Una famiglia allargata di Oslo si è riunita all’estero per festeggiare il settantesimo compleanno di Sverre. Durante la cena, lui e la moglie Torill danno una notizia che sconvolge figli e nipoti: stanno divorziando. Perché divorziare ora, quando finalmente potranno godersi la pensione insieme? I due non hanno una buona risposta. In Una famiglia moderna vediamo come i figli adulti della coppia affrontano la novità. Liv passa troppo tempo a cercare di scoprire cosa è andato storto, e questo finisce per ripercuotersi sia sul marito Olaf sia sui due figli. Ellen ha la sua crisi personale: lei e il fidanzato non possono avere figli. Håkon rimane un personaggio un po’ misterioso fino all’ultimo capitolo. La scrittrice norvegese Helga Flatland continua il suo progetto sulla Norvegia di oggi, raccontando la ricerca dell’autorealizzazione, della carriera, della libertà e ciò che può provocare nei rapporti tra le persone. Il grande punto di forza di Flatland, nata nel 1984, è la costruzione di personaggi credibili. Ma il fatto che la storia sia raccontata attraverso tre figure diverse, che danno versioni diverse degli stessi eventi, significa anche che Flatland fornisce al lettore molte informazioni in poche pagine. Più volte, leggendo, ci si chiede: tutto deve essere spiegato? Perché è lasciato così poco spazio all’interpretazione del lettore? Tra i fratelli, è la storia di Liv la più coinvolgente. Forse Una famiglia moderna sarebbe stato più efficace con una composizione basata su un solo protagonista.
Brynjulf Jung Tjønn, Verdens Gang
La signora Potter è una sorta di divinità che invia doni ed esaudisce i desideri dei bambini buoni, troppo buoni, che fanno sempre la cosa giusta e che non ricevono dai loro genitori le attenzioni che meritano. La signora Potter manda regali a questi bambini, sì, ma in cambio gli chiede che facciano qualcosa di male. Uno dei bambini è Rupert, protagonista di un romanzo di Louise Cassidy Feldman, che per questo suo unico libro per ragazzi si è ispirata alla città di Kimberly Clark Weymouth. Era tanto tempo fa. Il romanzo immaginario – che si chiama appunto La signora Potter non è esattamente Santa Claus – è stato un successo e ha segnato per sempre la città, che ora riceve pullman di lettori diretti al negozio di souvenir e oggetti legati al romanzo. Il negozio è gestito da Billy Bane Pletzer, che incolpa della fuga della madre il romanzo e il fascino che esso esercitava sul padre. Questo è il punto di partenza del sesto romanzo di Laura Fernández. In seguito la narrazione cresce, compaiono altri personaggi, sono esplorati diversi temi e la città, Kimberly Clark Weymouth, è trattata, a volte, come un personaggio, altre, come un luogo. Nel libro s’insinuano temi come la scrittura, il giornalismo, la sorveglianza e il controllo delle vite degli altri, la maternità, la creazione, la dissoluzione del sé, il rapporto tra letteratura e finzione. Ci sono riunificazioni e abbandoni, morti, falsi crimini, storie d’amore, sesso senza fine e una serie di omicidi in città. Aloma Rodriguez, Letras libres
Dove vanno a finire tutti gli uomini che escono a comprare le sigarette e non tornano più? Nel folle romanzo di Clemens Setz, una combinazione segreta su un distributore automatico apre loro un passaggio in un regno intermedio sotterraneo, la porta d’ingresso di tutti quelli che abbandonano la vita. Alcuni restano lì per sempre, altri arrivano a Singapore o a San Pietroburgo con la metropolitana, e riappaiono con un nome falso e un nuovo taglio di capelli. Questa è solo una delle tante idee grottesche e brillanti dell’autore. Lo stesso si potrebbe dire del soggetto del libro. Si tratta dei cosiddetti bambini indaco, quelli con una strana “aura blu”, la cui sola presenza provoca mal di testa, diarrea ed eruzioni cutanee a tutti coloro che li circondano. Sono collocati in un istituto educativo speciale lontano dalla società. Alcuni, tuttavia, sono prelevati da lì, cioè scompaiono senza lasciare traccia. Altri si uccidono per disperazione. Siamo di fronte a una sofisticata metanarrazione in cui diversi livelli di tempo e realtà si completano a vicenda, a volte si annullano, e i filoni principali sono interrotti da flashback, digressioni e inserti documentali come lettere e cartelle cliniche. La preoccupazione principale del libro consiste nel dimostrare quanto sia diventato difficile distinguere fatti e finzioni nell’era di internet.
Jan Wiele, FrankfurterAllgemeine Zeitung
Autore prolifico, Éric-Emmanuel Schmitt ha scritto una quarantina di libri. Glielo dice il narratore dell’ultimo, il giovane Augustin Trolliet. “Già quaranta?”, sospira Schmitt. Figlio abbandonato, Trolliet è un apprendista del Demain, il giornale di Charleroi, in Belgio. Ha assistito per caso a un attentato suicida mentre usciva da un funerale. Ha visto chiaramente l’attentatore, ma soprattutto ha visto un piccolo uomo con una djellaba in piedi sulla sua spalla, che gli parlava all’orecchio con un’espressione furiosa. Augustin ha un dono: vede i morti. O più precisamente, per alcuni dei vivi – non tutti, per fortuna – vede il loro partner morto. Suo malgrado, è coinvolto nelle indagini e deve dipanare molti fili, alcuni dei quali esplosivi. E incontra Schmitt nel suo castello-fattoria seicentesco. Lo scrittore lo manderà a intervistare dio in compagnia di un transessuale alcolizzato soprannominato Oum Kalsoum. Un bello scoop per un apprendista.
Thierry Gandillot, Les Echos
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