Ne ha fatta di strada Kae Tempest, a livello sia personale sia artistico. Ha composto tre opere teatrali, un romanzo, sei libri di poesie e un saggio. Per non parlare della musica: i primi due album sono stati candidati ai Mercury prize (il secondo, Let them eat chaos, in futuro sarà considerato tra i più originali del millennio). Con il terzo, The book of traps and lessons, prodotto da Rick Rubin, Tempest faceva una svolta minimalista. Ora arriva il quarto album, The line is a curve, un altro passo avanti. È il primo lavoro dopo il suo coming out come trans non binario e la scelta di usare per sé il pronome neutro inglese they/them. Tempest ha definito The line is a curve un disco più personale. E lo dimostra il primo piano del suo volto in copertina. I testi non sono mai stati così intimi. Inoltre lo stile dei brani è più rilassato e fluido. C’è una forte presenza dell’elettronica, ma non c’è più quell’atmosfera spigolosa e post-dubstep. Priority boredom comincia con onde glaciali di sintetizzatori, che aprono la strada alla raffica di parole di Tempest. È un inizio notevole, che migliora ancora con la traccia successiva, I saw light, dov’è presente uno dei tanti ospiti del disco, Grian Chatten dei Fontaines D.C. I saw light è un pezzo eccezionale, intimo come un confessionale. Anche Lianne La Havas si dimostra una collaboratrice straordinaria in No prizes: la sua voce piena di sentimento contrasta perfettamente con lo spoken word di Tempest. Altri brani, come Salt coast e Move, funzionano meno perché la musica soffoca un po’ le parti vocali. Kae Tempest resta uno dei più innovativi artisti britannici e, nonostante un paio di passi falsi, The line is a curve è ricco di spunti. Un ascolto appassionante.
Gordon Rutherford, Louder than War
Fin dai primi momenti della canzone Protection from evil, Al Doyle degli Hot Chip – qui in veste di produttore – ci regala un sintetizzatore così tosto che ci fa capire subito quale sarà il suono del quarto disco degli Ibibio Sound Machine. Ma non fraintendetemi, la band non ha intenzione di copiare gli Hot Chip; anzi, Doyle e compagni sono un po’ in debito con gli Ibibio Sound Machine nella fase più recente della loro carriera. Influenzato dall’afrobeat, dal tropicalismo e dall’acid house britannica, Electricity è inimitabile, perché la sua forza sta nella miscela di vari continenti. In 17 18 19 la cantante Eno Williams espande la sua voce, di solito controllata, per adattarsi alle aspirazioni disco del pezzo. In Wanna see your face again, omaggio a Giorgio Moroder, il gruppo dimostra come sa imporsi sulla pista da ballo senza troppe difficoltà. Se i testi sono, come da tradizione, intelligenti, onesti e impegnati, qui Williams li avvolge di una certa positività. Con Electricity gli Ibibio Sound Machine sanno essere straordinariamente a fuoco e originali, ma al tempo stesso restano fedeli al loro metodo di lavoro, fondato sulla diversità e la libertà.
Daniel Sylvester, Exclaim
Questo cd presenta la prima esecuzione (Venezia, 2009) di un Requiem di Bruno Maderna (1920-1973) finora inedito. Composto nel 1946, il lavoro conferma il valore e la maturità delle prime opere del compositore veneziano. Allievo di Gian Francesco Malipiero, si era nutrito dei lavori dei maestri del rinascimento e adorava Puccini: cose che emergono all’ascolto di questo potente affresco. Padroneggiando le influenze di Stravinskij, Hindemith, Bartók e della scuola italiana, Maderna esprime il suo albero genealogico di musicista: evita il pastiche e dimostra la capacità di scegliere sempre l’espressione che dà il carattere appropriato a ogni parte del testo liturgico, in un caleidoscopio stilistico. Un Requiem né passatista né modernista, che punta, come quello di Verdi, all’eloquenza. Non bisogna lasciarsi scappare questo capolavoro.
Gérard Condé, Diapason
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