Quando penso alle persone della mia cerchia sociale, mi sento soprattutto pervaso da sentimenti di puro amore e calore umano. Sono impaziente di rivederle, sapendo che siamo uniti da un affetto e da un sostegno reciproco.

Una manciata di loro, tuttavia, mi suscita emozioni molto diverse, un misto di desiderio e timore. Promettono incontri che sono l’equivalente emotivo della roulette russa. Se sono dell’umore giusto, possono regalarmi una serata divertente, ma se le prendo nel momento sbagliato, riescono a prosciugare tutte le mie migliori intenzioni. Non posso sapere cosa mi aspetta.

Se vi suona familiare, allora anche voi avete dei frenemies o amici-nemici. Gli psicologi li definiscono “rapporti ambivalenti”, che non solo possono rovinare una bella serata, ma hanno anche effetti sorprendenti sul nostro benessere. Secondo alcune ricerche, questi rapporti di amore-odio sono spesso più stressanti delle interazioni con persone che sono costantemente sgradevoli. Possono danneggiare la nostra salute mentale e fisica e addirittura farci invecchiare prematuramente.

Sapendolo, la soluzione più semplice sembrerebbe quella di tagliare i ponti con queste persone. Ma i nostri rapporti con gli amici-nemici non sono semplici, e non sempre possiamo o vogliamo rinunciarci. Tuttavia, una conoscenza più approfondita dei nostri rapporti ambivalenti può aiutarci a gestirli. Potrebbe anche renderci amici migliori. Perché, quando sappiamo quali sono i segnali a cui prestare attenzione, potremmo scoprire che in alcune relazioni gli amici-nemici siamo noi.

Dagli anni settanta in poi, vasti studi che hanno esaminato migliaia di soggetti per lunghi periodi hanno dimostrato che le persone con reti sociali più dinamiche tendono a vivere più a lungo e sono meno soggette a varie malattie, dal raffreddore all’alzheimer e all’infarto. Molti di questi studi si concentrano sulla dimensione delle cerchie sociali: le persone con quelle più ampie sembrano vivere più a lungo delle altre.

Nel tempo, tuttavia, è apparso chiaro che la qualità delle nostre relazioni può essere importante quanto la quantità. Dopotutto, i benefici dei rapporti sociali derivano dal sentirsi compresi e supportati: se sappiamo che gli altri ci sosterranno quando ci sentiremo minacciati e vulnerabili, la vita è meno stressante. Ma non tutti i nostri conoscenti ci danno questa sensazione. Non solo alcuni non riescono a proteggerci dalle insidie della vita, ma a volte sono loro stessi a pugnalarci.

Se sappiamo che qualcuno è un idiota, possiamo facilmente attribuire meno importanza al suo comportamento scortese

Da uno a sei

Per cogliere queste dinamiche interpersonali, Julianne Holt-Lunstad e i suoi colleghi della Brigham Young university, nello Utah, hanno ideato una semplice scala che individua quattro ampie categorie di relazioni. Potete provarla anche voi. Scegliete un paio di persone all’interno della vostra cerchia e rispondete alle seguenti due domande su una scala da 1 (per niente) a 6 (moltissimo). Quando sentite il bisogno di un consiglio, di comprensione o di un favore, quanto è disponibile l’altra persona? O quanto vi mette in difficoltà?

Le persone che ottengono 1 in risposta a entrambe le domande vi lasciano indifferenti: un vicino, forse, che è una compagnia piuttosto insipida, senza qualità né buone né cattive. Quelle che ottengono un punteggio elevato alla prima domanda, e il punteggio più basso possibile alla seconda, sono i vostri legami sociali di supporto: le persone che sono un bene assoluto nella vostra vita. Altri sono l’esatto opposto, con il punteggio più basso per la prima domanda e un punteggio alto per la seconda. Queste sono le relazioni totalmente avversive. Probabilmente farete di tutto per evitare di parlare con loro a meno che non siate costretti, come in una riunione di lavoro o di famiglia. Infine, c’è la quarta categoria: le persone che sono sia positive sia negative. Chiunque abbia un punteggio di 2 o più su entrambe le scale è considerata una connessione ambivalente: i nostri amici-nemici. Possono essere incredibilmente generosi quando abbiamo un problema, ma possono anche criticarci e offenderci quando sono invidiosi o si sentono minacciati.

Le relazioni ambivalenti potrebbero essere quelle con un amico, un genitore, un fratello, un collega o perfino un coniuge, qualunque persona con cui abbiamo un rapporto di amore-odio. E la loro ambivalenza può presentarsi in molte forme: una mancanza d’interesse per la nostra vita, una palese mancanza di rispetto o una generale inaffidabilità, il che significa che spesso non sono disponibili quando abbiamo bisogno di loro. Potrebbe essere un partner che un giorno ci bombarda di amore e il giorno dopo è ferocemente critico, lasciandoci incerti sui suoi veri sentimenti.

Possiamo sperare che in queste relazioni il bene superi il male, che l’effetto complessivo sia positivo per il nostro benessere generale. Come minimo, ci aspetteremmo che fossero migliori rispetto a quelli delle nostre relazioni totalmente avversive. Purtroppo, però, le ricerche suggeriscono che le cose non sono così semplici. Il team di Holt-Lunstad, per esempio, ha collegato per tre giorni 102 persone a misuratori portatili della pressione sanguigna. Durante qualsiasi interazione sociale, i partecipanti potevano premere un pulsante per attivare il dispositivo e, dopo aver terminato la conversazione, vedere la registrazione e valutare la persona in base alla scala di cui abbiamo parlato. Come ci si potrebbe aspettare, la pressione sanguigna era più alta quando incontravano una persona con cui avevano un legame ambivalente rispetto a quando incontravano qualcuno che consideravano solidale senza complicazioni. Sorprendentemente, tuttavia, i legami ambivalenti provocavano anche una reazione più forte di quelli avversivi.

Allarme subliminale

E non è tutto. In un altro studio, Holt-Lunstad e il suo collega Benjamin Clark hanno scoperto che mentre i partecipanti si preparavano a fare un discorso, il semplice fatto di sapere che nella stanza accanto c’era una persona con cui avevano una relazione ambivalente era sufficiente a far schizzare la loro pressione sanguigna. Anche il recupero dopo il discorso era più lento. L’amico-nemico non aveva bisogno di dire neanche una parola per provocare ansia. In realtà anche riferimenti subliminali a una di queste persone possono mandare in frantumi la nostra pace mentale.

Un’équipe guidata da McKenzie Carlisle dell’Università dello Utah ha chiesto ai soggetti del suo studio di sottoporsi a un test sui tempi di reazione, e ha scoperto che mostrare di sfuggita il nome di una persona con cui avevano un rapporto ambivalente sullo schermo del computer, in modo che non potesse essere percepito coscientemente, amplificava la loro risposta di stress. Il nome di una persona del tutto sgradevole non aveva lo stesso effetto.

Sembra che i nostri amici-nemici ci tengano in trappola. Possiamo contare sul loro sostegno e fare del nostro meglio per compiacerli, ma questo investimento emotivo rende la loro occasionale cattiveria particolarmente dolorosa.

Inoltre, l’incertezza su quale parte di loro stiamo per vedere – il dottor Jekyll o il signor Hyde – non fa che aumentare lo stress dell’incontro, tanto che ci sentiamo ansiosi prima ancora che aprano bocca. Confrontiamoli con i nostri legami sociali avversivi, che per noi hanno ben poco significato: se sappiamo che qualcuno è un idiota, possiamo facilmente attribuire meno importanza al suo comportamento scortese.

Gli effetti a lungo termine dei rapporti ambivalenti potrebbero essere tanto negativi quanto quelli della mancanza di relazioni. A causa dello stress che provocano, interagire regolarmente con gli amici-nemici può mettere a dura prova il cuore e aumentare i livelli di infiammazione corporea, entrambi associati a un aumento del rischio di mortalità.

Questi effetti sono stati osservati anche nella misurazione dell’invecchiamento cellulare. All’estremità dei nostri cromosomi, abbiamo delle strutture protettive dette telomeri che impediscono al dna di rimanere danneggiato quando le cellule si replicano. Invecchiando, i nostri telomeri si consumano lentamente e, quando diventano troppo corti, le cellule possono smettere di funzionare e morire. Si pensa che l’accorciamento dei telomeri aumenti il rischio di molte malattie che accompagnano l’invecchiamento, e le nostre relazioni ambivalenti sembrano contribuire al loro declino.

Se viviamo con qualcuno che spesso ci fa sentire come se fossimo sul filo del rasoio, o se vediamo regolarmente persone che ci fanno questo effetto, è probabile che avremo telomeri più corti rispetto ai nostri coetanei.

In gioco non c’è solo la nostra salute fisica. I buoni rapporti con i nostri colleghi sono uno dei migliori fattori predittivi della soddisfazione nel lavoro e della resilienza allo stress, quindi non dovrebbe sorprenderci se le dinamiche tossiche possono essere una grave causa di disagio sul posto di lavoro. I superiori ambivalenti possono essere particolarmente dannosi. Un recente sondaggio su 993 dipendenti di 27 gruppi di lavoro ha scoperto che i superiori che offrono un sostegno inaffidabile e sono sporadicamente scortesi possono avere un serio impatto sul benessere mentale dei loro dipendenti, aumentando il rischio di depressione, ansia, emotività eccessiva ed esaurimento.

Empatia e distanza

La natura paradossale delle nostre relazioni ambivalenti significa che non esiste una soluzione semplice. Se sentiamo che qualcuno è diventato una presenza troppo tossica nella nostra vita, potremmo decidere di interrompere i contatti, ma questo a volte non è possibile se si tratta del nostro capo o di un familiare, o se è così profondamente integrato nella nostra rete sociale da farci rischiare di perdere anche i rapporti con altre persone che ci sostengono. Quindi, cosa possiamo fare?

Essere semplicemente consapevoli della natura ambivalente di un rapporto potrebbe offrirci una certa protezione. Personalmente, mi sono reso conto che conoscere queste ricerche mi aiuta a gestire le mie aspettative e a prepararmi mentalmente ai sentimenti contrastanti che l’interazione con i miei amici-nemici potrebbe suscitare.

Questo mi consente di concentrarmi di più sui loro aspetti positivi e provare compassione per i loro lati più spiacevoli, cercando al contempo di ridurre i contatti quando ho la sensazione che potrebbero solo aumentare lo stress che sto provando in altri ambiti della mia vita.

Una cosa altrettanto importante è che queste ricerche mi hanno spinto a esaminare il mio comportamento: ci sono relazioni in cui sono io l’amico-nemico? La verità non è sempre facile da digerire. A differenza dei miei peggiori amici-nemici, non tendo a sferzare nessuno con commenti feroci e sarcastici, ma spesso non riesco a mostrare l’apprezzamento e il rispetto che provo per loro: una negligenza accidentale che potrebbe essere presa come un segno di indifferenza. Non sono sicuramente l’unico. Gli studi dimostrano che spesso non riusciamo a esprimere regolarmente la nostra gratitudine, per disattenzione o timidezza o perché diamo per scontato che l’altra persona sappia già quanto è importante per noi.

Sono determinato a essere un po’ più consapevole delle interazioni con tutti i miei legami: indifferenti, avversivi, ambivalenti e di supporto. Inoltre, adesso so chi tenere a distanza e chi tenermi vicino. ◆ bt

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati