Cultura Schermi
Anora
Mikey Madison, Yura Borisov
Stati Uniti 2024, 138’.
Anora (dr)

La fascinazione di Sean Baker per le sex worker caotiche e carismatiche continua in questa commedia moderna e divertente, ambientata nel 2018 tra New York e Las Vegas. Mikey Madison è una rivelazione nei panni di Anora, una escort che alla fine di una settimana di bagordi si ritrova sposata con Ivan (Mark Eydelshteyn), figlio di un oligarca russo. La loro felicità matrimoniale è interrotta quando il padre di Ivan impone l’annullamento delle nozze. L’energia stridente (alla fratelli Safdie) del film contrasta con l’impressione che sia strutturato con eleganza. Baker alza di continuo la posta sull’umorismo e sul ritmo. Il procedere sfrenato della storia ha qualcosa in comune con altri film di Baker (come Red rocket e Tangerine), ma questa travolgente Cenerentola ha un sapore tutto suo. Fotografia e ambientazioni sono magnifiche, il finale è inaspettatamente umano, ma dove Anora eccelle davvero è nella scrittura e nella gestione dei cambiamenti di tono.
Wendy Ide, Screen International

All we imagine as light
Kani Kusruti, Divya Prabha
Francia / India / Paesi Bassi / Lussemburgo / Italia 2024, 110’.

Primo film indiano in competizione a Cannes da trent’anni a questa parte, All we imagine as light si porta dietro le aspettative di un miliardo di persone. Ma al di là dell’orgoglio, si può dire che il film di Kapadia sia una magnifica meditazione sulla solitudine e sulla connessione con gli altri, sostenuta da interpretazioni sorprendenti. Prabha, più anziana e conservatrice, e Anu, più giovane e vivace, sono due infermiere in un ospedale di Mumbai. Poi c’è Parvaty, che non ha documenti per provare che quella in cui vive da vent’anni è la sua casa. Kapadia intreccia la fragilità delle loro esistenze e la forza della loro connessione. Attraversato da sfumature politiche e femministe il film ha una sua gentilezza ma sa essere penetrante.
Shubhra Gupta, The Indian Express

Il seme del fico sacro
Missagh Zareh
Iran / Francia / Germania 2024, 168’.

Mohammad Rasoulof è un regista iraniano dissidente in fuga dal suo paese, dov’è ricercato, e arrivato a Cannes con un film sfrontato e sorprendente che rende giustizia all’incredibile dramma che sta vivendo personalmente e all’agonia che sta vivendo l’Iran. È un film sulla misoginia e la teocrazia di stato che rende evidente l’angoscia dei cittadini dissenzienti. Comincia come un dramma politico e domestico pessimista, familiare per il cinema iraniano, per poi degenerare in qualcosa di folle e traumatico. Iman è un avvocato che, appena promosso giudice istruttore, scivola nella paranoia quando la sua pistola scompare in casa. Il film potrebbe non essere perfetto, ma il suo coraggio e la sua rilevanza sono indubbie.
Peter Bradshaw, The Guardian

Grand tour

Dalla prima immagine ci si allontana dalla narrativa tradizionale e dai suoi punti di riferimento temporali. Nel 1918 un ufficiale dell’impero britannico fugge dalla Birmania per evitare le nozze. Viaggia in un sudest asiatico magico, ricostruito in studio, che si mescola a quello ripreso con stile documentaristico nel 2020. Realtà, finzione, cinema muto o dialogato: la meccanica dell’opera va oltre i generi. E, come sempre, Gomes si diverte a inventare espedienti per mettere in discussione la presunta supremazia occidentale.
Clarisse Fabre, Le Monde

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1565 - 31 maggio 2024
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