Per decenni i testi di Thom Yorke hanno tracciato un territorio emotivo delimitato da paura, rabbia, disperazione e noia. È così anche in Wall of eyes. Ci sono canzoni abitate da fonti di turbamento senza nome, timori che qualcosa di terribile stia succedendo (“Non lasciare che mi prendano”, canta in Under our pillows). C’è un momento favolosamente improbabile in Bending hectic, dove Yorke immagina di essere su una montagna in Italia a bordo di un’auto d’epoca, ma poi si torna a pensieri ballardiani di suicidio. Sono passati quasi otto anni dall’ultimo album dei Radiohead, A moon shaped pool, la pausa più lunga della carriera del gruppo. Ma questo periodo è stato riempito con un torrente di progetti solisti e da due album degli Smile, la band che unisce a Yorke il chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood e il batterista dei Sons of Kemet Tom Skinner. Il debutto degli Smile nel 2021, A light for attracting attention, aveva portato alcuni a chiedersi se i Radiohead avessero un futuro, perché era chiaro che tutto quello che facevano gli Smile l’avrebbe potuto fare anche la vecchia band. Ma forse le cose non stanno così. Come per il primo album, sarebbe difficile descrivere Wall of eyes come qualcosa di diverso dai Radiohead. Però, se è un album carico d’inquietudine e tristezza, c’è uno strano senso di disinvoltura in gran parte dei brani. È il suono di Yorke e Greenwood che fanno musica liberi dalle aspettative e dalla pressione. Alla base della title track e di Teleharmonic ci sono sequenze di accordi adorabili e in minore con ritmi vagamente latini. Friend of a friend porta in dote qualcosa del fascino rilassato dei primi anni settanta: la splendida melodia è quasi in stile McCartney, anche se poi arriva una mitragliata di archi taglienti e discordanti quasi da film horror. Nonostante tutti gli effetti elettronici, il suono di Wall of eyes è quello di una band che suona dal vivo, uno stile amplificato dalla batteria di Tom Skinner. Questo album getta un’incognita sul futuro dei Radiohead. Ma possiamo consolarci con la sua qualità.
Alexis Petridis, The Guardian
L’undicesimo lavoro delle leggendarie Sleater-Kinney è il meglio che ogni fan e simpatizzante possa desiderare nel 2024. Il tempo non ha scalfito la loro energia, come testimonia per intero Little rope. Se da una parte i pezzi, che non superano i tre minuti, offrono grandi ritornelli, testi sprezzanti e riff garage, dall’altra sono attraversati anche dalla tristezza che ha riempito la vita di Carrie Brownstein nell’ultimo anno, dopo la morte di sua madre e del patrigno. Insieme a Corin Tucker ha composto un disco sincero e appassionato, che ulula alla luna con dolore e nobiltà .
Elvis Thirlwell, Diy
Benno Moiseiwitsch (1890-1963) è stato uno dei pianisti più eloquenti e aristocratici della sua generazione. La Scribendum ora raccoglie tutte le sue registrazioni commerciali dal 1916 al 1953 su 19 cd, insieme a materiale dal vivo o radiofonico. Moiseiwitsch era in tutto e per tutto un musicista della vecchia scuola: un bel tono, una tecnica che non conosce ostacoli e un approccio libero al testo. Nell’Invito alla danza di Weber, Moiseiwitsch sceglieva l’elaborata trascrizione di Karl Tausig, e la suonava meglio di chiunque. Si può dire lo stesso per la sua ouverture del Tannhäuser di Liszt o per lo scherzo del Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn trascritto da Rachmaninov. I preludi di Chopin sono perfetti per lo stile a ruota libera di Moiseiwitsch. Il suo tocco leggero in Jeux d’eau di Ravel e Jardins sous la pluie di Debussy farebbero impallidire tutti i giovani talenti del nostro tempo. Probabilmente molti preferirebbero esplorare la produzione del pianista in modo selettivo. Ma se volete una montagna di Moiseiwitsch in un’unica comoda raccolta a poco prezzo, non cercate oltre.
Jed Distler, ClassicsToday
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