Cultura Suoni
Windswept Adan
Ichiko Aoba (hermine)

Ichiko Aoba dimostra che la costanza premia. Non ha mai fatto gesti clamorosi, né passi forzati alla ricerca del riconoscimento internazionale. La cantautrice e polistrumentista giapponese ha semplicemente e gradualmente conquistato un seguito sempre maggiore di appassionati. Il predecessore di questo album, qp, l’aveva catapultata in un nuovo status, attirando l’attenzione della critica straniera. Da allora molti hanno scoperto i primi lavori. Il settimo album, Windswept Adan, sembra un punto d’arrivo. Pubblicato l’anno scorso in Giappone e ora disponibile anche sul mercato internazionale, è di gran lunga il suo disco più ambizioso. La voce sommessa di Aoba è ancora il fulcro della musica, ma le sue composizioni sono diventate più eteree. Il disco abbraccia il prog-folk. Alcune canzoni sfruttano un quartetto d’archi, un flauto e un’arpa accanto alla chitarra acustica di Aoba. Windswept Adan è un paesaggio, un mondo acquatico nel quale perdersi.

Chase McMullen,
Beats per Minute

Raise the roof

Quello che funzionava a meraviglia allora continua a funzionare adesso: la voce di Plant si è ridotta a quella di un crooner o, in Searching for my love di Bobby Moore and the Rhythm Aces, a una specie di struggente anima dagli occhi azzurri. I toni country di Krauss sono a volte limpidi, altre vivaci o consumati e T Bone Burnett fa il produttore in modo magistrale. Una band superlativa, che crea una tensione sfumata.

Kitty Empire,
The Observer

Queens of the Summer hotel
Aimee Mann (m. Hausman Mgmt)

Il decimo album di Aimee Mann è stato scritto per l’adattamento teatrale del film Ragazze interrotte, in cui l’autrice Susanna Kaysen racconta la sua esperienza nell’ospedale psichiatrico McLean alla fine degli anni sessanta. Anche se la pandemia ha bloccato i progetti per lo spettacolo, la cantautrice statunitense ha deciso comunque di pubblicare la musica e farne un disco che sta in piedi da solo. La qualità di questi quindici brani dimostra che è stata la scelta giusta. Considerando l’esperienza personale dell’artista con l’argomento – esplorato in Mental illness del 2017 – il suo coinvolgimento nel progetto ha ancora più senso. I temi trattati potrebbero far pensare a un ascolto impegnativo, ma non è così. Chiaramente la tristezza e la malinconia pervadono le canzoni e ci sono momenti particolarmente duri. In Robert Lowell and Sylvia Plath, che furono entrambi pazienti dell’ospedale, Mann descrive la degenza come una “macabra pantomima” e si chiede “cosa ne è di me? Cosa ci faccio qui?”; in Give me fifteen assume la voce del dottore che dice “tempo di fare il giro dell’isolato e ti prenoto un elettroshock”. Tuttavia le canzoni sono alleggerite dalla bravura di Mann nel creare melodie guidate da piano, chitarre e fiati. Queens of the Summer hotel mostra quanto sia diventata un’artista versatile, capace di tirare fuori bellezza dai soggetti più difficili.

Steven Johnson,
Music Omh

Con i pianoforti Érard e Pleyel e un coro dall’organico ridotto per avvicinarsi ai dodici cherubini immaginati da Rossini, ci si sente come nel salotto parigino del conte Pillet-Will, dove nel 1864 si tenne la prima di questa messa cantata, vero testamento del compositore. Gli omaggi a Pergolesi (Kyrie) e Palestrina (Christe) con l’intermediazione di Niedermeyer sono meravigliosi, con tempi perfetti. Le arie e i duetti rimandano allo stile operistico dell’epoca, e qui ci sono alcune delle più belle voci rossiniane di oggi. Il protagonista rimane comunque lo splendido coro Ghislieri, che domina con disinvoltura il virtuosismo acrobatico delle fughe di Cum sancto spiritu ed Et vitam venturi sæculi: letture magistrali, leggere e piene d’energia. Qui c’è tutto quello che amiamo di più in Rossini: un’impressione di semplicità che nasconde la complessità della composizione.

Damien Colas,
Classica

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1438 - 3 dicembre 2021

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