Cultura Suoni
What now
Brittany Howard (Bobbi Rich)

Nella seconda parte di What now, il nuovo album solista di Brittany Howard, l’ex cantante degli Alabama Shakes mostra quanto possa essere sconfinata la sua musica. Per la prima volta si appoggia a un ritmo disco in stile Giorgio Moroder per il brano Prove it to you, imitando la Donna Summer del 1977. Ma nel brano successivo, Samson, la sua romantica confusione è riflessa da fiati sospiranti che potrebbero essere usciti da On the corner di Miles Davis. Sono passati dodici anni da quando gli Alabama Shakes si sono lanciati come un razzo pieno di sentimento nella stratosfera con la loro estatica nostalgia. Era chiaro nel loro secondo album, che il trio non avrebbe potuto trattenere Howard a lungo. Dopo aver avuto il blocco della scrittrice mentre componeva il terzo disco, è passata alla carriera solista con Jaime del 2019. What now saccheggia tanti stili, ma Howard rende il tutto coerente. Il tema dell’album è il modo in cui le relazioni ci controllano o come noi possiamo controllarle. Every color in blue è un inaspettato richiamo ai Radiohead di In rainbows. È una canzone bella e complicata su un argomento bello e complicato: come aprire il tuo cuore senza soffrire irreparabilmente.
Grayson Haver Currin, Mojo

Great doubt
Astrid Sonne (Daniel Hjorth)

La musicista danese Astrid Sonne non si fa problemi ad affrontare argomenti importanti nel suo terzo album. Dopo un breve preludio con flauto e viola, in Do you wanna chiede con voce fredda, accompagnata da percussioni instabili, “Vuoi avere un figlio?”, per poi rispondere “Io proprio non lo so”. Cantare, e farlo in maniera vulnerabile, è una novità per lei. Finora Sonne aveva evitato di scrivere testi mentre Great doubt si pone come il lavoro di una cantautrice che ha messo da parte l’astrazione per condividere una parte più intima di sé. Negli arrangiamenti scheletrici e nell’ambivalenza del racconto si sente l’influenza dell’rnb ermetico della collega inglese Tirzah. Come negli album precedenti, Sonne resta in un’atmosfera cupa e misurata ma stavolta preferisce virare verso la malinconia. I contrasti abbondano: chitarre sintetizzate e viole vere, drum machine e percussioni acustiche, pad e arpe. Le contraddizioni vengono messe a fuoco in particolare su un paio di canzoni che si susseguono, Everything is unreal e Staying here. Nonostante le differenze musicali, la narrazione si sovrappone: entrambe sono ambientate in un parco, ma se la prima è triste e paranoica la seconda è gioiosa. Per una musicista che non scriveva testi questo è un numero notevole, prova del fatto che i suoi istinti pop sono singolari tanto quanto i suoi paesaggi sonori.
Philip Sherburne, Pitchfork

Speriamo che questo disco sia il primo di una serie. Saverio Mercadante (1795-1870) scrisse molta musica orchestrale: concerti, fantasie e una serie di brani quasi a programma che chiamò, probabilmente in mancanza di un termine migliore, sinfonie. Si tende a pensare che la musica sinfonica italiana dell’ottocento cominci e finisca con Giuseppe Martucci, grazie al suo orientamento germanico. Lo stile di Mercadante, invece, era completamente italiano. I lavori di questo disco sono tutti piacevolissimi. Il delizioso Omaggio a Bellini è l’equivalente di una fantasia operistica per pianoforte di Liszt, ma per orchestra. La seconda Sinfonia caratteristica napoletana è una vivace tarantella, mentre il titolo della Gran Sinfonia sopra motivi della Stabat Mater del celebre Rossini spiega già tutto. Il secondo concerto per clarinetto è un affascinante pezzo in due movimenti. L’ultimo brano del disco è la sinfonia Garibaldi. Basata su una canzone popolare, è bollente, ma anche melodiosa. Non ci sono grancasse o piatti: è semplicemente molto divertente. Proprio come queste esecuzioni, tutte ottime. Avanti così!
David Hurwitz, ClassicsToday

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1548 - 2 febbraio 2024

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