Gli Everything but the Girl tornano dopo 24 anni e per molti versi è come se non fossero mai andati via: il suono di Fuse ricorda il loro arrivo nel mondo dei club degli anni novanta, quando il breakbeat s’infiltrò nella sognante elettronica indie. Ma qui c’è una differenza cruciale, ed è Tracey Thorn. Parlando di Temperamental (1999) lei ha scritto che “in un certo senso ero la cantante ospite nell’album di qualcun altro”. In Fuse non è così. Il sobrio pianoforte di Ben Watt e i synth tesi e carichi d’ansia fanno un passo indietro e lasciano Thorn in primo piano. E lei è più che all’altezza del compito: ora ha una voce più piena, profonda, arricchita dall’esperienza e perfettamente adatta a queste canzoni sulla ricerca della luce nell’oscurità. “Dammi qualcosa a cui posso aggrapparmi per sempre”, supplica in Forever. “Non essere così duro con te stesso, fatti un’altra sigaretta”, consiglia decisa in When you mess up. Ma è il ritornello di Nothing left to lose – “Baciami mentre il mondo va in rovina” – che racchiude nel modo migliore il disco. C’è una presa di coscienza che per far passare la fatica – quella che forse arriva con l’età, o forse è un sintomo dello zeitgeist di oggi – servono l’amore e il dolce abbandono nella danza.
Becca Inglis, The Skinny
Fantasticare sulla vendetta nei confronti di un ex va molto di moda e sembra faccia anche bene alle vendite. Ma Salad, un pezzo di questo debutto di Sabrina Teitelbaum come Blondshell, alza l’asticella ponendosi tra la rabbia dei Cranberries e situazioni più oscure alla Depeche Mode. Quello che immagina è di uccidere l’uomo che ha fatto del male alla sua amica: è il momento più esplicitamente furioso di tutto il disco, che altrove tratta la rabbia in maniera più sottile e sfumata, per riflettere sulle dinamiche complesse che possono spingere le donne a tollerare i maltrattamenti. Se nella sua vita artistica precedente, quando si firmava Baum, la giovane cantautrice di Los Angeles scriveva slogan alt-pop alienati e femministi che sembravano già sentiti, con la disintossicazione e il lockdown della pandemia ha trovato ispirazione nelle Hole e in PJ Harvey, e l’ha incanalata in un’opera di formazione infuocata ma anche lucida e divertente. Una costante è il desiderio distruttivo di sentire qualcosa, che arrivi dalle droghe, dal sesso o da conferme ingannevoli: “Sono innamorata di un sentimento, non di qualcuno o qualcosa”, canta in Tarmac. Blondshell riesce a trasformare questo desiderio in un rock melodico che getta un po’ di aria fresca sulle influenze degli anni novanta.
Laura Snapes, The Guardian
Se non siete studenti di violoncello probabilmente non sapete che Jacques Offenbach, famoso per le sue operette, compose anche molti duo per questo strumento. Il compositore tedesco naturalizzato francese era lui stesso un violoncellista, quindi la sua gestione dello strumento è sempre idiomatica e, prevedibilmente, ricchissima di melodie. Si potrebbe pensare che dopo aver ascoltato uno dopo l’altro duetti di tre movimenti, con tutti i ritornelli, si provi un senso di stanchezza o di monotonia. Eppure l’uso attento dei registri e l’accurata divisione di melodia e accompagnamento tra i due strumenti riescono sempre a mantenere alta l’attenzione di chi ascolta. Merito anche dell’intonazione impeccabile, dell’unanimità d’insieme e del fraseggio intelligentemente sfumato dei violoncellisti Giovanni Sollima e Andrea Noferini. Un buon esempio è il discreto vibrato del tema con variazioni dell’op. 19 n. 2. Anche i passaggi tecnicamente più ardui non sono mai un problema per i due musicisti. Forse molti penseranno che quasi otto ore di musica per due violoncelli di Offenbach sono un po’ troppe. Ma questo album della Brilliant Classics è veramente consigliato a tutti gli studenti e gli insegnanti di violoncello e, inutile dirlo, ai fanatici di questo strumento.
Jed Distler, ClassicsToday
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