Qualcuno ha detto che ogni grande artista gira intorno al proprio fuoco, un trauma troppo luminoso e troppo ustionante per essere toccato, ma la cui luce è catturata e rifratta nelle sue opere. Miriam Toews si avvicina così tanto al proprio fuoco che le pagine dei suoi libri sembrano incendiarsi. Il fuoco di Toews è una fiamma gemella: i suicidi di suo padre e di sua sorella, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro, entrambi sui binari del treno; e i valori autoritari e patriarcali della comunità dei mennoniti, da cui lei è fuggita. Notte di battaglia è la storia di tre generazioni di donne raccontata dalla più giovane di loro. Swiv è una bambina di nove anni che vive con la madre e la nonna, Elvira. Le loro voci scorrono attraverso di lei, e Toews è maestra nel far vorticare le prospettive degli adulti attraverso il monologo imperfetto di Swiv. Il libro è scritto come una lettera al padre assente, così assente che perfino Swiv sembra dimenticarlo. Il lettore è trascinato nell’intimità di una famiglia disfunzionale, il cui amore incondizionato farebbe però invidia a qualsiasi famiglia. Le tre donne sono sole contro l’universo, così aderenti ai bordi frastagliati l’una dell’altra che i loro contorni individuali si confondono. La madre di Swiv è incinta e i suoi sbalzi d’umore scuotono la famiglia. Elvira è una figura carismatica che non ha paura della morte, anzi non ha paura di nulla. Le ansie della bambina pulsano sotto la narrazione. Il tono scelto da Toews è il dolceamaro, il tragicomico. Questo libro è più lontano dalla fiamma rispetto ad altri di Toews, e il dolce minaccia di sovrastare l’amaro.
Nadja Spiegelman,The New York Times
Le famiglie tendono all’entropia? Cosa succede ai misteri familiari che si tramandano di generazione in generazione? Maisy Card solleva questa costellazione di domande nel suo romanzo d’esordio. Ma non pretende di rispondere né di mettere in ordine la vita dei suoi personaggi. Piuttosto, offre un libro traboccante di umanità schietta e senza fronzoli. Introduce Abel Paisley, un giamaicano di 69 anni i cui antenati, discendenti e parenti popolano il romanzo. Le relazioni sono così complesse che Card fornisce ai lettori un albero genealogico per non perdersi. Intere famiglie sono sintetizzate in due pagine, storie che si accumulano come strati di terra. Viaggiamo tra la Giamaica e New York, perseguitati da fantasmi, crudeli sorveglianti bianchi, membri della famiglia con dipendenze e il peso di una storia tormentata dallo sfruttamento bianco. Card analizza l’impatto del razzismo interiorizzato dai giamaicani neri, mentre i bianchi in Giamaica e negli Stati Uniti abusano dei loro privilegi. La storia della famiglia di Abel si svolge in modo disordinato, ma con un arco che tiene tutto insieme. Card collega familiari e storie che apparentemente non hanno niente in comune, lasciando dei vuoti per le congetture. Quale memoria è accurata? Quale giudizio è affidabile? Nessuno sfugge al trauma generazionale.
Martha Anne Toll, The Washington Post
A Tom non ne va bene una. Per tutto il giorno, questo commesso di un negozio per culturisti si chiede cosa stia facendo della sua vita. Somministra ai suoi clienti integratori alimentari, perde tempo a guardare video di allenatori e nutrizionisti, ripete gli stessi gesti in palestra. Si nutre di oblio e di vuoto. Ma questo non è il peggio. Tom ha appena compiuto cinquant’anni e sua moglie, Mathilde, gli ha preparato una sorpresa. Il loro figlio è stato appena lasciato e sta tornando a casa. Come se non bastasse, il padre di Tom, Maurice, ha il cancro e va a vivere con loro. “Bisogna stare in guardia, aspettarsi il peggio, perché alla fine è il peggio che accade”, ripete Tom a se stesso. Infatti, mentre aiuta una donna per strada, si trova costretto ad accoglierla in casa. La tragedia si trasforma in commedia quando, la sera, Mathilde serve delle polpette alla donna che, in lacrime, spiega: “Ecco di cosa sono fatta… Perché sono una mucca!”. N7A, questo è il suo nome, sembra una donna ma geneticamente è un bovino. Il suo proprietario l’ha creata per avere compagnia. Tutto questo è mostruoso e terribilmente divertente. N7A è una mucca? È pazza o sta dicendo la verità? Gunzig gioca con le apparenze e la buona coscienza. E c’insegna una verità: dobbiamo imparare a morire… di risate! Perché alla nostra epoca manca proprio l’umorismo. Così l’ironia, sotto la sua penna, è uno stimolo alla riflessione. L’autore prende in giro i nostri cliché sulla coppia, sulla virilità, sulla riduzione delle donne a bestiame. Il registro fantastico ci permette di porre domande sul genere, sui rifugiati, sul razzismo, sull’ecologia, e ci mette di fronte alle nostre contraddizioni e alla nostra ipocrisia. Forse non siamo quello che pensiamo di essere.
Alice Develey, Le Figaro
Cose che non ho buttato via è un libro di memorie sottile e affascinante, in cui il polacco Marcin Wicha ripercorre la vita e i tempi della madre, Joanna, attraverso i libri che ha lasciato alla sua morte. Tra loro ci sono quelli di cucina risalenti all’epoca di Stalin, sbiaditi tomi di metà secolo, un manuale d’inglese degli anni ottanta e molti volumi di psichiatria e autoaiuto relativi al suo lavoro di consulente a Varsavia. Questo tenero omaggio alla bibliomania di una donna è anche un’appassionante panoramica della storia della Polonia del dopoguerra.
Houman Barekat, The Guardian
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati