Quando il pollo in sconto finisce, scoppia il caos tra i clienti di un discount. Ma anche dietro le quinte la situazione e drammatica e i dipendenti devono prepararsi al peggio. Salari da ridurre, pause per fare la pipì da eliminare, orari e turni che mettono i lavoratori uno contro l’altro, gravidanze da nascondere. Una manager di livello intermedio è costretta a tornare al lavoro anche se ha appena partorito e dovrà fare i conti con l’allattamento, la baby-sitter, i margini di profitto e la lealtà nei confronti dei suoi colleghi. E all’esterno del supermercato il container dove viene ammassato il cibo scaduto è chiuso con un lucchetto, così la comunità di senzatetto della zona non potrà usufruirne. Come nel precedente Granny’s dancing on the table (2015), la regista Ami-Ro Sköld mescola sequenze girate con attori in carne e ossa ad altre realizzate con delle marionette. I pupazzi sono storti, corrotti quasi mostruosi, ma sotto la superficie anche vulnerabili. Con testardaggine l’autrice parla di qualcosa che evidentemente conosce, ed è bravissima a far sentire la sua voce, davvero unica nel panorama cinematografico, svedese ed europeo.
Emma Gray Munthe, Aftonbladet
Svezia / Italia 2023, 141’. In sala
Francia 2023, 116’. In sala
Proiettato in apertura dell’ultimo festival di Cannes, Jeanne du Barry è dedicato al destino della celebre cortigiana di estrazione popolare e all’ostilità che affrontò alla corte di Versailles, a causa della sua relazione con il re di Francia Luigi XV (interpretato da Johnny Depp). La pellicola si deve anche confrontare con la delicata sfida del film in costume e in particolare del “film di corte” e al suo sfarzo intrinseco, a cui cedono inesorabilmente le produzioni di questo genere. Maïwenn, dal canto suo, rimane fedele al suo credo che le impone di non creare nulla se non partendo da se stessa. Più che guardare alla favorita del re (che lei stessa interpreta), Maïwenn attira a sé madame du Barry. E al tempo stesso regala alla corte un’immagine che le è familiare e che può far pensare al mondo del cinema così come lo percepiva quando, moglie di Luc Besson, cercava di carpirne i segreti.
Jacques Mandelbaum, Le Monde
Francia 2022, 85’. In sala
Il sesto film di Roschdy Zem risuona chiaramente di echi personali. Zem si è ritagliato il ruolo di Ryad, star della tv che si crede molto migliore dei suoi familiari. Il fratello Moussa (Sami Bouajila), che lavora nella finanza, è colpito da un trauma cranico che annulla i suoi freni inibitori e mette quindi in subbuglio questo piccolo mondo. Zem ha scritto il film insieme a Maïwenn (che interpreta anche la sua compagna) e la sua mano si vede. L’attrice e regista ama raccontare psicodrammi attraverso discussioni che diventano nevrotiche rese dei conti. È un genere anche questo, e Ritratto di famiglia lo rappresenta bene, soprattutto perché Zem, Bouajila e in definitiva l’intero cast formano una galassia credibile e coerente di personaggi esasperanti ma alla fine (ovviamente) riconciliati.
Didier Péron, Libération
Francia 2022, 116’. In sala
Dopo aver vinto la Caméra d’or nel 2017 con Montparnasse. Femminile singolare, Léonor Serraille stupisce di nuovo raccontando la storia della vita di Rose, una donna ivoriana arrivata a Parigi nel 1989, e dei suoi due figli. Un’odissea del quotidiano realizzata con tanta ambizione quanta attenzione. C’è qualcosa di misterioso e affascinante nella modestia di questa cronaca a lunga scadenza che rifugge i cliché sull’immigrazione e l’integrazione, e dove ogni dettaglio colpisce nel segno. Bisogna nascondersi per piangere, dice Rose. Il piccolo Ernest chiede: “Piangere dentro la testa?”. E così anche noi piangiamo nella testa di fronte a un grande film sulla bellezza dell’orgoglio.
Guillemette Odicino, Télérama
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