Dopo ventiquattro anni di carriera e nove album, i National continuano ad analizzare la loro tristezza. La band, nata nell’Ohio ma trapiantata a New York, di recente si è dedicata a progetti solisti: il cantante Matt Berninger ha pubblicato un disco nel 2021 e il chitarrista Aaron Dessner ha lavorato con Ed Sheeran e Taylor Swift. Ma il nuovo disco, intitolato First two pages of Frankenstein, soddisferà i fan di lunga data. Con la maturità è arrivata una ritrovata morbidezza. Sono finiti i riff aspri e spigolosi dei primi album come Alligator, mentre l’oscurità di High violet del 2010 è soppiantata da composizioni delicate che giocano sui testi impressionistici di Berninger. La canzone d’apertura Once upon a poolside, registrata insieme a Sufjan Stevens, fa capire subito come stanno le cose, con una lamentosa melodia di pianoforte che accompagna versi ansiosi come “Cos’è che ti preoccupava tanto?”, prima di scivolare in uno stato d’animo altrettanto desolato in This isn’t helping, un brano accompagnato dalle armonie vocali di Phoebe Bridgers. The Alcott, con Taylor Swift, inietta un tocco di leggerezza, ma per il resto l’album gira costantemente su ritmi lenti, quasi ambient. I temi e la voce baritonale di Berninger rendono First two pages of Frankestein un classico disco dei National, ma stavolta rispetto agli album precedenti manca un po’ di vitalità.
Ammar Kalia, The Observer
Quando la cantante soul britannica Jessie Ware si è reinventata come disco diva con l’euforico What’s your pleasure? del 2020 abbiamo pensato fosse una fase indotta dagli aperitivi su Zoom e dal pane fatto in casa. Invece il suo ritorno ribadisce la missione di quel disco, sostituendo il punto interrogativo con quelli esclamativi. That! Feels good ! è ancora più eccitante ed eccitato, con quell’apertura fatta di gemiti e linee di basso che non lasciano dubbi su dove andrà il resto. L’album è più vicino a Disco di Kylie Minogue che al suo predecessore più sofisticato, e attinge agli aspetti più camp di questo genere. Però stavolta Ware è ancora più determinata nell’ambientare la sua musica all’interno di un club. La rinnovata collaborazione con James Ford dei Simian Mobile Disco e l’arrivo del produttore Stuart Price dà ai pezzi un suono più contemporaneo. Nonostante questo, a volte si rischia di virare verso il soul bianco degli anni settanta e il soft rock, ma per fortuna la voce versatile di Ware giunge sempre in aiuto anche nei brani meno riusciti. That! Feels good! abbraccia un passato senza smartphone insieme a un presente, e anche un futuro, dove le piste da ballo sono aperte a tutti.
Sal Cinquemani, Slant
Volete sentire il Don Giovanni senza cantanti e orchestra? Ecco la soluzione: Georges Bizet trascrisse tutta l’opera per pianoforte solo, su richiesta di un editore che pubblicò la partitura nel 1866. La sua riscrittura dell’opera di Mozart è sempre idiomatica. Era stata dimenticata da tutti, ma non dal più instancabile appassionato di trascrizioni pianistiche del mondo, Cyprien Katsaris. Ci basterebbe che suonasse tutte le note e riuscisse a farsi largo nelle tessiture orchestrali e vocali. Ma il pianista francese è un virtuoso, e fa molto di più. La sua articolazione e il suo cantabile sono di una varietà di sfumature infinita, e ricreano il dramma e la natura dell’opera. Basta notare le due linee vocali del duetto Là ci darem la mano, con timbri diversi e personali; l’equilibrio delle voci nel lungo sestetto Sola sola in buio loco, preciso come se fosse una fuga di Bach; e il fantasioso tremolo che ravviva le fiamme infernali all’assalto del protagonista nel finale del secondo atto. È un’occasione irripetibile: non aspettatevi di sentire il Don Giovanni di Mozart/Bizet suonato meglio (anzi, non aspettatevi proprio di trovare qualcun altro che lo suoni). Ora sarebbe bello che Katsaris cercasse un collega per darci anche il Barbiere di Siviglia trascritto da Schönberg per due pianoforti.
Jed Distler, ClassicsToday
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