L a situazione in Nuova Caledonia può essere considerata un conflitto tra calendari politici? Il calendario del presente e quello del futuro – legato alla geopolitica – hanno trasformato questo territorio del Pacifico in un tassello fondamentale nel contesto delle ambizioni cinesi e dell’alleanza sempre più stretta tra Pechino e Mosca.

Paita, Nuova Caledonia, 19 maggio 2024 (Delphine Mayeur, Afp/Getty)

A questo, però, se ne contrappone un altro, quello del passato, delle emozioni che diventano sempre più forti con il passare del tempo. Come conciliare questi due calendari? È la sfida che deve affrontare la Francia.

Per avere la misura di quello che sta succedendo in Nuova Caledonia vale la pena di dare uno sguardo alla Cina. Mentre a Numea, la principale città dell’arcipelago, regnano il disordine e la violenza, a Pechino, dove è appena stato in visita il presidente russo Vladimir Putin, le bandiere cinesi e russe sventolano insieme per celebrare l’amicizia storica tra i due paesi. Nella simultaneità degli eventi possiamo cogliere un passaggio del testimone tra il mondo di oggi e quello di domani.

Mentre l’autorità della Francia è contestata in Nuova Caledonia, nelle isole Maldive la Cina diventa progressivamente più influente a spese dell’India. Oggi l’intera area indo-pacifica trattiene il fiato davanti alle ambizioni cinesi.

In questo contesto geopolitico, se la Francia intende presentarsi come una potenza del Pacifico ha bisogno dello spazio geografico e del controllo sui fondali marini e sulle ricchezze naturali della Nuova Caledonia. Parigi sta rischiando di “perdere terreno” contemporaneamente in Africa (nel Sahel) e nel Pacifico? Allora deve difendere i suoi interessi strategici ed economici, mantenendo intatta la sua presenza in questa area cruciale del mondo.

Un contesto incendiario

Ma il calendario geopolitico, giustificato dal presente e ancora di più dal futuro, entra in rotta di collisione con un altro calendario, infinitamente più complesso ed emotivo: quello della memoria del passato, un passato che viene riletto in modo sempre più critico dal sud del mondo. Parigi ha bisogno della Nuova Caledonia, ma una parte degli abitanti dell’arcipelago non vuole più saperne della Francia. Qualcuno è addirittura scivolato verso un radicalismo e una violenza che riportano alla memoria la fine degli anni ottanta, quando sono cominciate le rivendicazioni per l’indipendenza del Fronte di liberazione nazionale kanako e socialista.

È evidente che il deterioramento delle condizioni economiche (legato tra l’altro al calo del prezzo del nichel, principale risorsa economica del territorio) abbia avuto un ruolo negativo nell’evoluzione del clima politico e sociale in Nuova Caledonia. In un contesto emotivo e ideologico che probabilmente risulta inasprito dalla guerra in corso a Gaza, la denuncia dell’imperialismo coloniale è diventata un’arma al servizio degli agitatori, molto probabilmente incoraggiati e manipolati dalle potenze straniere che vorrebbero sostituire la propria influenza a quella della Francia in questo vecchio pezzetto dell’impero.

Certo, la maggior parte degli abitanti della Nuova Caledonia vorrebbe restare francese: la popolazione si è espressa chiaramente in occasione di ben tre referendum, che si sono svolti tra il 2018 e il 2021. Ma resta il fatto che introducendo una riforma del corpo elettorale, preparata e spiegata male per quanto democratica, Parigi ha corso un forte rischio. Non si gioca con i fiammiferi vicino a un pozzo di petrolio. Legittima nella sostanza ma criticabile nella presentazione, la riforma del collegio elettorale, che accorderebbe il diritto di voto nella provincia a chiunque sia andato a vivere in Nuova Caledonia da almeno dieci anni, può dare la sensazione di cancellare gli accordi di Matignon del 1988 e quelli di Numea del 1998, che avevano riconosciuto un maggior peso politico alla popolazione autoctona.

A quanto pare il metodo applicato in quelle occasioni dai primi ministri Michel Rocard prima e Lionel Jospin poi è stato accantonato a beneficio di una razionalità più fredda e distante. Il problema è che le autorità dovrebbero dare prova di un minimo di empatia verso chi si oppone alle loro riforme istituzionali.

In un momento in cui la polarizzazione crescente del mondo si abbina a una spaccatura all’interno delle società e la violenza delle parole porta alla violenza delle armi, è indispensabile calcolare la giusta misura del rischio. Volendo garantire lo status quo nel futuro, ci si espone al pericolo di un’esplosione nel presente, riaprendo imprudentemente le ferite del passato. ◆ as

Da sapere

◆ Dal 13 maggio 2024 in Nuova Caledonia sono in corso delle violente manifestazioni contro un progetto di riforma costituzionale che concede il diritto di voto alle elezioni provinciali a chi vive nell’arcipelago da almeno dieci anni, riducendo il peso politico della popolazione nativa. Dopo l’approvazione della riforma da parte dell’assemblea nazionale e del senato francesi le violenze tra manifestanti e forze dell’ordine sono aumentate, causando la morte di sei persone: quattro civili e due gendarmi. Il presidente Emmanuel Macron ha proclamato lo stato di emergenza nel territorio, dove è andato il 22 maggio insieme al ministro dell’interno.

◆ La Nuova Caledonia si trova nell’oceano Pacifico. Occupata nel 1853 durante il regno di Napoleone III per farne una colonia penale, dal 1946 ha acquisito lo status di territorio d’oltremare. È semindipendente ed è amministrata da un alto commissario nominato da Parigi. Il governo è esercitato da un congresso formato dai componenti delle tre assemblee provinciali, elette ogni cinque anni. Nel parlamento francese è rappresentata da due senatori e due deputati.

◆ La popolazione della Nuova Caledonia è formata per il 41 per cento da nativi kanak, per il 24 per cento da persone di origine europea e per il resto si definisce caledoniana, mista o appartenente ad altre minoranze. Afp


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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati