Cultura Suoni
Utopia
Travis Scott (Dr)

Sono passati cinque anni da quando Travis Scott ha pubblicato Astroworld. Da allora ha lavorato ad alcuni piccoli progetti, ma si è preso tutto il tempo per realizzare il quarto disco. E nel frattempo è diventato una superstar del livello di Drake, collaborando con marchi come McDonald’s e PlayStation ed esibendosi nel video­gioco Fortnite. Il nuovo Utopia è grandioso come le aspettative lasciavano presagire: è costellato di ospiti famosi (Kid Cudi, Drake, Playboi Carti, Beyoncé e Young Thug, tra gli altri) e ha il caratteristico suono psichedelico di Scott. Chi si aspettava un seguito di Astroworld però rimarrà deluso, perché questo album somiglia più ai primi lavori del rapper di Houston. I brani registrati con gli ospiti funzionano molto bene nella maggior parte dei casi. Fe!n, con Playboi Carti, offre un saggio del nuovo sound del riservato rapper di Atlanta, con quel contagioso “fein fein” ripetuto più volte; Lost forever, dove sono presenti Westside Gunn e James Blake, è quasi perfetta. Ma, al netto di tutto, la produzione sontuosa di Utopia, sulla quale è sempre più evidente l’influenza di Kanye West, non riesce sempre a mascherare una scrittura poco brillante, come capita nel singolo K-pop, tra i brani più noiosi del disco. Tuttavia Utopia è una delle uscite più innovative dell’anno nel panorama mainstream. Dopo dieci anni di carriera Scott sta ancora spingendo i confini del suo suono trap psichedelico, e non vuole fermarsi.
Desmond Leake, Paste

Volcano

Nella loro carriera decennale i Jungle sono passati dall’essere un fenomeno online molto pubblicizzato a un progetto di nicchia. Dopo l’omonimo debutto nel 2014, il duo britannico si è allontanato dalla sua formula di successo, fondata sull’incontro tra disco music e hip hop, ma ha ampliato il suo approccio. E così Volcano è probabilmente il miglior album che il duo inglese abbia mai registrato. Elegante nel suono e scintillante nella scrittura delle canzoni, trova l’equilibrio tra sonorità audaci e melodie orecchiabili. Con un piede nel mondo dei club notturni, i Jungle sprigionano grande energia, pur continuando a scrivere canzoni apparentemente pop. Us against the world è un inizio inebriante. Il cantante Erick the Architect illumina Candle flame, mentre la superba voce del rapper Channel Tres accende I’ve been in love. A volte il fascino ricco di sentimento dei Jungle merita di essere affiancato a quello dei Sault, e non è un’impresa da poco: Back on 74 è uno splendido brano soul funk retro­maniaco; Every night è un inno, mentre i toni sbiaditi di Palm trees sono perfetti per questi giorni di sole.
Robin Murray, Clash

Connection
Marc Ribot’s Ceramic Dog (Ebru Yildiz)

Il primo pezzo del nuovo album di Marc Ribot con il suo rodatissimo trio Ceramic Dog, cioè Shahzad Ismaily all’elettronica e Ches Smith alla batteria, è una travolgente dichiarazione d’intenti, con il testo accompagnato da un ritmo costante e un riff di due note. Il brano successivo, Subsidiary, è hard rock, con Ribot che offre un flusso di coscienza non chiarissimo ma animato da un forte sentimento anti-capitalista. Si va avanti attraverso Soldiers in the army of love, un’allegra rielaborazione della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, prima di rallentare con Ecstasy, pezzo artisticamente programmatico in cui la voce ricorda Frank Zappa. Poi c’è il brusco passaggio allo strumentale Swan, dove James Brandon Lewis al sax tenore contribuisce al clima scottante. Lewis compare anche nel pezzo punk Heart attack, e nei brani successivi Oscar Noriega al clarinetto, Greg Lewis allo Hammond e Anthony Coleman alla tastiera Farfisa aggiungono voci nuove. Alla fine arriva Crumbia, uno strumentale latino che suona un po’ ironico ma probabilmente non lo è. Connection percorre una strada lunga e tortuosa, e fa venire in mente che lo stile del chitarrista era stato definito “disco music distopica”. È raccomandato a chi vuole un ascolto in cui non si sa mai cosa sta per succedere.
Jon Turney, London Jazz News

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1525 - 18 agosto 2023
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