Alla fine del film di Downton Abbey sembrava che la serie fosse arrivata alla fine. E invece no. La creatura di Julian Fellowes è balzata in piedi dal letto di morte per un nuovo giro di charleston. E devo ammettere – come qualcuno che si aggira con in mano un pacchetto di patatine vuoto, che dieci minuti prima era pieno – che l’ho trovato divertente, più sciocco, sdolcinato e snob che mai. Siamo lontani anni luce da Gosford park, il film di Robert Altman scritto da Fellowes, da cui però sono state sfacciatamente riciclate alcune idee sulla sottotrama che include Hollywood. E c’è un altro prestito (ancora più sfacciato) da Cantando sotto la pioggia. Tutto questo metterà a dura prova la pazienza dei non appassionati. La vecchia magione ha bisogno di una sistemata al tetto e il modo più facile per rimediare denaro è accettare l’offerta della gente del kinema (come lo chiama il conte di Grantham). Nel frattempo si scopre che lady Violet ha ereditato una tenuta nel sud della Francia e una parte della famiglia va in Costa Azzurra per vedere di cosa si tratta. Tutto quello che succede è allegramente ridicolo, ma piacevole. Ora però speriamo proprio che sia finita.
Peter Bradshaw, The Guardian
Stati Uniti / Regno Unito 2022, 125’. In sala
Francia 87’. In sala
Laurent Cantet si rivolge al caso di Mehdi Meklat, blogger, giornalista e scrittore francese, diventato un beniamino dei media parigini prima che una serie di tweet odiosi che aveva firmato in precedenza con uno pseudonimo lo gettassero nella polvere. Concentrata su un periodo di due giorni, la storia è incollata al personaggio di Karim D. (Rabah Naït Oufella), di cui seguiamo l’affermazione e il declino. Tra programmi tv e serate mondane, Karim D. resta un enigma. Incarna una zona grigia della nostra società e i limiti di quegli ascensori sociali su cui il regista di Risorse umane e La classe s’interroga costantemente. Il suo nuovo film, tra radiografia dell’epoca e peregrinazioni esistenziali, è adatto ad alimentare il dibattito.
Nicolas Schaller, L’Obs
Ucraina 2020, 105’. In sala
Nel cupo Bad roads quattro racconti tesi, ambientati nelle periferie del Donbass durante la guerra del 2014-2015, illustrano le strategie di sopravvivenza dei civili. I vari episodi non danno vita a un insieme narrativo forte, ma alla luce dell’attualità assumono un significato particolare. Nel primo episodio un preside ubriaco è bloccato da un militare a un check point e crede di vedere una sua studente affacciarsi alla finestra di un bunker. Nel secondo (forse il meno riuscito) alcune ragazze aspettano dei soldati con cui escono alla fermata di un autobus. Nel terzo episodio (il più lungo e il più devastante) una giornalista è prigioniera di un soldato in un bunker. Nell’ultimo (il più assurdo) una giovane s’imbatte in una famiglia che non sfigurerebbe in un horror occidentale. Tutti gli episodi ruotano intorno a incontri che sembrano poter sfociare nella violenza da un momento all’altro. Fortunatamente per gli spettatori, solo uno si spinge fino in fondo. Promettente esordio cinematografico per Natalia Vorozhbyt, che ha tratto il film da uno spettacolo teatrale che lei stessa ha scritto.
Alissa Simon, Variety
Francia 2021, 98’. In sala
Anaïs ha trent’anni e pochi soldi per tirare avanti. Ha un amante che non è più sicura di amare. Poi incontra Daniel, un intellettuale più maturo, che all’inizio le piace. Ma Daniel vive con Émilie e anche lei le piace molto, decisamente più di Daniel. Questa è la storia di una giovane irrequieta e anche la storia di un grande desiderio. Gli amori di Anaïs affronta il tema dei contrasti tra le diverse età della vita. E per metterli in scena Charline Bourgeois-Tacquet sfrutta alla perfezione i suoi interpreti. Di Denis Podalydès e Valeria Bruni Tedeschi ci restituisce quel languore pacificato di chi non ha più molto di cui preoccuparsi. Di Anaïs Demoustier, particolarmente incasinata, usa magnificamente la silhouette leggera.
Olivia Cooper-Hadjian, Cahiers du cinéma
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