Dopo il voto del 15 ottobre 2023 in Polonia si è costituito un nuovo esecutivo, che ha due obiettivi: governare e ripristinare lo stato di diritto. Il problema è che le istituzioni – procura, corte costituzionale, corte suprema, presidenza della repubblica, tv e radio – sono ancora controllate dal partito Diritto e giustizia (Pis). L’alleanza di governo tra Coalizione civica (Ko), Terza via e Lewica (Sinistra) si è trovata a dover affrontare ostacoli giuridici e istituzionali. Per superarli poteva scegliere tra due strade: agire nel rispetto della legge, il che avrebbe significato attendere che certe cariche esaurissero il mandato; o forzare la mano, infrangendo o alterando la legge per assumerne il controllo.

Donald Tusk e la sua squadra hanno scelto la seconda soluzione. Hanno cominciato con la messa in liquidazione dei media pubblici, poi si sono occupati della condanna di Mariusz Kamiński e Maciej Wąsik e in seguito del licenziamento del procuratore nazionale Dariusz Barski. Alla luce di queste decisioni, il presidente Andrzej Duda, vicino al Pis, ha dichiarato che il paese sta vivendo il “terrore del cosiddetto stato di diritto”. Le singole azioni dei ministri del governo Tusk variano nel loro grado di legalità. E i politici del Pis hanno solo le parole per difendere lo status quo. La speranza di un vero riassetto costituzionale, tuttavia, è minima. Le due parti traggono troppi vantaggi da questo stallo. Del resto, studiosi come Daron Acemoğlu, James Robinson e Marcin Piątkowski sottolineano che le grandi svolte istituzionali si verificano quando i sistemi stanno per crollare (come nel 1989) o in caso di aggressioni esterne. E al momento in Polonia le cose vanno ancora troppo bene per immaginare che i politici s’impegnino seriamente per risolvere i problemi strutturali del paese. Ma possiamo sempre sognare di essere l’eccezione alla regola. ◆ sib

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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati