Un lutto insolito è come un fiume. La storia acquista turbolenza e ritmo mentre scorre attraverso il lettore, si contorce su se stessa finché alla fine la sua torsione emotiva sembra aprirsi a una foce, mentre il dolore che alimenta questa narrazione raggiunge l’accettazione, o forse la resa. Nel mappare l’evoluzione del lutto, il romanzo di Yewande Omotoso si sottrae ai cliché. La figlia di Mojisola, Yinka, si è uccisa. Sotto choc, Mojisola scappa dalla sua casa di Città del Capo e va nell’appartamento di Yinka a Johannesburg, lasciandosi alle spalle il marito Titus, infedele seriale. Si trasferisce tra le rovine della vita della figlia, fa amicizia con l’ex padrona di casa e occasionale spacciatrice Zelda mentre affitta l’appartamento per sé, e cerca di scoprire chi era Yinka e cosa le è successo. Questa ricerca la porta ad addentrarsi in una vita completamente diversa da quella che lei stessa ha vissuto. Naturalmente, l’esperimento non funziona: le tracce lasciate da una persona non corrispondono alla persona stessa, come Mojisola finisce per accettare. E scopre l’inconoscibilità di qualsiasi altra vita, anche quella di sua figlia. Omotoso è brava nel trattare il lutto, il trauma, la perdita. Ma è eccezionale quando parla di dettagli, quando racconta di come anche le persone in preda a emozioni estreme devono comunque lavare i piatti. Un lutto insolito offre ai lettori una consolazione per le imperfezioni con cui tutti dobbiamo fare i conti.
Barney Norris,The Guardian
È l’estate del 2002, i Mondiali di calcio stanno per finire e il corpo di Hae-on è trovato senza vita in un parco di Seoul. A prima vista, Lemon di Kwon Yeo-sun sembra essere il tipico giallo. Gran parte del primo capitolo è dedicato a un colloquio tra il detective e il sospettato. Ma poi Kwon dirige l’attenzione altrove. Certo, alla fine si scopre l’assassino, ma la cosa passa in secondo piano. Novella in otto scene, Lemon è narrata dalle voci alternate di tre donne che ricordano una tragedia avvenuta ai tempi del liceo. La prima e più importante è Da-on, la sorella minore di Hae-on. Da-on e sua madre affrontano la perdita con un dolore imbarazzante e un po’ disperato. Da-on si sottopone a un intervento di chirurgia plastica per somigliare di più alla splendida sorella morta. La bellezza di Hae-on è elogiata per tutto il tempo, e Kwon si affida molto al motivo letterario della vittima avvenente e virginale. Il secondo narratore è Sanghui, compagno di classe di Hae-on. È attraverso la lente di Sanghui che assistiamo alle crude trasformazioni fisiche e mentali di Da-on. Quando Da-on finalmente riemerge da un periodo di lutto che descrive come un “precipitare in un pozzo profondo”, il suo primo desiderio è la vendetta. Yun Taerim, la terza narratrice e un’altra compagna di classe di Hae-on, è una donna afflitta da un segreto. Tenta di liberarsene attraverso monologhi sconclusionati, incapace di dire l’unica cosa che potrebbe salvarla. Una storia intensa e rinfrescante. Come i limoni.
Oyinkan Braithwaite, The New York Times
L’affascinante esordio di Mark Haber ha un modello riconoscibile: Thomas Bernhard. L’austriaco scriveva testi brevi ma non concedeva riposo, e Haber si muove con lo stesso flusso incessante. Inoltre, come Bernhard scriveva di vecchie celebrità della cultura come Wittgenstein e Glenn Gould, i protagonisti di Haber sono i fiori di serra dell’Europa orientale all’inizio del novecento. C’è un narratore senza nome, “incantato e stupefatto” dal personaggio del titolo. Jacov Reinhardt ha carisma da vendere – la sua fortuna deriva dal tabacco – e il tipo di nozioni messianiche che guidavano le figure fiammeggianti dell’epoca. Sta componendo un grande Trattato sulla malinconia e nel frattempo detta la sua biografia al suo assistente idiota. Il romanzo è un tumultuoso carnevale di ossessioni. All’inizio, Jacov è alla deriva nella giungla uruguaiana, in cerca dell’uomo che ritiene più vicino alla comprensione della malinconia. Il viaggio genera una suspense continua, e anche se il finale funziona, è il carnevale che lo precede a sostenere davvero il progetto di Haber. Le curve a gomito, le acrobazie maniacali, le migliaia di pagliacci che irrompono dai confini del libro. Questo romanzo può sembrare una novità, ma si legge come una delizia senza tempo, un bel racconto avvincente.
John Domini, Star Tribune
Scholastique Mukasonga, nata in Ruanda nel 1956 e in esilio in Francia, non era mai stata così ribelle, fantasiosa e satirica. Con questo romanzo si libera finalmente dell’impresa cominciata quindici anni fa: testimoniare il genocidio del 1994 perpetrato dagli hutu, durante il quale morirono sua madre, suo padre e una trentina di componenti della sua famiglia, senza che fosse loro concessa nemmeno una semplice sepoltura. Con Kibogo è salito in cielo, la testimone tragica diventa una protagonista. La scrittrice restituisce al secolare regno del Ruanda le sue leggende, le sue credenze e i suoi costumi, ma anche la sua resistenza all’evangelizzazione e alla colonizzazione. Finge di arbitrare, su una montagna sacra colpita da un fulmine, alle porte del cielo, un duello allegorico tra Kibogo, figlio del re, e Yésu, figlio di dio, fra streghe e missionari, vecchi bucanieri e padri bianchi, ognuno dei quali si contende il potere di comandare le nuvole e il privilegio di far cadere la pioggia su una terra arida. In un libro popolato da sacerdotesse e pitonesse, la più ammaliante di tutte è Scholastique Mukasonga.
Jérôme Garcin, L’Obs
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati