Nei giorni scorsi il capo del governo spagnolo Pedro Sánchez si è impegnato ad abolire la prostituzione in Spagna, con una legge che presenterà entro la fine della legislatura nel 2023. Per i suoi legami con la criminalità organizzata, la prostituzione è diventata un elemento di destabilizzazione, ma incarna soprattutto un dramma radicato nelle società e nella stessa condizione umana. Scomparso il terribile rito di passaggio del passato – quando tanti padri festeggiavano la maggiore età dei figli portandoli “a puttane”– la prostituzione è diventata una tragedia di massa: le reti mafiose controllano il traffico di donne che vivono stipate in squallidi capannoni, bordelli e appartamenti che cambiano indirizzo appena sono scoperti dalla polizia. In questi posti lo sfruttamento non conosce limiti e i protettori accumulano enormi profitti.
In Spagna la consapevolezza di questo problema è cresciuta molto, grazie a dibattiti pubblici e discussioni nel campo femminista, e anche per merito di film e serie tv che hanno affrontato il problema più grave: secondo le stime, l’80-90 per cento delle donne che si prostituiscono è vittima di tratta.
Sfuggire all’ipocrisia che copre, minimizza o banalizza questa realtà è fondamentale. La Spagna è al primo posto in Europa e al terzo nel mondo (dietro Puerto Rico e Thailandia) per percentuale di uomini che pagano per il sesso, con un giro d’affari che, secondo le stime, oscilla tra gli 1,8 e i 4 miliardi di euro all’anno. L’industria della prostituzione è cresciuta vertiginosamente anche grazie al suo statuto semilegale e a complicità diffuse. In Spagna le prostitute sono per la maggior parte straniere irregolari, spesso reclutate con offerte di lavoro ingannevoli o costrette a prostituirsi con le minacce.
Quasi tutti i paesi europei hanno cercato di affrontare il problema, ma nessuno ha trovato la soluzione definitiva, forse perché non esiste. In Germania la prostituzione è legale e regolamentata, ma le autorità riconoscono che negli ultimi anni è cresciuta una prostituzione clandestina che vive dello sfruttamento delle migranti. In Svezia la criminalizzazione dei clienti ha fatto calare il consumo di sesso a pagamento, ma ha fatto aumentare il tasso di violenza contro le donne.
Obiettivo minimo
Il dibattito aperto dalla proposta di Sánchez può servire a stabilire alcuni punti non negoziabili in una società che crede nei diritti delle donne, senza pretese moralizzatrici o puritanesimo. La maggior parte della società spagnola probabilmente condivide il disprezzo per i protettori. Allo stesso modo frequentare bordelli e case di tolleranza è incompatibile con gli standard civili di una democrazia. Il cliente può ignorare l’orrore che si cela dietro le vite delle donne, ma questo non gl’impedisce di alimentare un’industria di sfruttamento disumano. Se però queste donne non hanno alternative, chiudere i locali significa esporle a nuovi rischi, per esempio spingendole ad andare a prostituirsi in altri paesi.
Un obiettivo minimo può essere raggiunto trovando una mediazione tra le diverse posizioni esistenti oggi. Il modello finlandese punisce il cliente solo quando ha rapporti con donne vittime di tratta. La soluzione abolizionista applicata in Svezia e in Francia invece non penalizza le donne, a cui offre programmi di reinserimento sociale, ma punisce sia il protettore sia il cliente. È questo il modello scelto dal governo spagnolo. Le poche donne che si prostituiscono volontariamente sostengono che questa soluzione le costringe alla clandestinità.
Servirà quindi un dibattito aperto e onesto per stabilire come perseguire le reti mafiose, se punire tutti i clienti indiscriminatamente e quali opportunità di vita e di lavoro offrire alle donne quando le catene della prostituzione saranno rotte. Quel che sicuramente non si può più fare è continuare a fingere che il problema non esista. Cambiare le abitudini ed educare a una sessualità che eviti la mercificazione della donna sono obiettivi lodevoli, ma intanto decine di migliaia di donne vivono senza la minima protezione. Sono loro ad avere più fretta di tutti. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati