Cultura Suoni
Laurel hell
Mitski (Ebru Yildiz)

“Entriamo con attenzione nell’oscurità”. Per aprire il suo nuovo disco Mitski ha scelto queste parole, pronunciate in modo incerto sopra un sintetizzatore ronzante. “Una volta entrati, mi ricorderò di come mi muovevo”. Questi testi hanno un significato particolare. Laurel hell, che prende il nome dai fiori che sui monti Appalachi crescono all’interno di una massa inestricabile di rami da cui non c’è via di scampo, segna la prima uscita di Mitski dopo una specie di pausa. Nel 2019 la cantautrice statunitense di origine giapponese ha annunciato che avrebbe smesso di esibirsi, dicendo che era disillusa rispetto all’industria dell’intrattenimento. Questo tema è affrontato nel singolo Working for the knife. È la migliore canzone del disco, che cattura tutto quello che Mitski sa fare meglio: una melodia estasiante, orecchiabile, con un testo personale e oscuro. Tra gli altri momenti salienti ci sono la sensuale Heat lightning e l’incisiva Stay soft, che ricorda un po’ il suo successo del 2018 Nobody. L’energia di Laurel hell si esaurisce un po’ nelle ultime canzoni e non si può dire che Mitski abbia aperto nuovi orizzonti. Ma è incantevole, come sempre.

Katie Cutforth,
The Skinny

Island of noise

Il secondo album del progetto guidato da Jack Cooper, prima nel duo Ultimate Painting, è pensato per far provare all’ascoltatore un timore reverenziale. Improvvisazione, silenzi, testi dal vago gusto mistico e una voce che sussurra con profondità, l’album s’ispira alla Tempesta di Shakespeare per descrivere un’isola immaginaria. Ad accompagnare il musicista di Blackpool ci sono anche due star del free jazz, il sassofonista Evan Parker e il pianista Alexander Hawkins. Insomma Island of noise ha tutti i presupposti per essere un’opera molto seria. Il registro emozionale si allarga dalla speranza alla malinconia, creando uno spazio minimale e denso. Quando vengono evocati il clima e la natura dell’isola immaginaria di Cooper, l’album diventa perfetto per meditare. Questo succede grazie alle melodie vocali e al contributo degli altri collaboratori. Island of noise si apre con il sax di Parker, pronto a cambiare sempre veste, sostenuto poi dalla gravità del piano e dal violino. Questi momenti aiutano il disco a diventare un tesoro di idee musicali in grado di trasportarci verso un rifugio confortante.

Rachael Aroesti,
The Guardian

Ire
Combo Chimbita (Camila Falquez)

Nel suo terzo album il quartetto di Brooklyn di origine colombiana Combo Chimbita si evolve sia musicalmente sia spiritualmente. La band esplora la crescita emotiva personale e la coscienza politica mentre approfondisce la sua miscela cosmica di jazz psichedelico, ritmi latini e sintetizzatori. Cantate interamente in spagnolo (come sempre del resto), le nuove canzoni si avvicinano all’auto­affermazione e all’accettazione di sé con lo stesso spirito rivoluzionario appassionato che hanno quando affrontano questioni come il colonialismo e il razzismo. Su un groove denso fatto di bassi potenti, il brano Memoria trova le armonie vocali della cantante Carolina Oliveros, impegnata in una chiamata alle armi. A metà del pezzo c’è un cambio di ritmo drammatico, che si aggiunge al senso di urgenza che ribolle per tutta la traccia. Tesi grovigli di chitarre avvolte nel delay cavalcano le poliritmie nella straordinaria Babalawo, mentre i sentimenti anticapitalisti animano Indiferencia. Fino a questo momento tutti i dischi dei Combo Chimbita erano una continua fusione di stili ed energie, ma Ire ha una spinta particolare verso la contaminazione. È il loro disco più ispirato.

Fred Thomas,
Allmusic

The Erato years

Prima di fare una cinquantina di album per la Hyperion, Stephen Hough aveva già al suo attivo una discografia interessante, riproposta in questo cofanetto: anche una trentina d’anni fa il pianista britannico alternava con successo il grande repertorio e le rarità. Il disco dedicato a Schumann è splendido. Il primo concerto di Brahms, con la direzione di Andrew Davis, è particolarmente convincente. I due cd dedicati a Liszt riflettono gli aspetti più pirotecnici e luciferini del compositore. Ma la perla resta il primo dei due piano album: un insuperabile programma di bis in cui le acrobazie dei compositori-virtuosi d’inizio novecento (come Friedman, Paderewski, Rosenthal) ritrovano l’eleganza e il puro piacere dell’esecuzione tipici di quell’età dell’oro del piano.

Jérémie Bigoire,
Diapason

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1446 - 4 febbraio 2022

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