L’album MITH del 2018 di Lonnie Holley, artista e musicista statunitense, è il fiore all’occhiello della sua carriera. È un disco di blues celestiale e spettrale, declamato piuttosto che cantato. Dopo aver fatto un disco del genere, cosa fai? In seguito è arrivata la collaborazione con Matthew E. White in Broken mirror, una brillante raccolta di inni e osservazioni sul mondo, racconti della carne e non solo dello spirito. Il suo nuovo lavoro, Oh me oh my, segue quella scia e fa un ulteriore passo avanti, affrontando il funk profondo di dischi come My life in the bush of ghosts. Le collaborazioni, che spaziano da sconosciuti a star come Michael Stipe dei R.E.M. e Bon Iver, rafforzano questa impressione: è come se all’improvviso si manifestasse una connessione sommersa con il mondo che era stata presente nel lavoro di Holley fin dall’inizio. È facile che questo genere di cose puzzi di stronzata new age che svende la realtà del dolore. Non è questo il caso: una rapida occhiata alla biografia di Lonnie Holley lo conferma. Le note tese di speranza nella sua voce non sono ingenuo idealismo, ma qualcosa che proviene da una vita difficile. Ascoltando Oh me oh my, non riesco a liberarmi dalla sensazione di sentire mio nonno che parla. Spesso non sono d’accordo con quello che dice, ma lui si esprime sempre con il cuore, cercando disperatamente di trasmettermi cose che trova di valore, prima di andarsene per sempre.
Langdon Hickman, Treblezine
Nel quinto album di Huw Evans con lo pseudonimo H. Hawkline viene tirato lentamente giù un muro fatto di assurdità e sostenuto da un art pop vintage meraviglioso. Scritto in un periodo doloroso, questo lavoro mostra un’armatura, quella dell’autore, che alla fine si rivela debole. Milk for flowers comincia subito con i due pezzi più ritmati, per poi approdare in una terra di mezzo tra Sgt. Pepper’s e Perfume Genius, probabilmente anche per merito della produzione curata dalla collega Cate Le Bon. Gradualmente i toni scherzosi e spavaldi lasciano spazio a qualcosa di più fosco e comincia la lenta distruzione di quel muro, mattone dopo mattone. Tra pianoforti vivaci e assoli di chitarra alla Paul McCartney, in Like you do l’artista gallese ammette di avere il cuore a pezzi e di essere geloso di chi se la cava meglio di lui, mentre in Mostly si sofferma sulla sua mortalità. Evans ha bisogno di cantare ed è anche così che comunica il suo nonsense. Se l’album parte con la spavalderia di chi ride perché si è rotto il naso, finisce con una riflessione sulla maglietta insanguinata. Vale la pena di conoscere H. Hawkline, un artista vulnerabile, e più a suo agio con il disagio.
Jake Crossland, Loud and Quiet
Carl Reinecke (1824-1910) era una figura di punta della scena musicale di Lipsia, un pianista di altissimo livello, un compositore e un professore molto rispettato. La sua opera per due pianoforti è di una ricchezza stupefacente. L’Andante con variazioni op. 6 (1844) alterna delicatezza e grandi fiammate di passione, ed è una testimonianza perfetta dell’influenza di Schumann, che ritroveremo in altri pezzi. L’ombra di Liszt aleggia invece sulle Variazioni su una sarabanda di J.S.Bach op. 24 (1849). Costruita sulla Suite francese n. 1, è un’opera monumentale e annuncia il lavoro di Busoni, che fu allievo di Reinecke. Il duo bulgaro Genova & Dimitrov rende giustizia alla scrittura potentemente polifonica e orchestrale delle variazioni, alla loro severità e alle loro accensioni emotive. Tra gli altri lavori notevoli, i Bilder aus Süden (immagini dal sud), del 1865, strizzano l’occhio ancora a Schumann e ai suoi Bilder aus Osten. E uniscono piacevolmente brillantezza (Gondoliera) e sensualità (Unter cypressen). La chiarezza, la vitalità e il fascino sonoro di Genova & Dimitrov contribuiscono alla piacevolezza dei tre cd di questo album pieno di scoperte.
Bertrand Boissard, Diapason
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