Uno degli aspetti più caratteristici e affascinanti dell’economia portoghese e del Portogallo in generale è la cortiça, il sughero, il prezioso materiale ricavato dalla corteccia di un albero, il sobreiro, la quercia da sughero o sughera, che cresce soprattutto nel sud del paese, in particolare nella regione dell’Alentejo. Ma occuparsi dell’industria sorta intorno a questo materiale è anche un modo per capire, da un lato, come oggi l’economia cominci a subire gli effetti della crisi climatica e, dall’altro, come le aziende possano organizzarsi per dare delle risposte all’emergenza. Il sughero, peraltro, è un materiale che per le sue caratteristiche può svolgere un ruolo molto importante proprio nello sviluppo di un’economia più sostenibile.
Il Portogallo è di gran lunga il leader mondiale nella produzione, trasformazione e commercializzazione del sughero. Il paese assicura quasi il 50 per cento della produzione mondiale (più di 85mila tonnellate all’anno) grazie a un’area forestale dedicata al sughero di 720mila ettari, la più vasta del pianeta, pari al 34 per cento del totale. È il maggior esportatore di prodotti trasformati, per un valore che nel 2023 ha raggiunto gli 1,2 miliardi di euro e nel 2024 è sceso a 1,1 miliardi. Il settore dà lavoro direttamente o indirettamente a ottomila persone in circa seicento aziende.
Il sughero, comunque, è diffuso in tutta l’area mediterranea, dove alle spalle del Portogallo troviamo la Spagna, che contribuisce al 27 per cento della produzione mondiale su una superficie coltivata di 574mila ettari. Poi ci sono il Marocco (18 per cento e una superficie di 380mila ettari), l’Algeria (11 per cento) e infine con quote più basse la Tunisia, la Francia e l’Italia. Nel bacino del mar Mediterraneo sono dedicati al sughero 2,1 milioni di ettari di terreno, che danno lavoro a più di centomila persone. L’estrazione della corteccia resta un’operazione manuale, che richiede un alto livello di specializzazione e abilità e per questo è una delle mansioni agricole più pagate al mondo.
Il grosso delle entrate del settore arriva dalla produzione di tappi per le bottiglie di vino, che nel 2024 hanno assicurato il 74 per cento del fatturato. Il restante 26 per cento proviene dai resti della lavorazione dei tappi o da cortecce scartate per la produzione di tappi perché troppo sottili: questo materiale è riutilizzato per ricavare manufatti (utensili da cucina, borse, calzature, giocattoli) e fogli impiegati in un’ampia serie di prodotti e sistemi. Il sughero, per esempio, è usato per le sue qualità isolanti come componente degli intonaci per ridurre la dispersione di calore attraverso le pareti degli edifici. Questo permette di migliorare l’efficienza energetica di un appartamento e quindi di ridurre i consumi di energia. È usato anche nelle missioni spaziali per la sua capacità di resistere a velocità, pressioni e temperature estreme.
Le sue qualità lo rendono un prezioso alleato nella lotta alla crisi climatica. Per esempio nel contrasto della desertificazione: le foreste di sobreiros formano un sistema sostenibile dal punto di vista economico e ambientale, visto che l’estrazione del sughero non comporta l’abbattimento di alberi e che una quercia può vivere fino a duecento anni. Inoltre, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione idrologica e nella conservazione del suolo, perché proteggono dall’erosione eolica, aumentano la quantità di acqua piovana che s’infiltra nel terreno (in media le querce da sughero trattengono il 26,7 per cento delle precipitazioni) e forniscono grandi quantità di materiale che si trasforma in humus nella parte superiore del suolo.
Inoltre, grazie alla combustione estremamente lenta del sughero, i sobreiros possono fare da barriera alla propagazione degli incendi. Secondo uno studio dell’Instituto superior de agronomia (Isa) di Lisbona, le foreste di sughero portoghesi, che rappresentano il 22 per cento dell’area boschiva nazionale, assorbono circa sei tonnellate di anidride carbonica per ettaro all’anno. Questo per il Portogallo significa più di quattro milioni di tonnellate all’anno. Per l’intera area del Mediterraneo la stima è di quasi 14 milioni di tonnellate.
Il sughero e la sua filiera agroindustriale, tuttavia, sono allo stesso tempo vittime della crisi climatica. Prendiamo lo scarso livello di precipitazioni, che ha molteplici effetti negativi. I sobreiros sono piante che riposano in inverno e in estate e crescono in primavera e in autunno. L’alterazione delle precipitazioni fa sì che se piove poco durante i periodi di riposo, la crescita rallenta. Un primo effetto è visibile sulla corteccia, che diventa sempre più sottile. È un problema enorme per il settore, perché la corteccia di maggiore qualità, quella più spessa, è usata nella produzione dei tappi, la principale fonte di guadagno. Un altro effetto negativo è che, a causa della minore disponibilità di acqua, le querce diventano più deboli e sono più esposte alle malattie e ai parassiti.
Da tempo, però, il settore del sughero sta mettendo a punto delle strategie per affrontare le conseguenze della crisi climatica. Alcune linee direttive mi sono state illustrate dall’Associação portuguesa da cortiça (Apcor). Un’idea è ingrandire le piantagioni e variare la geografia aumentando le piantagioni in regioni dove l’impatto della crisi climatica è meno grave. In Portogallo il sughero è coltivato tradizionalmente nel sud, nell’Alentejo, mentre oggi si punta a spostarsi di più a nord, dove il livello delle precipitazioni è superiore di più di due volte. Queste condizioni permetterebbero inoltre di ridurre il ciclo di raccolta: in genere si procede all’estrazione del sughero dopo i primi 25 anni di vita dell’albero, mentre in futuro si dovrebbe passare a 15-18 anni.
Queste innovazioni richiedono un nuovo modello di silvicoltura, con un diverso sistema di irrigazione degli alberi e nuovi periodi di raccolta della corteccia. Le piantagioni future, inoltre, richiederanno maggiore densità di alberi: si passerà dagli attuali cinquanta per ettaro a quattrocento. Un altro aspetto innovativo è la selezione genetica dei sobreiros, attraverso la quale si punta a individuare e diffondere quelli che resistono meglio alle malattie, alle basse precipitazioni e in generale alle condizioni climatiche estreme. Da anni in Portogallo si studiano alberi provenienti dalla Spagna, dalla Francia, dall’Italia, dall’Algeria, dal Marocco e dalla Tunisia. Secondo gli esperti, quelli marocchini sono i più resistenti.
Per tutti questi progetti, sottolineano all’Apcor, servono ingenti finanziamenti, in cui è indispensabile l’intervento dello stato. Ma quello che colpisce di più è la capacità portoghese di elaborare una visione strategica e soprattutto di fare squadra, evitando che i protagonisti del settore procedano in ordine sparso, ognuno per conto proprio. È un po’ quello che succede in Italia, in particolare in Sardegna. Ne ho parlato con Giovanni Pasella, presidente della Cna Associazione Territoriale Gallura.
Come mi ha spiegato Pasella, la produzione sarda soffre soprattutto a causa di un coleottero parassita, il coraebus undatus, che scava gallerie nella corteccia ma senza intaccare il legno. L’effetto è che rende impossibile staccare pezzi interi ma solo frammenti, provocando danni per milioni di euro. Solo le cortecce intere, infatti, permettono di produrre tappi. Le misure adottate sono state insufficienti, anche perché si è preferito sostenere l’esistente a discapito della riforestazione. La scarsa redditività della coltivazione e della lavorazione del sughero, inoltre, fa sì che i terreni siano lasciati incolti e abbandonati, diventando ancora di più vittima di parassiti e incendi. Si sta aggravando anche la scarsità di precipitazioni, su cui pesa ulteriormente il fatto che poche sugherete sarde sono dotate di impianti di irrigazione.
In Sardegna mancano un’azione di sistema, unità d’intenti, visione. Il settore del sughero, dice Pasella, è in fase di riconversione. Fino a qualche anno fa a Calangianus, piccolo centro della Gallura considerato il cuore del sughero sardo, c’erano circa cento aziende, ma negli ultimi tempi si è assistito a una forte concentrazione, che ha lasciato pochi operatori più grandi. I più piccoli non sono in grado di affrontare il peso degli investimenti e dell’alta tecnologia, che potrebbero aprire nuovi orizzonti.
Lo dimostra il caso del tappo microagglomerato. In genere i tappi sono ricavati dalla corteccia spessa, mentre dai frammenti e dalla corteccia sottile si ottengono tappi per champagne e pannelli usati nell’edilizia. Il tappo microagglomerato, invece, è costruito partendo proprio da polvere e frammenti: quindi permette di sfruttare la corteccia di minore qualità e inoltre è più resistente al parassita che dà il classico odore di tappo. Il problema è che è ottenuto attraverso un processo complesso e costoso, chiaramente alla portata di poche aziende.
Ci sono vari altri comparti in cui il settore potrebbe diversificare, come il packaging ecologico, i manufatti, le solette per scarpe e altre le applicazioni che possono diventare un’alternativa alla plastica, più costosa ma sostenibile. Purtroppo, conclude Pasella, in Sardegna c’è una certa “rigidità verso il cambiamento”: si preferisce conservare l’esistente invece di puntare su settori nuovi ad alto valore aggiunto. Una tendenza, direi, che caratterizza molti altri settori dell’economia italiana. Ma che, a quanto pare, non riguarda il sughero portoghese, a cui faremmo bene a ispirarci.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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