Editoriali

Russia e Cina alleati di comodo

A prima vista, l’unità dimostrata da Russia e Cina in occasione del vertice che si è tenuto prima dell’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino non stupisce. Vladimir Putin e Xi Jinping sono da tempo alleati sulla scena politica mondiale. Negli ultimi anni anche i legami economici tra i due paesi si sono approfonditi. E i due hanno dei nemici comuni: gli Stati Uniti e i loro alleati democratici in Europa e in Asia. Ma quest’alleanza non è poi così naturale. Quando Mao Zedong prese il potere nel 1949, Stalin era il suo più stretto alleato, ma presto tra i due regimi comunisti nacque una rivalità che culminò in scontri militari. I rapporti commerciali sono squilibrati: la Cina è molto più forte, nonostante la sua dipendenza dal petrolio e dal gas russi.

A legare i due paesi è la loro opposizione agli Stati Uniti, indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca ci sia Donald Trump o Joe Biden. È lo stesso fattore che avvicina anche altri stati che non hanno né interessi geostrategici né ideologie condivise: per esempio Russia e Turchia o Cina e Iran. Ed è anche il motivo per cui questi paesi sostengono le autocrazie latinoamericane come il Venezuela e il Nicaragua. Sarebbe comprensibile se la politica estera statunitense fosse in una fase aggressiva e spingesse gli altri a unirsi per tutelare gli equilibri internazionali. Ma oggi è vero il contrario: a livello militare gli Stati Uniti sono in ritirata globale, come si è visto in Afghanistan. La loro unica arma, spesso spuntata, sono le sanzioni economiche. Ciò che questi stati hanno in comune è l’orientamento politico interno: in un mondo in cui l’istruzione e la tecnologia dovrebbero promuovere la partecipazione politica, i leader autoritari si aggrappano al potere e reprimono ogni forma di dissenso con brutalità crescente. Gli Stati Uniti e, in misura minore, l’Europa ostacolano questi sforzi con i loro princìpi democratici e la convinzione che dovrebbero valere per tutta l’umanità. Ecco perché comunisti atei, nazionalisti neo-ortodossi e islamisti radicali si ritrovano dalla stessa parte. Ma le divisioni non mancano. L’invasione russa della Crimea nel 2014 ha contraddetto il principio dell’integrità territoriale degli stati sostenuto dalla Cina (che anche la Russia aveva difeso nel caso del Kosovo), e Pechino non ha ancora riconosciuto l’annessione. In Afghanistan Russia e Cina perseguono ognuna i propri interessi. E nessuno dei due vuole mettere a rischio i rapporti economici con l’Europa e gli Stati Uniti sostenendo apertamente le avventure dell’altro in politica estera.

Eppure nel mondo non c’era mai stato uno scontro così aperto tra democrazie e dispotismi, dettato non da interessi economici o geopolitici, ma da questioni di libertà e stato di diritto. Il principale baluardo di questi valori è oggi l’Unione europea. Per quanto gli europei preferiscano evitare i conflitti, se Putin, Xi e compagni formassero un’alleanza e minacciassero l’Ucraina, Taiwan o altre democrazie, l’Europa non potrebbe fare altro che opporsi. ◆ nv

La sfida dei processori

L’Unione europea sta per sprecare una grande occasione, forse la più grande del secolo in materia di politica industriale. Si tratta dei circuiti elettronici per computer. L’attuale scarsità di componenti elettronici, che ha colpito duramente le aziende automobilistiche europee, dimostra quanto siano importanti per l’economia. Presto l’accesso alla tecnologia dei microprocessori sarà l’elemento più importante nella competizione tra i grandi blocchi economici. C’è voluta l’attuale crisi delle forniture per svegliare la Commissione europea dal suo sonno profondo, dopo che nello scorso decennio l’Europa era rimasta indietro. Ora il commissario al mercato interno Thierry Breton vuole recuperare il terreno perso. I presupposti non sono affatto negativi. Uno dei più importanti centri di ricerca nel campo della microelettronica, l’Imec, si trova in Belgio. Il gruppo olandese Asml ha quasi il monopolio sui macchinari per uno dei passaggi centrali nella produzione dei circuiti elettronici, la fotolitografia. Sono basi su cui si potrebbe costruire. Ma non con le somme di cui parla Breton. Il commissario prevede di stanziare trenta miliardi di euro entro il 2030 per realizzare nuovi stabilimenti, mentre il governo cinese ha destinato l’equivalente di 150 miliardi di euro al settore. Per la Commissione e i governi europei c’è una sola cosa da fare: investire molti più soldi. ◆ gac

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1447 - 11 febbraio 2022
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