L’antico albergo ferroviario di Toronto, il Fairmont Royal York, è a pochi passi dalla Union station, ma a gennaio questa distanza può rivelarsi insidiosa: il vento è gelido e attacca come un orso polare arrabbiato. A testa bassa io e mia moglie Camila camminiamo velocemente tra i due edifici di fine ottocento che si trovano nel distretto finanziario, fatto di grattacieli in vetro e acciaio.

Rinunciamo alla modernità, aerei compresi, e andiamo a Vancouver con il Canadian, il treno che attraversa il paese. Nella sala d’attesa il capotreno ci chiede quale posto preferiamo per il pranzo. Poco dopo ci precede all’interno di un treno che sembra uscito da un sogno: tredici vagoni argentati, di cui tre con una cupola in vetro per ammirare il panorama. Prima salgono i passeggeri della carrozza Prestige, dove finestrini panoramici rivelano scompartimenti singoli con divani in pelle che si trasformano i letti doppi. La classe economica è in coda e lì i passeggeri dormono seduti. Io e Camila siamo nella zona Sleeper plus: cuccette per una, due o tre persone in scompartimenti più costosi. Abbiamo prenotato uno scompartimento con due poltrone reclinabili rivolte verso il finestrino. Osservo meravigliato lo specchio semi-esagonale sopra il lavandino, i letti a castello, il water nascosto. L’insieme ha un’aria da prigione di lusso. “C’è una doccia alla fine del corridoio. Ma quando la temperatura scende a più di 25 gradi sotto zero l’acqua rischia di congelarsi”, ci spiega Holly, l’assistente di bordo. Camila e io ci scambiamo uno sguardo dubbioso. Nel nostro viaggio verso ovest trascorreremo quattro notti in questo scompartimento e in altri simili, visto che divideremo il percorso in tre tappe.

Il timore della cavalleria

Alle 9.55 le locomotive cominciamo a trainare i vagoni. Decidiamo di passare un po’ di tempo in una delle carrozze con la cupola in vetro per ammirare il grattacielo della Canadian national, l’azienda proprietaria delle rotaie su cui percorreremo 4.466 chilometri verso ovest. La nostra tratta passa da Winnipeg, Saskatoon ed Edmonton. È stata completata nel 1915, poco più a nord rispetto a una linea costruita nel 1886 dall’azienda rivale, la Canadian pacific, oggi usata solo per il trasporto merci.

La ferrovia della Canadian national ha tenuto insieme il Canada. Nel 1871 la colonia della British Columbia accettò di unirsi con le province orientali della nuova confederazione canadese a patto che fosse costruita una linea ferroviaria. L’idea conquistò John Macdonald, il primo capo del governo canadese. Tra la British Columbia e l’Ontario c’erano le praterie in cui i veterani della guerra civile americana sconfinavano per massacrare i bisonti e distruggere le tribù delle prime nazioni, portando il vaiolo e l’alcolismo. Nel libro _Dominion: the railway and the rise of Canada _(Dominazione: la ferrovia e la crescita del Canada), pubblicato nel 2023, Stephen Bown racconta che Macdonald era convinto che gli Stati Uniti avrebbero mandato la cavalleria a nord con la scusa di riportare l’ordine, in modo da annettere silenziosamente le praterie. L’unico modo per evitarlo era costruire una ferrovia che “ostacolasse il dominio degli Stati Uniti sul Nordamerica e favorisse il consolidamento del Canada”.

Il treno solleva nuvole di neve e con il passare delle ore le comunità rurali lasciano il posto ai boschi di pini dello scudo canadese (detto anche scudo laurenziano, è una vasta area rocciosa che copre metà del Canada). Non sono state le Montagne rocciose a mettere a rischio il progetto della ferrovia, ma questa torbiera a nord del lago Superiore. “Migliaia di chilometri di paludi e rocce impossibili da aggirare”, così la descrive Bown. Il Canadian copre il percorso due volte alla settimana.

Viaggiare a gennaio offre un senso di intimità e una vista migliore attraverso gli alberi spogli. Osservo il panorama immaginando le vite delle persone che hanno messo i binari. Immagino scene orribili degne del film Revenant. Un cameriere ci annuncia il nostro turno per il pranzo. I tavoli da quattro sono coperti da eleganti tovaglie e separati da divisori di vetro decorati con cince e gazze. La sorte determina gli accoppiamenti ai tavoli tra passeggeri sconosciuti, ma il Canadian, con i suoi orari inaffidabili e la mancanza di wifi, sembra attirare persone interessanti. Parliamo con scrittori, ingegneri, fotografi e avventurieri, ma il primo incontro è con Jo Buyske, la presidente della Società statunitense di chirurgia, e con suo marito Marc. Le chiedo quale sia la sua specializzazione. “Mi piace il colon”, risponde. Abbassiamo lo sguardo sul nostro eccellente agnello cucinato direttamente a bordo e cambiamo subito argomento.

Il treno si ferma davanti a un cartello anonimo che segna la distanza percorsa dalla partenza. Un passeggero scende dal treno e viene accolto da alcuni uomini a bordo di motoslitte.

Scopro che con un preavviso sufficiente il treno si ferma dove vuoi. In estate i passeggeri portano a bordo i kayak per pagaiare nei laghi. “Una volta è salita sul treno l’intera popolazione di un villaggio delle Prime nazioni con una bara. La stavano portando nel villaggio più vicino per un funerale”, ci racconta un assistente di bordo. Questo è un treno in servizio regolare che attraversa una terra selvaggia.

Arriviamo a Winnipeg dopo 36 ore di viaggio. Camila e io facciamo tappa qui e aspettiamo il prossimo Canadian diretto a ovest. Dormiamo al Fort Garry, un altro antico albergo ferroviario. Prima di entrare in camera gustiamo un carpaccio di bisonte e goldeye affumicato (un pesce locale). Winnipeg non era mai stata nel mio elenco delle città da visitare, ma in questi quattro giorni abbiamo scoperto che ci sono molte cose da vedere. I musei sulla vita nelle praterie del nord e le gallerie che espongono l’arte inuit valgono da sole il viaggio.

Laghi ghiacciati che sembrano di cristallo. Il vento spazza via la neve dalla superficie

Winnipeg si trova alla confluenza dei fiumi Red e Assiniboine. In inverno sono coperti da uno spesso strato di ghiaccio, tanto che viene allestita una pista di pattinaggio lunga quattro chilometri. Ci cimentiamo sui pattini, usando un modello per principianti. Poi c’immergiamo nelle vasche esterne riscaldate della spa Thermëa. Il ristorante migliore è senz’altro la Promenade brasserie. Il proprietario Jay Lekopoy mi porge i crostini di pane fritto con trota affumicata. “Quando ero piccolo mia nonna affumicava il pesce in cortile, mentre noi cuocevamo il bannock (un pane azimo) sul fuoco. È un piatto semplice ma buonissimo”. Lekopoy è un métis, con ascendenze francesi e delle Prime nazioni. Le attività di caccia per le pelli dalla Hudson bay company hanno portato a questa mescolanza tra le popolazioni nell’area di Winnipeg. Nel 1885 i métis si ribellarono alle autorità. Le violenze spinsero i canadesi a finanziare il completamento della ferrovia.

Il quarto giorno a Winnipeg c’incamminiamo verso la stazione per salire a bordo del treno, mentre sta facendo buio. I giorni precedenti avevo seguito online il suo percorso. Ci sistemiamo nello scompartimento che ormai ci è familiare, per poi andare verso il bar nella carrozza in fondo al convoglio. Lungo il tragitto c’imbattiamo in un gruppo di appassionati di treni. Uno di loro, John Ryan, mi spiega come funziona il Canadian. La sua descrizione è interminabile.

Inizialmente Camila e io siamo rimasti delusi dall’aspetto trasandato del nostro scompartimento, ma l’età avanzata del treno si è rivelata uno degli elementi più affascinanti del viaggio. Il vagone compirà 70 anni nel 2026. All’inizio degli anni sessanta questo treno percorreva quotidianamente la linea della Canadian pacific, raggiungendo Vancouver in 70 ore. Il servizio era rivolto agli imprenditori, ma è stato soppiantato dagli aerei, più rapidi ed economici. Ora il percorso da Toronto a Vancouver dura 97 ore, in teoria. A parte quelli in Russia, è il percorso di un treno passeggeri più lungo del mondo. Di recente l’azienda ferroviaria Via rail ha annunciato che nei prossimi dieci anni le carrozze saranno sostituite. Per Ryan è una notizia triste. “Avranno meno problemi di manutenzione, ma si perderanno anche il fascino e la storia di questo treno”.

Il giorno dopo il Canadian arriva a Melville, una piccola città della provincia di Saskatchewan, dove per un quarto d’ora ci sgranchiamo le gambe. Una cisterna rifornisce di carburante il treno, come accadeva un tempo con le vecchie locomotive a vapore che avevano bisogno di acqua e carbone. I macchinisti ricevono il cambio. Durante il viaggio ci sono undici avvicendamenti. Ci fermiamo spesso per lasciar passare treni merci più rapidi e redditizi. Durante queste soste i macchinisti scendono dal treno per risolvere qualche problema o per riparare un guasto. D’inverno hanno gli stivali affondati nella neve, spesso a migliaia di chilometri da qualsiasi forma di assistenza. Viaggiamo lentamente: ogni tanto il treno raggiunge i 130 chilometri orari, ma la velocità media non supera i 45 chilometri all’ora.

Nella prateria sconfinata ogni tanto si vedono cervi, coyote, volpi, gufi e addirittura una lince rossa. Camminando tra le carrozze incontro una famiglia di agricoltori mennoniti che stanno andando a trovare alcuni amici. “Avremmo potuto prendere la corriera, ma abbiamo pensato che valeva la pena di godersi il tragitto”, mi spiega Noah Martin, mentre sua moglie tira fuori il pranzo al sacco.

Nel vagone ristorante scambio due parole con Wahiba Chebbi, che fa parte del personale. È nata a Grenoble, in Francia, ma vive a Vancouver: “Lavoriamo per sei giorni, ma poi ho dieci giorni liberi. È un lavoro faticoso, però ne vale la pena”. Dopo aver superato una cittadina di nome Hinton, in Alberta, la prateria cede il passo alle colline. Vediamo laghi ghiacciati che sembrano di cristallo, dove il vento spazza via la neve dalla superficie. Davanti a noi abbiamo le cime del parco Valhalla, sullo sfondo il cielo blu. Siamo arrivati alle Montagne rocciose. Il sole tramonta appena il treno entra a Jasper. Camila e io avremmo voluto trascorrere più tempo in questo centro abitato così bello, ma a luglio la cittadina è stata devastata dagli incendi che hanno distrutto più di un terzo degli edifici. Sette ore dopo scendiamo dal treno a Kamloops, nel cuore di una vallata arida segnata dai camini delle fate, delle formazioni rocciose create dall’erosione.

Siamo venuti qui per sciare. Mezz’ora di taxi e arriviamo a Sun Peaks, la seconda stazione sciistica del paese. I pendii sono coperti da un metro di neve. Nonostante le 144 piste l’atmosfera è intima e organizzata. Durante la discesa sugli sci m’imbatto in una volpe che attraversa la pista. Camila partecipa a un’escursione nei boschi, mentre io vado a pescare sul ghiaccio con Campbell Bryk, guida turistica e capitano dei pompieri. Dopo un paio di giorni torniamo a Kamloops, città industriale dove s’incontrano le linee ferroviarie della Canadian national e della Canadian pacific. Guardiamo dal vivo una partita di hockey sul ghiaccio, l’esperienza più canadese che si possa fare.

Le porte dell’inferno

Il nostro terzo e ultimo treno verso ovest lo prendiamo alle due di notte. Camila mi confessa che tornare a bordo la fa “sentire a casa”, e capisco che è davvero così. Osserviamo fuori dal finestrino le montagne illuminate dalla luna. Gli appassionati di treni mi avevano detto che loro viaggiano solo nei periodi di luna piena, ora capisco il perché. All’alba siamo nel canyon Fraser e ci avviciniamo al punto più stretto del fiume, chiamato “le porte dell’inferno”. Le rotaie corrono sul bordo del dirupo, mentre sotto di noi l’acqua gorgoglia e gli argini sono coperti di ghiaccio. La vecchia linea Canadian pacific è sul versante opposto. Un treno merci si arrampica a fatica.

Arriviamo a Vancouver con un ritardo di appena otto ore. Il treno entra nella Pacific central station. L’ultimo degli alberghi ferroviari in cui soggiorniamo è il Fair­mont Hotel Vancouver, che con il suo arredamento tradizionale è la conclusione perfetta del nostro viaggio. Camila mi chiede, tra ostriche, trote e martini, se ho notato come i passeggeri si sono salutati tra loro alla stazione. “Si abbracciavano. All’inizio erano titubanti ma poi si sono salutati come vecchi amici”, mi dice. Le rotaie continuano a unire il Canada, a quanto pare. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati