In un altro contesto internazionale, un evento del genere avrebbe suscitato uno scandalo mondiale e avrebbe potuto addirittura portare a un’interruzione del conflitto. E invece, nel frastuono del mondo attuale, e con Donald Trump alla Casa Bianca pronto a spalleggiare ogni azione israeliana, diventa solo l’ennesimo incidente nella lunga litania della guerra a Gaza.

Il 23 marzo l’esercito israeliano ha ucciso 15 soccorritori e operatori umanitari palestinesi, i cui corpi sono stati scoperti sepolti a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. All’inizio Israele aveva dichiarato di aver sparato contro un gruppo di “terroristi” e “veicoli sospetti” in piena notte.

Ma il 5 aprile la Mezzaluna rossa palestinese ha diffuso un video di sei minuti girato dall’interno di uno dei veicoli e trovato sul telefono di una delle vittime. Nel filmato si vedono chiaramente i mezzi di soccorso con le sirene accese, senza alcuna possibilità di non essere identificati. Poi si sentono gli spari. L’esercito israeliano ha parlato di possibile “errore” nella propria comunicazione, ma per l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk potrebbe trattarsi di un “crimine di guerra”.

Eppure le ripercussioni della vicenda sono inesistenti. Da quando è riesploso il conflitto israelo-palestinese, il 7 ottobre del 2023, i crimini di guerra si sono susseguiti uno dopo l’altro. La Corte penale internazionale ha spiccato un mandato d’arresto per crimini di guerra contro i dirigenti dello stato ebraico e quelli di Hamas. Inutilmente, dato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha appena visitato Budapest, in Ungheria, e si trova attualmente a Washington senza che nessuno si preoccupi di intervenire.

L’offensiva israeliana, ripresa ormai da un mese, si svolge senza alcun rispetto del diritto internazionale, a cominciare dal blocco degli aiuti umanitari imposto dal 5 marzo. I due milioni di palestinesi, sballottati da un punto all’altro di Gaza sotto una pioggia di bombe, stanno subendo violazioni dei diritti inimmaginabili.

Un mese senza aiuti a Gaza e la strage dei soccorritori
Dal 2 marzo Israele ha vietato l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. E negli ultimi giorni ha intensificato gli attacchi, colpendo anche alcuni operatori sanitari.

Il destino degli ostaggi nelle mani di Hamas passa in secondo piano, alimentando la rabbia di parte della popolazione israeliana. Intanto la tragedia di Gaza si svolge senza testimoni (Israele continua a impedire l’accesso sul campo alla stampa internazionale) e nell’indifferenza del resto del mondo.

In questo contesto, il 7 aprile il presidente francese Emmanuel Macron è in Egitto in una delle rare iniziative diplomatiche di un mondo ormai dominato dai rapporti di forza. Durante la giornata si svolgerà un vertice tra Francia, Egitto e Giordania, ma non dobbiamo aspettarci conseguenze immediate.

Oggi niente sembra poter influire sulla strategia israeliana, soprattutto perché il governo di Tel Aviv è protetto da Trump e le sue azioni sono anche il risultato di considerazioni legate alla politica interna.

Parigi ha appena sostenuto il piano arabo per Gaza, adottato in risposta a quello di Trump che vorrebbe svuotare la Striscia dei suoi abitanti per trasformarla in una costa azzurra del Medio Oriente. I paesi arabi sono ovviamente contrari e hanno bisogno del sostegno dell’Europa per opporsi al progetto statunitense sposato da Israele.

La Francia ha poi organizzato con l’Arabia Saudita una riunione sulla Palestina nella sede delle Nazioni Unite, a New York. Ma nel disordine mondiale aggravato dalle ultime decisioni di Trump, il destino dei palestinesi non ha alcun peso.

I 15 operatori umanitari massacrati a Rafah ne sono la triste prova.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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