Un uomo esce dal lavoro, va a prendere la moglie, recupera i figli a scuola, passa dalla madre, mangia in un fast food e torna a casa. Poi si sveglia alle tre di notte per andare a uccidere un condannato a morte. Il film in quattro episodi dell’iraniano Mohammad Rasoulof (Orso d’oro a Berlino nel 2020) s’interroga sulla responsabilità individuale di fronte alla pena di morte (ampiamente praticata in Iran). Un boia può essere un buon padre di famiglia? Dorme bene la notte? Cosa si è pronti a sacrificare per evitare di dover uccidere qualcuno? Il male non esiste si concentra sulla pena di morte, ma anche sulle scelte di obbedienza o disobbedienza, con i loro costi. Più che al regime iraniano, che da anni, in varie forme, perseguita Rasoulof, si rivolge alla sua popolazione, costantemente esposta al dilemma del possibile compromesso. La divisione in episodi consente al regista di spaziare in tutto il paese, dai vicoli del centro di Teheran alle foreste del nord. Luoghi ritratti magnificamente nonostante la difficoltà di lavorare in semiclandestinità.
Pierre Alonso, Libération
Iran / Repubblica Ceca / Germania 2020, 151’. In sala
I rifugiati sono protagonisti di storie che hanno una tragica, devastante universalità. Raccontando quella di Amin Nawabi, un professore afgano fuggito dal suo paese ancora adolescente e stabilitosi in Danimarca, il documentarista Jonas Poher Rasmussen ha tracciato un percorso unico in mezzo all’orrore. Flee prende vita attraverso vorticose animazioni realizzate a mano, piuttosto insolite per un documentario. Ma è anche un’opera sulla memoria, una sessione di terapia e, in modo più sottile, una commedia sul coming out. Simile allo srotolarsi di un gomitolo di segreti che dopo decenni stanno finalmente per essere svelati, il film mette in scena un ricordo commovente e inquieto, una straordinaria combinazione di riflessione personale e artigianato ispirato, un’avventura straziante ma lirica. E, infine, anche una dimostrazione che c’è sempre un nuovo modo di realizzare un documentario.
Joshua Rothkopf, Empire
Francia 2021, 98’. In sala
Clémence (Isabelle Huppert) è la sindaca di una cittadina a nord di Parigi, e corre, da un ufficio amministrativo a un ministero, decisa a salvare un quartiere che cade a pezzi. Che maratona. Il lavoro del sindaco è pazzesco, ricorda un giocoliere che mantiene in aria dieci palline con due sole mani. E non bisogna dimenticare le promesse fatte agli elettori, che non costano nulla ma, almeno secondo Clémence, vanno rispettate. Qui c’è tutta la forza del film: esame anatomico del lavoro di un servitore della repubblica e rivalutazione di una funzione politica spesso sottovalutata. In La promessa, Thomas Kruithof getta la sindaca e il suo vice (Reda Kateb) nella fossa dei leoni. Di solito il cinema politico si occupa di re, primi ministri, dittatori, emiri. Quasi sempre ai vertici della piramide. Qui si torna alla base, più vicino alla terra e alle persone comuni. La promessa è quasi un poliziesco in cui l’unico crimine sarebbe dimenticarsi la “cosa pubblica”.
François Forestier, L’Obs
Francia 2021, 98’. In sala
Il film di Catherine Corsini ci trasporta nel caos di un ospedale pubblico, la sera di una manifestazione dei gilet gialli. Una notte di tensione negli squallidi corridoi di un sistema sanitario esausto, dove va in scena con brutale onestà un confronto tra mondi, senza ovvie soluzioni. Da una parte Yann (Pio Marmaï), camionista e manifestante ferito a una gamba, dall’altra Raf e Julie (Valeria Bruni Tedeschi e Marina Foïs) una coppia di radical chic in crisi, bloccate lì perché la prima si è rotta un gomito inseguendo la compagna per strada durante una lite. Così la regista s’interroga sul posto della sinistra borghese nel mondo di oggi, e non le fa sconti, ponendo un interrogativo scottante: chi è fuori luogo? Chi si lascia manipolare? Chi soffre davvero, intimamente e socialmente? Nessun teorema, nessuna condiscendenza, né facili sensi di colpa. Solo l’osservazione che l’umanesimo è ancora e sempre un’arte marziale.
Cécile Mury, Télérama
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