Ridiamo un po’ con Ingmar Bergman, poi torniamo seri e gli rendiamo omaggio. Danziamo sulla tomba di un amore che non ha ancora esalato il suo ultimo respiro, scopriamo il passaggio a nordovest tra vita e finzione. Diamo un’occhiata a cosa separa le donne e gli uomini, quando si tratta di creare un’opera d’arte. Il libro dei compiti delle vacanze di Mia Hansen-Løve ha tanti capitoli, ma quando lo chiudi, alla fine di Sull’isola di Bergman, il sapore che rimane in bocca è quello delle vacanze, non dei compiti. Tutto – il complicato intreccio dei temi evocati, la costruzione della finzione su due livelli, il gioco autobiografico (Hansen-Løve, a lungo compagna di Olivier Assayas, ha scritto una storia su una coppia di registi) – spingeva l’impresa verso la serietà, verso la rigidità addirittura. Ma lo sguardo della regista francese sui suoi personaggi ha la luce dell’estate scandinava, che rifiuta la notte senza negarne l’esistenza. E proprio all’inizio dell’estate Chris (Vicky Krieps) e Tony (Tim Roth) arrivano a Fårö, l’isola del mar Baltico dove Bergman ha girato alcuni dei suoi capolavori e dove si è ritirato a vivere, rifugio ideale per artisti in cerca d’ispirazione. Le prime scene del film flirtano con la commedia. Hansen-Løve mostra l’isola con amore ma senza reverenza. Poi mentre i due protagonisti seguono traiettorie divergenti, Chris racconta a un distratto Tony il film che sta scrivendo su due amanti (Mia Wasikowska e Anders Danielsen Lie) che si ritrovano sull’isola, al matrimonio di amici comuni. Alla realtà terrena e un po’ ridicola della vita dei due registi, risponde l’esaltazione effimera di un incontro in una notte d’estate. Le due coppie hanno in comune solo l’isola ed è quanto basta per capire che il divario tra loro non è poi così grande.
Thomas Sotinel, Le Monde