Era una sera ventosa nei sobborghi di Rouen. Richard Vidame, l’ufficiale giudiziario tutore dei beni della famiglia di Ophélie, sette anni, se n’è andato. Il padre torna a casa ubriaco, come al solito, e scoppia un litigio. La madre della bimba scappa, seguita dal marito furioso. Inseguimento nei corridoi del palazzo, poi un urlo. Un rumore sordo. E presto una folla, i lampeggianti dei camion dei pompieri. E “mamma, tre metri sotto il cavalcavia”, immobile sull’asfalto della tangenziale tra le auto ferme. “Non stavo più lottando. Non piangevo più. Tutte le mie forze mi avevano abbandonata. Ma a te, mamma, posso dirlo. Oh no, la mia forza non è scomparsa!”. In seguito alla tragedia, la piccola Ophélie, narratrice ed eroina dell’ultimo romanzo di Michel Bussi viene ricoverata in una casa famiglia dopo l’arresto del padre. E la sua vita ora ha un solo obiettivo: far parlare i testimoni di quella notte e ritrovare l’uomo che non aiutò la madre. Ophélie si vendica è la storia di una vendetta ordita da una bambina traumatizzata, poi da una studente muta e infine da un’adolescente calcolatrice: l’azione comincia nel 1983 e si conclude diciassette anni dopo. Ophélie è circondata da un piccolo mondo di educatori, amici di casa , agenti di polizia, ex vicini di casa, spacciatori che sono a volte complici, a volte vittime della sua ossessione. Ophélie, detta Folette, moltiplicherà quindi per anni piani e stratagemmi, mentre Michel Bussi, grande maestro del ritmo e dei colpi di scena, si diverte a giocare con gli angoli, le teorie e i punti di vista di questo puzzle intimo attraverso brevi capitoli in cui ogni protagonista racconta la sua versione della vicenda. Un vortice di suspense, una ricerca ossessiva, che lascerà, alla fine del romanzo il lettore e Folette con il cuore in frantumi.
Fabrice Drouzy, Libération
Il nuovo romanzo di Christian Kracht è il seguito del suo debutto, Faserland, che nel 1995 aveva diviso il pubblico germanofono e la critica. Va detto subito però che non è un sequel: i motivi sono simili, certi aneddoti anche, ma stavolta il protagonista si mette in viaggio con la madre mentalmente malata nei luoghi della sua infanza, intorno a Zurigo. Forse sono gli ultimi momenti che passeranno insieme. Christian, il narratore, si presenta da subito come l’autore di Faserland ma a volte si ha il sospetto che lui e la madre siano stati risucchiati nel romanzo di qualcun altro: stavolta Christian non ha il controllo completo della narrazione. I due protagonisti sono personaggi di un romanzo di Christian Kracht, ma solo uno dei due è cosciente della finzione. La storia funziona perché fin dal principio svela la sua natura metanarrativa: il narratore è l’autore di Faserland ma non il suo protagonista, quindi la trama di Eurotrash non può continuare quella del romanzo precedente. Ed è proprio in questo interstizio tra le due narrazioni che si muove questo libro fenomenale.
Tobias Rüther, Frankfurter Allgemeine Zeitung
Quando il narratore del nuovo libro di Tony Burgess si sorprende per la fuga del giovane Idaho Winter, io sono molto meno stupito. “Potreste pensare che scappare di casa sia normale, che sia perfino giustificabile”, dice il narratore. “Il fatto che scappi è strano per questa semplice ragione: non è parte della storia che stavo raccontando”. È il primo giorno di scuola e Idaho Winter, detto poco affettuosamente Patata, viene inseguito e picchiato così forte da non riuscire neanche ad arrivare in classe. A casa il suo letto è uno scatolone riempito di carta di giornale e stracci. Suo padre, Early Winter, gli fa trovare la colazione dei campioni: un procione morto stecchito. Madison è l’unica ragazzina in città che vorrebbe essere sua amica, tutti hanno deciso di detestarlo e tutti accettano che lui subisca odio e crudeltà terribili. Lo stesso narratore ammette di avere poca simpatia per lui e a meno che voi e io, i lettori, non interveniamo in sua difesa, il destino di Idaho è segnato. Ma alla fine è Idaho stesso che interviene scatenando il caos, attirando il narratore dentro una storia che non riesce più a controllare. Improvvismente nella vicenda irrompono mamme-pipistrello succhiasangue, dinosauri e Billie Joe dei Green Day. Idaho Winter è allo stesso tempo assurdo e accettabile, la sua prosa è piacevole e fastidiosa: ci sono due finali nel romanzo, e solo Idaho sa come andrà a finire.
Brooke Ford, The Globe and Mail
Stranezza, mistero e fato si muovono lungo questo romanzo ecuadoriano composto da brevi frasi severe. Qui vivono preti che ululano, galline che depongono uova nere, personaggi che hanno dio in bocca, ma usano parole blasfeme. L’autrice porta il lettore nella città immaginaria di Cocúan; una città andina, condannata all’oblio, alla miseria e a una sorta di maledizione, protetta dall’ombra della morte che apocalitticamente perseguita i suoi abitanti. Curiosamente, Natalia García Freire ha affermato che il nome della città deriva da un farmaco che prende per riuscire a dormire. Nove voci raccontano vicende al limite della follia con frasi che sono come folate di vento poetico. Ce n’è una in particolare che mi è rimasta impressa: “Chi vive nella paura diventerà selvaggio”. Questa frase si può adattare all’Ecuador di oggi così soggetto alla paura e alla violenza? Leggete Natalia García Freire e lasciatevi toccare dal vento della sua letteratura.
Mishell Sánchez, El Universo
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