Il 25 marzo 2025 l’ingegnere Grant Slatton ha pubblicato su X una foto in cui è ritratto insieme alla moglie e al loro cane. Accanto c’è la versione della foto come se fosse il fotogramma di un cartone animato. Lo stile ricorda vagamente i film di animazione dello Studio Ghibli per alcune caratteristiche: i colori pastello, le linee morbide e, naturalmente, il fatto che nella descrizione della foto Slatton ha scritto le parole “Studio Ghibli”.

Studio Ghibli è la casa di produzione giapponese fondata nel 1985 da Hayao Miyazaki, Isao Takahata e Toshio Suzuki, diventata celebre in tutto il mondo per film come La città incantata, Il mio vicino Totoro, Principessa Mononoke e il premio oscar 2024 Il ragazzo e l’airone. I lavori del Ghibli sono caratterizzati da un’estetica inconfondibile: atmosfere oniriche, attenzione minuziosa ai dettagli, paesaggi lussureggianti, personaggi emotivamente complessi e un profondo rispetto per la natura. Inoltre, Miyazaki e le persone che lavorano con lui sono note per un lavoro maniacale, a mano, sulle animazioni.

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Il post di Slatton ha totalizzato, fino a questo momento, più di 51 milioni di visualizzazioni: è diventato virale, come si dice nel gergo del web, e ha generato una serie difficilmente misurabile di imitazioni. Moltissime persone hanno realizzato versioni di sé, dei propri cari o di altre fotografie imitando lo stile dello Studio Ghibli: il fenomeno ha anche avuto, quasi da subito, un nome: ghiblizzazione. Lo strumento usato per fare questa conversione è 4o Image Generation, il modello di ia da testo a immagine integrato in ChatGpt. L’amministratore delegato della OpenAi ha cambiato il proprio avatar su X in una versione di sé in stile anime giapponese: il trend non si è ancora fermato ed è letteralmente mondiale. Io ho ricevuto foto ghiblificate da persone impensabili, senza competenze specifiche sulle ia. Un mio contatto in Colombia ha ghiblificato una foto di gruppo che abbiamo scattato a Barranquilla sei mesi fa. Anche i giovanissimi nei loro spazi sociali hanno iniziato a cavalcare il trend.

Ben presto, la conversazione fra chi lavora nella cosiddetta industria culturale si è polarizzata. Nel mondo dei disegnatori, dei fumettisti, degli illustratori, per molte persone questa è la prova del “furto” di ChatGpt. La conversazione è diventata anche intrisa di morale: “Come osate rubare l’anima dello Studio Ghibli?”. I post sui social in cui qualcuno accusa d’ignoranza chi si è fatto la foto-cartoon non si contano.

È stato tirato in ballo quasi subito un documentario del 2016 in cui Hayao Miyazaki reagisce piuttosto violentemente contro alcuni ricercatori che gli mostrano un’animazione di uno zombie fatta con una rudimentale tecnologia di ia. Le affermazioni fatte dal regista sono state correlate da molti – anche dalla stampa tradizionale – ai fatti del 2025.

È importante guardare il video e vedere bene a cosa reagisce il regista: nella dimostrazione, uno dei ricercatori dice esplicitamente che quel che si vede nel video è orribile. Infatti suggerisce che potrebbe essere usato per un videogioco con gli zombie. Miyazaki tira in ballo un suo amico disabile e dice che quel che ha visto è “un insulto alla vita stessa”, per poi aggiungere “non userò mai questa tecnologia per i miei lavori”. Nove anni dopo, quella tecnologia è molto migliorata e non sappiamo niente di cosa ne pensi Miyazaki, anche se ci si ostina a collegare i due fatti.

Nel 2005, il regista aveva rilasciato una delle sue rare interviste al Guardian. In quell’occasione aveva rivisto le sue posizioni su un’altra tecnologia, la computer grafica, e aveva detto, fra l’altro: “Il mondo cambia. Dove sono oggi i pittori di paesaggi? Cosa fanno? Io ho avuto la fortuna di fare per quarant’anni lo stesso lavoro. È una rarità, in ogni campo”.

C’è anche da ricordare che la legge giapponese permette l’addestramento delle intelligenze artificiali con materiale coperto da copyright, anche se l’azienda che lo usa non ha sede in Giappone. Lo Studio Ghibli non ha risposto ai giornalisti in cerca di dichiarazioni. Solo BuzzFeed Giappone cita un “Non abbiamo nulla da dire” dello studio. Questo ha lasciato aperta la porta a una speculazione: che ci possa essere qualche forma di accordo fra OpenAi e Studio Ghibli.

Anche in assenza di un accordo, però, sembra assolutamente inutile ergersi a moralizzatori, incolpare le persone che magari, solo per divertimento, hanno provato a ghiblizzarsi e continuare a contrapporre gli strumenti all’umanità e all’arte. Faremo arte anche con e dopo le intelligenze artificiali, anche se a qualcuno sembra di no. Sui social c’erano da tempo filtri che trasformavano le foto in illustrazioni simili a quelle che vediamo in questi giorni.

Per aggiungere complessità al tema: lo Studio Ghibli ha anche goduto di una pubblicità fuori dall’immaginabile. “Nel mio lavoro di comunicazione di molti prodotti culturali”, scrive Mafe de Baggis, “se avessi ottenuto una domination come quella degli scorsi giorni sarei stata ricoperta d’oro. È letteralmente quello per cui noi comunicatori siamo pagati: passaparola gratuito”. Se osserviamo il grafico delle ricerche su Google per il termine “Studio Ghibli”, scopriamo che è stato cercato almeno trenta volte più di quando, a marzo 2024, Miyazaki aveva vinto l’oscar.

Certo, di mezzo continua a esserci la paura della sostituzione, l’orrore molto umano quando si scopre che persino uno stile che molti associano all’arte nella sua forma più pura è schematizzabile e dunque imitabile e la certezza che i profitti di questi strumenti sono e saranno in mano a pochi; l’evidenza che molti committenti, editori, “padroni” – per dirla con una retorica che potrebbe sembrare passata – vorranno approfittare di questi strumenti per licenziare o pagare ancora meno. Ma questo non è un problema della tecnologia in sé né di chi si diverte usandola: è un problema del capitalismo.

Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.

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Cosa succede nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ogni venerdì, a cura di Alberto Puliafito.
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