Sono passati trent’anni da Dummy dei Portishead e ventidue da Out of season, la visionaria collaborazione di Beth Gibbons con Paul Webb dei Talk Talk. Cos’ha fatto la cantante nel frattempo? L’unica musica che è emersa è stata una cupa interpretazione della sinfonia n. 3 di Henryk Górecki, realizzata insieme al compositore polacco Krzysztof Penderecki nel 2019. Lives outgrown, il primo disco solista di Gibbons, era in lavorazione da dieci anni. È molto personale ed è stato concepito durante un periodo travagliato, durante il quale l’artista ha perso diverse persone a lei vicine. Gibbons ha scelto di collaborare ancora una volta con un ex componente dei Talk Talk: stavolta Lee Harris, coproduttore insieme a lei stessa e a James Ford. Il rimbombo magistrale di Harris è alla base della cruda apertura avant-folk dell’album, Tell me who you are today. Se nel singolo Floating on a moment Gibbons è tormentata da dubbi esistenziali, musicalmente trae il suo spirito da un connubio tra il folk psichedelico di fine anni sessanta. In Burden of life suona meno agitata, ma l’arrangiamento da camera dissonante tocca accordi avant-garde. Si ha il sospetto che alla base di ogni parola e di ogni nota di Lives outgrown ci sia il tormento di Gibbons, ma il risultato è un album di cui innamorarsi profondamente. Se glielo permettete, queste canzoni avvolgeranno la vostra anima.
Johnnie Johnstone, Record Collector
Un debutto dovrebbe restituire l’immagine sfrontata e precisa dell’artista, ma Shane Lavers, il musicista newyorchese dietro il progetto Chanel Beads, si presenta con un sussurro. Le voci, sinistre e poco riconoscibili, sono proiettate in frammenti. E tuttavia resta qualche strano elemento umano all’interno di questo disco pop poco ortodosso, che sembra avere due obiettivi: uno è fare apparire dei fantasmi, venuti per esibirsi in brani che riflettono il passato guardando comunque al futuro; l’altro è che queste entità sono emerse per liberarsi da ansie e rimpianti per tornare in uno spazio dove suonare il loro pop infestato. Questi, più che canzoni, sono incantesimi, come Police scanner o Idea June, che crescono in un vortice onirico. Your day will come è una raccolta in cui composizioni postimpressionistiche e melodie incorporee si uniscono per creare un’interpretazione deforme della musica pop. L’unica certezza per Chanel Beads è che senza questa avvolgente imprecisione Your day will come perderebbe tutto il suo potere evocativo.
Kyle Kohner, The Line of Best Fit
La pubblicazione di queste due sonate fu annunciata dalla Dg, ma a quanto pare Rudolf Serkin morì prima di approvarla. Il pianista era un interprete avvincente di Beethoven, e aveva già registrato entrambi i pezzi all’inizio della carriera, quando era tecnicamente più in forma. Nella Waldstein non ha nulla di cui scusarsi. L’esecuzione, che è del 1986, ha una grande profondità, in parte grazie a tempi leggermente lenti che lasciano davvero respirare la musica. Serkin ha sempre gestito magnificamente il finale, rendendo ogni ritorno del tema principale un evento commovente, e la coda non cede nulla in termini di freschezza giovanile all’età avanzata del pianista. È molto difficile capire perché non fosse ancora stata pubblicata. Forse Serkin aveva dei dubbi sull’altra sonata del disco, e non avrebbe avuto tutti i torti. Questa Appassionata risale al 1989 e rivela un evidente declino tecnico nei passaggi rapidi, anche se non nella potente gestione delle dinamiche. I tempi nei movimenti esterni sono un paio di minuti più lenti rispetto alla sua versione del 1962 e sembrano faticosi, soprattutto nel finale. È un album che porta con sé molto da ammirare e un po’ di tristezza.
David Hurwitz, ClassicsToday
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