Tookie, l’eroina del nuovo romanzo di Louise Erdrich, è condannata a sessant’anni di carcere per aver rubato un furgone. Ma Tookie non è sorpresa dalla durezza della pena. “Ero dalla parte sbagliata delle statistiche. I nativi americani sono le persone in carcere con le condanne più pesanti”, afferma. In cella i libri sono la sua salvezza. Così, quando nel 2015 è rilasciata trova lavoro in una libreria di Minneapolis. E qui questo romanzo potente e accattivante prende una svolta. Non è il periodo di detenzione di Tookie il vero fulcro del libro, ma la sua vita dopo, delineata con la cura e l’acume politico che hanno sempre contraddistinto il lavoro di Erdrich. L’anno che bruciammo i fantasmi ha un’immediatezza quasi scioccante, ambientato sullo sfondo della pandemia e dell’omicidio di George Floyd a Minneapolis, dove Erdrich vive. Dopo che la sua vita le è stata restituita, Tookie assapora la quotidianità: la presenza confortante del marito, il rapporto aspro con la figlia dell’uomo. Man mano che la cronologia del romanzo procede, la catastrofe s’intromette nella vita felice, anche se tormentata, di Tookie. Erdrich sa cogliere la paura e il piacere di una metropoli improvvisamente deserta e di una vita improvvisamente chiusa per via del covid-19. Nei primi mesi della pandemia Tookie si sente al sicuro. Ma la morte di Floyd fa saltare tutto e in un certo senso riporta il lettore a un sistema legale costruito su ingiustizia e oppressione.
Erica Wagner,The Guardian
Un diario di guerra scritto da Sara K. tra il 2 agosto 1939, alla vigilia dell’invasione nazista della Polonia, e il 28 gennaio 1945, il giorno dopo la liberazione di Auschwitz. Le sedute di analisi della figlia di Sara, Clara, nata nel 1949 in Brasile, che cresce nel silenzio complice del trauma, senza alcuna informazione sul passato. Gli appunti di sua nipote, Lola, nata nel 1984 a Recife, che da adulta intraprende una ricerca storica sul riconoscimento delle conseguenze sull’inconscio collettivo della violenza nazista. Le voci di tre generazioni di donne si rivolgono alla pronipote appena nata, Luiza, nella speranza di un futuro di liberazione attraverso le parole. Letteratura, storia, eredità generazionale, esperienze che traboccano e s’intrecciano in Eredità. Il libro si basa su una ricerca durata sei anni sui diari dei bambini che hanno vissuto nei campi di concentramento. Continuare a vivere nel dolore del silenzio, trasmettendo la stessa eredità traumatica a sua figlia Luiza è terrificante per Lola. “Questo mio tentativo di salvare Luiza dal nostro passato è inutile. Riproduco gli errori di mia madre e di mia nonna”. Eredità ruota intorno a personaggi di fantasia in un contesto storico pieno di atrocità, che è anche un’eredità. Paralizzando la vittima, mettendola a tacere attraverso la vergogna di ciò che ha subìto, l’eredità diventa un vuoto, un’intercapedine, una rimozione che cristallizza la violenza che non è mai stata raccontata. E se non viene elaborata, non c’è prospettiva di superarla. Lola, garzie alla ricerca e alla riflessione, rompe il patto del silenzio sulle radici dell’orrore, e recupera il filo narrativo interrotto.
Bertha Maakaroun, Estado de Minas
Un tempo le comunità rurali giapponesi lasciavano morire gli anziani su una montagna. La pratica, ubasute, svolge un ruolo centrale in Dendera, il romanzo di Yuya Sato, dove però, piuttosto che accettare il loro destino, alcuni anziani si coalizzano per fondare una colonia tutta loro. Qui fanno una vita primitiva sotto la guida di una matriarca centenaria che sogna ancora di attaccare il villaggio che li ha originariamente abbandonati. Kayu Saitoh, l’intrattabile protagonista del romanzo, è inizialmente sconvolta quando viene introdotta in questa comunità e le viene negato il paradiso che pensava attendesse tutti coloro che “scalano la montagna”. Ma le sue obiezioni sono messe da parte quando la colonia è attaccata da un orso affamato e lo scoppio di una misteriosa peste minaccia di distruggerla. Potrebbe sembrare un’allegoria del destino dell’invecchiamento della popolazione giapponese, ma Sato non mira a nulla di così profondo.
James Hadfield, The Japan Times
L’abilità di Elia Barceló nel costruire la struttura narrativa e distribuire le varie componenti dell’intrigo non si discute, anche se su questi aspetti i modelli sono consolidati: dalla classica soap opera, con le sue dosi di suspense ottenute spezzando continuamente la narrazione, all’alternanza tra due o più enigmi distribuiti su fasce temporali che permettono di contrapporre il passato e il presente, o alla composizione a collage, che incorpora materiali – foto, lettere, pagine di diario, ritagli di giornale – conservati da una madre in una scatola da regalare alla figlia. La figura del padre, Goyo Guerrero, fratello d’armi di Franco, è al centro di uno dei fili della storia, che porta al colpo di stato del 23 febbraio. L’omicidio di sua figlia Alicia nella tenuta di famiglia di La Mora – nel 1969 – serve a proiettare l’attenzione sulle figure di quella piccola cerchia hippie. Il matrimonio della nipote di Helena Guerrero riporta questa brillante pittrice di fama internazionale a Madrid e la fa incontrare con i fantasmi di un passato da cui era fuggita. Ambizione, risentimento, gelosia, invidia, tradimento, adulterio guidano una trama che ci porta nel mondo dell’alta moda, dell’ingegneria finanziaria e della speculazione.
Samuel Sánchez, El País
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