Cinque secoli dopo il viaggio di Cristoforo Colombo da Palos alle “Indie Occidentali”, Jamaica Kincaid lascia la sua casa nel Vermont e vola da New York a Hong Kong e poi a Kathmandu, in Nepal. Nella sua nuova introduzione Kincaid descrive il giardino del mondo come un giardino coloniale, fatalmente alterato dai viaggi degli esploratori occidentali. Inquadra se stessa come una lamentosa privilegiata, e racconta le sue traversie in uno stile a metà tra Gertrude Stein ed Edmund Hillary. Trascorre la maggior parte di ottobre facendo trekking da Tumlingtar verso il confine tibetano, da cui poi scende a Suketar. Le piacciono le omelette e la zuppa di chang e noodle; non le piacciono le sanguisughe, il sole cocente, le guerriglie maoiste o defecare in una buca. Nata ad Antigua, Kincaid scrive di non aver mai pensato di definirsi altro che americana, decidendo solo con riluttanza di fingere la nazionalità canadese nel villaggio di Uwa, gestito dai maoisti. Il suo atteggiamento nei confronti del Partito comunista nepalese è tipico: è convinta della giustizia della loro causa anche quando pensa di licenziare i suoi portatori per non aver piantato l’accampamento prima del suo arrivo. Sulla strada Jamaica Kincaid trova “ogni pianta, ogni nuova curva della strada, ogni nuovo cambiamento del tempo… così coinvolgente, così nuovo, e pure la novità così coinvolgente” che spesso scoppia in lacrime e si chiede chi sia e cosa si trovi davanti a lei in quel momento.
Dylan Byron, The TimesLiterary Supplement
La scena iniziale del quarto romanzo di Stephanie Bishop è elettrizzante. La nostra narratrice, JB Blackwood, è una scrittrice di successo che con il nuovo libro ha appena vinto un importante premio letterario. Lei e suo marito, Patrick, stanno festeggiando il loro anniversario di matrimonio con una crociera in Giappone. La loro relazione è cominciata quando Patrick aveva 45 anni e lei 24. Lui era il suo professore di storia del cinema, prossimo alla sua grande svolta da regista. Ora è una figura di culto nel mondo del cinema. Ultimamente ha lavorato troppo, ma durante la crociera la coppia si rilassa e si ritrova. Un pomeriggio fanno sesso nella loro cabina, dopodiché JB si addormenta. Più tardi trova Patrick sul ponte, insolitamente ubriaco. Un annuncio avverte i passeggeri di tornare nelle loro cabine: c’è una tempesta in arrivo. Quando la tempesta arriva, tutti tranne Patrick si precipitano dentro. JB cerca di metterlo in salvo, ma lui la respinge: “Un cambiamento oscuro lo aveva travolto”. Lui le dice qualcosa, “qualcosa di terribile che in seguito avrei cercato di dimenticare”. Lottano brevemente e JB riesce a infilarsi dentro. La pesante porta si chiude alle sue spalle e quando riesce ad aprirla di nuovo, Patrick è scomparso. Poi scatta l’allarme: uomo in mare. Nelle successive duecento pagine osserviamo la disintegrazione di JB in seguito alla morte di Patrick ma poi, gradualmente, la loro storia complicata e misteriosa comincia a emergere.
Claire Lowdon, The Sunday Times
Se una scrittrice giapponese-statunitense che è anche una sacerdote buddista zen scrivesse un romanzo sul post-tsunami, quali temi affronterebbe? Biculturalismo, acqua, morte, memoria, la situazione femminile, la natura del tempo? In questo libro c’è tutto. Aggiungiamoci anche la seconda guerra mondiale, il rapporto lettore-scrittore, la depressione, il collasso ecologico, il suicidio, l’origami, una suora anarchica di 105 anni ed ecco Una storia per il tempo presente. Il romanzo comincia con una scoperta casuale fatta da una scrittrice di nome Ruth. Ruth vive su un’isola della British Columbia e camminando sulla spiaggia inciampa in un groviglio di sacchetti di plastica tempestati di cirripedi che proteggono una lunchbox di Hello Kitty. Dentro ci sono alcune lettere e il diario della sedicenne Nao Yasutani, che si descrive come “una piccola persona delle onde”. Visto dallo spazio, o dal punto di vista di chi ha familiarità con lo zen, Una storia per il tempo presente è probabilmente un’opera profonda e illuminante. Ma per chi si trova più in basso nella stratosfera, il romanzo di Ozeki spesso sembra più che altro il grande vortice del Pacifico evocato così spesso: un vasto, ribollente bacino di detriti mentali. Una parte di voi potrebbe esserne affascinata; l’altra potrebbe pregare che tutta questa roba non si areni mai dalle sue parti.
Liz Jensen, The Guardian
Poiché Rosmarie Waldrop è nota soprattutto come poeta innovativa, traduttrice ed editor di testi sperimentali, Il fazzoletto della figlia di Pipino, pubblicato per la prima volta nel 1986, è stato descritto come un “romanzo da poeta”, un’espressione talvolta usata per elogiare la qualità della prosa, talvolta per mettere in guardia i lettori che magari si aspetterebbero una storia. Questo è un romanzo da poeta nel primo senso, ma è anche un romanzo da romanziera. È anzitutto un libro sull’infedeltà. L’aspirante cantante Frederika, la madre eternamente frustrata di Lucy Seifert, la narratrice, due mesi prima del suo matrimonio con Josef, nel 1926, va a letto con Franz Huber, un affascinante insegnante di musica desideroso di accompagnare le sue arie al pianoforte. È anche un romanzo sulla paternità e sulle ripercussioni della trasgressione attraverso le generazioni. Waldrop è un’autrice che sfugge a ogni categorizzazione.
Ben Lerner, The New Yorker