Dall’alto il mosaico verde e azzurro degli Esteros dell’Iberá, le zone umide dell’Iberá, si estende in tutte le direzioni. Canali e ruscelli arricchiscono le zone più rigogliose come collane scintillanti, collegando laghi e lagune che ospitano il caimano jacarè, un rettile. Intanto ibis, aironi e mestoloni attraversano il cielo a dimostrazione della biodiversità di questo ecosistema acquatico unico.
Le zone umide dell’Iberá meritano il nome che gli è stato dato dagli indigeni: y bera, acque splendenti, in guaraní, la lingua dei nativi locali. Sono una delle più importanti zone umide d’acqua dolce del Sudamerica, dopo il Pantanal brasiliano, e si trovano nella provincia di Corrientes, a settecento chilometri da Buenos Aires e a sud del fiume Paraná. Un’area selvaggia di tredicimila chilometri quadrati di pianura alluvionale, prateria e foresta subtropicale (7.500 chilometri quadrati sono protetti all’interno del parco nazionale Iberá), con più di quattromila specie di piante e animali, tra cui il capibara (un grosso roditore originario del Sudamerica), il formichiere gigante e il giaguaro. Ci sono anche 360 specie di uccelli, tra cui il nandù, il più grande uccello del Sudamerica, che non vola ed è alto circa 1,5 metri.
Le zone umide dell’Iberá non sono sempre state un’oasi così ricca. Il bracconaggio, l’allevamento di bestiame e la silvicoltura intensiva hanno segnato il paesaggio, causando la scomparsa di molti animali selvatici. “Quando siamo venuti qui la prima volta, all’inizio degli anni novanta, abbiamo sorvolato la zona dell’Iberá e non abbiamo visto quasi nessun mammifero selvatico di grandi dimensioni”, racconta Sofia Heinonen, biologa di Buenos Aires, oggi direttrice della fondazione Rewilding Argentina, che si occupa di istituire aree protette, rivitalizzare gli ecosistemi e permettere alle comunità di guadagnare dalla natura. “C’erano mucche, e poco altro”, aggiunge.
Heinonen è stata accompagnata in quei voli di ricognizione da Kristine Tompkins, imprenditrice diventata ambientalista, e dal suo defunto marito Doug, ex amministratore delegato dell’azienda di abbigliamento Patagonia e fondatore della North Face e della Esprit. La coppia si era trasferita in Sudamerica dagli Stati Uniti per impegnarsi nella difesa dell’ambiente con la loro organizzazione non profit, la Tompkins conservation. Hanno cominciato a comprare terreni attratti dalla bellezza del paesaggio.
Giusto equilibrio
Nel 2010 la fondazione Rewilding Argentina è stata scorporata dalla Tompkins Conservation e oggi gestisce il parco nazionale Iberá e altri progetti. Kristine Tompkins, tuttavia, ha ancora un grande interesse e una grande passione per la zona umida, da cui è partita la sua carriera come specialista del rewilding, il ripristino e la protezione dei processi naturali e delle aree selvagge.
“L’idea era proteggere il paesaggio”, spiega Kristine Tompkins. “Poi abbiamo scoperto che era sparita molta fauna selvatica e che specie fondamentali come il giaguaro, la lontra gigante e l’ara dalle ali verdi erano estinte da decenni in quest’area. Venivamo dagli Stati Uniti, dove nel parco nazionale di Yellowstone era stato reintrodotto il lupo, e quindi capivamo l’importanza di alcune specie e il loro ruolo nel mantenere una natura sana ed equilibrata. Anche nelle zone umide bisognava creare un parco nazionale. Con un programma di rewilding a lungo termine potevamo sperare che questa zona tornasse a essere un ecosistema funzionante”.
Malu, una femmina di giaguaro di cinque anni, arriccia il labbro all’indietro e mostra enormi canini gialli. Sessanta chili di muscoli. I suoi occhi color ambra scrutano con attenzione gli esseri umani dall’altra parte del recinto: non ama condividere il cibo. Quando si placa, spezza a metà un osso con la forza delle mascelle. Qui sull’isola di San Alonso, nel mezzo della zona umida, è chiaro chi è il superpredatore. Il giaguaro è la specie di punta del progetto di rewilding della zona. Questo felino, il principale del Sudamerica e il terzo più grande del mondo, tiene in equilibrio l’ecosistema delle zone umide contenendo il numero di erbivori come i cervi di palude e i capibara. Così facendo rallenta l’erosione del suolo, permettendo alla vegetazione di crescere. I giaguari contribuiscono anche a stabilire un equilibrio tra altre specie predatrici, come i puma e le volpi.
Un tempo erano presenti in tutto il continente americano: dalla punta sudoccidentale degli Stati Uniti, passando per l’America centrale, fino alla Patagonia, nel sud dell’Argentina. Ma la perdita e la frammentazione dell’habitat, la caccia e i conflitti tra uomo e fauna selvatica hanno causato la scomparsa del felino in quasi la metà dell’area che occupava. Oggi il giaguaro è classificato dall’Unione internazionale per la conservazione della natura tra le specie quasi minacciate.
Doug Tompkins fu affascinato dall’idea di riportare i giaguari in questa zona nel 1996, quando comprò la tenuta San Alonso, nell’Iberá. Il progetto è cominciato solo nel 2013, dopo il ripopolamento di altre specie. Non è strano che il programma di salvaguardia del giaguaro abbia richiesto tanto tempo per essere avviato. La reintroduzione di questi felini è impegnativa: ci sono voluti due anni e due milioni di dollari per costruire recinti che permettono agli animali di ambientarsi a San Alonso prima di essere liberati nel parco.
Una volta completati i recinti e superati gli ostacoli burocratici, sono arrivati diversi giaguari in cattività dagli zoo e dai centri di recupero in Argentina, Paraguay e Brasile. A quel punto il programma è cominciato. In seguito alcuni di questi animali sono stati spostati in recinti più grandi in cui hanno affinato le abilità predatorie cacciando per esempio cinghiali, una specie che all’Iberá prima non c’era, e capibara.
Il 6 gennaio 2021 i responsabili della protezione ambientale di San Alonso hanno finalmente aperto un recinto che ospitava due cuccioli di giaguaro di quattro mesi, Karai e Porã, e la loro madre, Mariua – portata dal Brasile – permettendogli di accedere al parco dell’Iberá. Era la prima volta in settant’anni che i giaguari vagavano liberi da queste parti. “È stato uno dei giorni più belli della mia vita”, racconta Kristine Tompkins. “Non avrei mai immaginato che potesse succedere. Ma quando quei giaguari sono usciti dal cancello ho pensato: potrei anche morire domani. Tutto quello che succederà d’ora in poi sarà la ciliegina sulla torta”.
Oggi nell’Iberá ci sono dodici esemplari di giaguari selvatici, con quattro cuccioli nati fuori dai recinti. Vista l’abbondanza di prede, in totale il parco ne potrebbe ospitare circa cento. Grazie al programma di ripopolamento , la fondazione Rewilding Argentina stima che questa cifra potrà essere raggiunta entro un decennio. L’obiettivo è creare gradualmente un nucleo di felini a San Alonso e dintorni che man mano si disperderà nelle zone umide. “Tendiamo a liberare prima le femmine, con i cuccioli, e poi i maschi”, spiega Sebastián Di Martino, il direttore della fondazione Rewilding Argentina. Se rilasciassimo prima i maschi, si allontanerebbero per cercare le femmine. Dobbiamo assicurarci che ognuno di loro sia pronto per vivere nella natura. Le persone amano vedere la porta di un recinto aperta e un animale che muove i primi passi verso la libertà, ma per l’animale ambientarsi nel nuovo spazio è stressante. Il fatto che oggi siano nati quattro cuccioli in natura è davvero incoraggiante”.
Aiutare le comunità locali
Il progetto di ripopolamento sarebbe stato inutile se le cause della scomparsa degli animali non fossero state eliminate. “Corrientes non è una provincia ricca ed è molto tradizionalista”, spiega Marisi López, coordinatrice dei parchi e delle comunità della fondazione. “In passato l’economia si basava solo sull’allevamento di mucche, sull’agricoltura, il legname e la caccia. La tutela ambientale non era prevista. Quando abbiamo cominciato il processo di rewilding abbiamo avuto molti scontri con i produttori. Sostenevano che se avessimo protetto le zone umide, non sarebbero più state una fonte di guadagno”.
Per garantire alle comunità locali di beneficiare del ritorno della fauna selvatica, la fondazione ha ideato il concetto di producción de naturaleza (“produzione di natura”, in spagnolo). “Sapevamo che dovevamo cambiare l’economia e sviluppare un turismo basato sulla natura in modo che le popolazioni locali potessero guadagnare dal parco. Altrimenti le vecchie abitudini non sarebbero cambiate. Abbiamo modificato la mentalità delle persone e gli abbiamo dimostrato che gli animali vivi sono molto più preziosi di quelli morti”, spiega López.
Negli ultimi dieci anni, la fondazione Rewilding Argentina ha investito nelle infrastrutture del parco: cancelli, strade, sentieri, rifugi, campeggi e segnaletica. Oltre a programmi di formazione e sensibilizzazione. Ogni volta che si libera un giaguaro c’è una presentazione per le comunità locali.
La zona dell’Iberá è stata riconosciuta una delle migliori destinazioni per l’osservazione della fauna selvatica in Argentina. “Quando si parla di turismo bisogna trovare il giusto equilibrio”, spiega López. “Non vogliamo che il parco sia pieno di turisti, perché questo avrebbe conseguenze negative sull’ambiente. D’altro canto, il rewilding deve portare posti di lavoro e guadagni stabili”. Gli sforzi della fondazione stanno dando i loro frutti: sono più di cinquantamila i turisti che nel 2021 hanno visitato il parco nazionale. Il numero più alto da quando è stato creato. Nel frattempo più di cento cuochi e duecento artigiani lavorano nelle comunità vicine. A Colonia Carlos Pellegrini, un villaggio di novecento abitanti ai margini del parco, il 95 per cento delle persone vive di turismo. I giovani che erano andati via in cerca di migliori opportunità stanno tornando. Gli ex cacciatori sono diventati guardie forestali e guide.
“L’Iberá ha un potenziale enorme”, spiega Duncan Grossart, titolare di un’agenzia di viaggi nel Regno Unito, che offre tour delle zone umide incentrati sul rewilding. “Qualche anno fa nessuno conosceva questo posto, nemmeno gli argentini. L’anno scorso il New York Times l’ha inserito al sesto posto tra i 52 migliori luoghi al mondo in cui vivere la natura”.
“In passato l’Iberá era considerato un grande buco nero nel mezzo di Corrientes”, aggiunge López. “I luoghi con molta acqua erano visti come terreni improduttivi. Oggi il parco è diventato il cuore economico della provincia. Sempre di più gli abitanti di Corrientes pensano all’Iberá come a un luogo che permette di guadagnarsi da vivere e di creare posti di lavoro. Ma soprattutto sono fieri di chiamare l’Iberá la loro casa, e vogliono proteggerla”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati