La musica di Taylor Swift una volta era molto più grande di lei. Narratrice nata, ha raccolto gli effimeri emotivi della sua vita e li ha modellati in canzoni indelebili su se stessa, ma anche sulle giovani donne, i loro desideri e le loro sofferenze. Quei giorni, però, sono andati. Oggi Swift è il pantheon di se stessa. Negli ultimi tredici mesi, ha indossato il suo body a lustrini e ha compiuto un’impresa erculea tre sere a settimana nel tour dai più grandi incassi di tutti i tempi, guadagnandosi la valutazione di un miliardo di dollari. I suoi successi musicali sono notevoli. Ma nessuno guadagna un miliardo di dollari solo dalla musica. In The tortured poets department, il suo undicesimo album in studio, si avverte il crescente divario tra Taylor Swift l’artista e Taylor Swift il fenomeno. Il peso delle aspettative è grande: questo è il primo album d’inediti di Swift dalla fine di una relazione durata anni e un paio di storie d’amore tumultuose e di alto profilo, una delle quali, con Matty Healy dei 1975, sembra aver fornito molta dell’ispirazione per i nuovi brani. L’edizione estesa di The tortured poets department dura più di due ore e, anche nella versione ridotta, il suo senso di espansione contamina le canzoni. La scrittura di Swift è, nei casi migliori, giocosamente sfrenata e, in quelli peggiori, molto bisognosa di un editor. Taylor Swift non ha bisogno di un intero album per raccontare la storia di una relazione: le basterebbe solo una canzone o, forse, anche solo un verso.
Olivia Horn, Pitchfork
La durevolezza in molti campi artistici si ottiene trovando elementi che resistono alla ripetizione e possono essere reinventati. La produzione solista di Jane Weaver è cambiata, partendo da un folk progressive un po’ mistico per abbracciare le evoluzioni tecnologiche degli ultimi decenni. Love in constant spectacle è una somma di tutte queste parti. Se in Flock, del 2021, cercava di essere più dance e accessibile, qui si rivolge verso l’interiorità. Il produttore John Parish dà un contributo soprattutto alla forma, più che al suono. C’è un’economia di elementi che facilitano le esplorazioni nel pop della cantautrice di Liverpool senza sacrificarne l’identità. Il singolo Perfect storm richiama l’artisticità tipica di Cate Le Bon, con un andamento ipnotico che ci mette in guardia dai pericoli che si nascondono dietro le relazioni amorose troppo perfette. La pressione che Parish e Weaver mettono addosso a queste canzoni crea gemme luccicanti come quella che dà il titolo al disco. Jane Weaver riesce a mostrare solo i suoi punti di forza, infondendo ovunque una magia che alleggerisce continuamente il peso emotivo di questo lavoro.
Eric Hill, Exclaim
Perché certi pianisti sono velocissimi? Perché ci riescono! È il pensiero che mi è venuto mentre ascoltavo Daniil Trifonov e il suo ex insegnante Sergei Babayan eseguire i movimenti di valzer e tarantella della seconda suite per due pianoforti di Rachmaninov. Sono fulminei e mantengono un controllo assoluto, ma anche Martha Argerich e Alexandre Rabinovitch vanno molto veloci, e sono più fantasiosi e dettagliati: per i miei gusti Trifonov e Babayan sono un po’ troppo levigati. D’altro canto, i due superano largamente la concorrenza su disco della prima suite, soprattutto per quanto riguarda la loro flessibilità nel primo e nel terzo movimento. Il vigore del duo nelle sezioni esterne del primo movimento delle Danze sinfoniche evoca la spontaneità della performance solista dello stesso Rachmaninov. E l’arrangiamento di Trifonov dell’adagio dalla seconda sinfonia è perfetto: spero che trascriva anche gli altri movimenti. Lo straordinario livello pianistico di questo duo non mancherà comunque di entusiasmare gli appassionati.
Jed Distler, ClassicsToday
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