Nella Striscia di Gaza non entrano aiuti umanitari esattamente da un mese. Dopo che il 2 marzo Israele ne ha bloccato l’ingresso a causa delle divergenze con Hamas sulle modalità di prosecuzione della tregua, la maggior parte delle richieste fatte dalle organizzazioni umanitarie per coordinare l’accesso a Gaza con le autorità israeliane è stata respinta. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha fatto sapere che tra il 18 e il 24 marzo le richieste respinte da Israele sono state 40 su 49. Tutti i passi avanti compiuti per aiutare la popolazione di Gaza durante la tregua “sono stati cancellati”, secondo l’Ocha. “È il periodo più lungo in cui Gaza è stata senza rifornimenti dall’inizio della guerra”, ha aggiunto Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi.
Prima del blocco israeliano entravano in media tra i cinquecento e i seicento camion di aiuti ogni giorno. Ora tutti i valichi di frontiera con il territorio palestinese sono chiusi, il cibo immagazzinato sta marcendo, i medicinali stanno scadendo, le attrezzature sanitarie si stanno rovinando. Dentro la Striscia torna la fame e il pericolo della carestia, che non è mai scomparso, incombe di nuovo. Il 27 marzo il Programma alimentare mondiale (Pam) ha avvertito che centinaia di migliaia di persone rischiano ancora una volta “la fame e la malnutrizione acuta” e che le sue scorte alimentari (5.700 tonnellate) sono sufficienti a sostenere le operazioni per un massimo di due settimane. Questa agenzia dell’Onu è l’unica che rifornisce ancora le panetterie di Gaza.
Da quando Israele ha rotto la tregua e ha ricominciato a bombardare il territorio palestinese il 18 marzo, circa dieci cucine comunitarie sono state costrette a chiudere, sempre secondo l’Ocha. Queste iniziative erano fondamentali dato che il gas per cucinare è disponibile “solo in quantità estremamente limitate e a prezzi esorbitanti”. Ogni giorno le persone fanno file di ore davanti ai pochi forni ancora in funzione.
Tradizionalmente l’Eid al fitr, la festa che segna la fine del mese sacro del Ramadan, in tutto il mondo arabo è un’occasione per incontrarsi con i familiari, pregare e mangiare insieme, e offrire doni ai bambini. Quest’anno però quasi nessuno a Gaza è riuscito a preparare un pasto per le celebrazioni cominciate il 30 marzo. “Il cibo nella Striscia è scarso e costosissimo”, denuncia Hind Khoudary, corrispondente di Al Jazeera da Deir al Balah. “I genitori dicono che dare da mangiare alle loro famiglie è una ‘missione impossibile’”.
Il giorno della festa gli abitanti della Striscia di Gaza si sono svegliati con il suono dei bombardamenti israeliani. All’alba migliaia di persone hanno comunque srotolato i loro tappeti per le preghiere, alcuni tra le macerie, altri per le strade, altri ancora nelle moschee con i muri sventrati o davanti alle loro tende negli accampamenti improvvisati.
“L’Eid al fitr, che in passato era un giorno di riunioni e visite familiari, è diventato un giorno di addii e funerali”, ha detto all’Afp Nahla Abou Matar, un’abitante di 28 anni di Khan Yunis, nel sud del territorio. I bambini non hanno ricevuto regali e le famiglie hanno rinunciato a incontrarsi. “Le persone hanno paura a farsi visita, perché un missile potrebbe cadere in ogni momento e ucciderci tutti”, aggiunge un altro abitante della città, Ezzedine Moussa, di 29 anni. Quel giorno Khan Yunis è stata particolarmente colpita dai bombardamenti israeliani insieme a Rafah: nelle due città sono stati uccise almeno 39 persone.
Il 30 marzo inoltre sono stati recuperati i corpi di quindici soccorritori rimasti uccisi una settimana prima in un raid israeliano contro alcune ambulanze a Rafah. Si tratta di otto paramedici della Mezzaluna rossa, sei membri della difesa civile e un dipendente di un’agenzia delle Nazioni Unite. Il giorno prima l’esercito israeliano aveva ammesso di aver colpito delle ambulanze che erano state considerate “sospette”.
Secondo l’Ocha, gli operatori sanitari erano in missione per soccorrere dei colleghi che erano stati colpiti il 22 marzo, quando l’esercito israeliano aveva ripreso la sua offensiva su Rafah. Le loro auto erano chiaramente contrassegnate. Il ritrovamento dei corpi è avvenuto a distanza di giorni perché i soldati israeliani impedivano l’accesso all’area di Tal al Sultan, il quartiere nella zona ovest della città dov’è avvenuta l’aggressione. Un altro paramedico è scomparso e si ritiene sia stato sequestrato.
Jonathan Whittall, capo dell’Ocha in Palestina, ha fatto sapere che gli operatori sanitari sono stati attaccati e colpiti “uno a uno” e poi sepolti in una fossa comune insieme ai veicoli. Almeno uno di loro aveva le mani legate, ha aggiunto un funzionario della Mezzaluna rossa. L’editoriale di Haaretz dell’1 aprile ricostruisce sulla base delle testimonianze di persone presenti sul posto che alcune vittime “avevano mani e gambe legate e ci sono segni che abbiano ricevuto un colpo da distanza ravvicinata”. Alcuni operatori dell’Onu hanno raccontato inoltre di aver visto centinaia di persone fuggire dalla zona del ritrovamento sotto il fuoco israeliano: “Hanno detto che una donna è stata colpita alla testa da dietro e anche un giovane che cercava di aiutarla è stato ucciso”.
Le organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani hanno condannato duramente l’attacco israeliano, avvertendo che prendere di mira in modo sistematico gli operatori umanitari può costituire un crimine di guerra.
Secondo le Nazioni Unite almeno 1.060 operatori umanitari sono stati uccisi nei diciotto mesi trascorsi da quando Israele ha lanciato la sua guerra nella Striscia di Gaza il 7 ottobre 2023. Tra questi ci sono medici, infermieri, dipendenti delle Nazioni Unite, della Mezzaluna rossa palestinese e di altre organizzazioni non governative. In un altro bombardamento il 27 marzo è stato ucciso un volontario dell’ong World central kitchen durante la distribuzione dei pasti nella città di Gaza.
Le vittime palestinesi da quando Israele ha rotto la tregua il 18 marzo sono ormai più di mille. E il 2 aprile Tel Aviv ha annunciato l’ampliamento dell’offensiva militare per impadronirsi di “vaste aree” della Striscia di Gaza. Il ministro della difesa israeliano Israel Katz aveva annunciato già il 21 marzo che Israele avrebbe annesso alcune aree del territorio se Hamas non avesse rilasciato immediatamente tutti gli ostaggi.
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