

Al cuore di 200 metri c’è il conflitto israelo-palestinese affrontato attraverso questioni concrete ben piantate sul territorio. Ogni metro è fondamentale nella storia di Mustafa, un palestinese separato dalla famiglia da ragioni personali, ma anche da un muro. Mustafa deve raggiungere Gerusalemme Ovest, dove il figlio è ricoverato in ospedale. Ha dei problemi con il permesso di lavoro e al check point israeliano gli viene negato l’accesso. È costretto quindi a rivolgersi a chi potrebbe farlo passare illegalmente. 200 metri si trasforma così in una specie di road movie a ostacoli e anche se la sceneggiatura è appesantita da qualche sovrastruttura, il film non perde mai il suo interesse goegrafico e umano. Due aggettivi che, come ci ricorda il regista, autore di un’opera prima incoraggiante, sono legati in modo inscindibile. Frédéric Strauss, Télérama

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1433 - 29 ottobre 2021
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