Udienza dopo udienza, procedono i lavori della commissione d’inchiesta del congresso statunitense sull’assalto al campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021. Il 28 giugno un’ex assistente della Casa Bianca ha abbattuto il muro di omertà eretto dai dirigenti del Partito repubblicano intorno all’ex presidente Donald Trump, regista di un tentativo di colpo di mano senza precedenti contro le istituzioni degli Stati Uniti. Cassidy Hutchinson, assistente dell’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, ha confermato la tesi della commissione: l’assalto del 6 gennaio non è stato casuale, ma un tentativo deliberato d’impedire che il congresso riconoscesse l’elezione di Joe Biden a presidente.
La deposizione di Hutchinson ha dipinto un ritratto sconvolgente di Trump, convinto sostenitore dell’uso della forza, anche a spese del suo vicepresidente Mike Pence, che rifiutò di essere complice di questa violenza. Un presidente imprevedibile, prigioniero di un rifiuto della realtà favorito da un’amministrazione alla deriva. La testimonianza ha reso ancora più evidente il silenzio di tutti gli ex collaboratori che oggi preferiscono tacere, e l’opera di sabotaggio svolta dalla leadership repubblicana al congresso, che ha cercato in tutti i modi di evitare questa indagine. I lavori della commissione dovrebbero far venire fuori il marcio, ma purtroppo non ci sono ancora riusciti. Una congiura di vigliacchi non smette di gridare alla strumentalizzazione pur di non affrontare la realtà. Preferisce continuare ad alimentare una teoria del complotto che parla di un’elezione rubata. In questo momento determinante per l’avvenire delle istituzioni del paese, e salvo rare eccezioni, il Partito repubblicano sceglie il campo dei disertori. Contrariamente alla commissione d’inchiesta sul Watergate, che aveva messo fine alla presidenza di Richard Nixon nel 1974, le udienze non sono ancora riuscite a incrinare la solidarietà di clan che regna negli Stati Uniti.
I risultati delle primarie repubblicane per le elezioni di metà mandato confermano una tendenza preoccupante. In Nevada, Texas, Michigan e Pennsylvania hanno dimostrato che fare campagna sul tema dell’elezione rubata paga. Più di un centinaio di candidati hanno già vinto grazie a questo argomento. In un certo numero di stati chiave per le presidenziali del 2024, questi candidati potrebbero ritrovarsi a supervisionare lo scrutinio, con il rischio che distorcano i risultati verso l’esito voluto. Non tutto è perduto. Forse gli statunitensi si stancheranno di quest’assurda fissazione, confinando questo culto malsano a una cerchia ristretta di persone. Poco dopo la testimonianza di Hutchinson, in Colorado i sostenitori della tesi dell’elezione rubata sono stati sconfitti. Ma fino a quando questa disapprovazione non sarà confermata, gli Stati Uniti devono temere per la salute della loro democrazia. ◆ ff