Editoriali

Dobbiamo ignorare i mondiali?

Il Qatar punta sul calcio per migliorare la sua immagine nel mondo. Un buon modo per impedirglielo è non seguire le partite

Il calcio non m’interessa più di tanto. Non m’importa se a vincere lo scudetto in Germania è il Bayern Monaco, il Werder Brema o il Gummersbach. Quindi potreste pensare che io non sappia di cosa sto parlando. Da una parte avete ragione, ma dall’altra, forse, è proprio questo che fa di me un osservatore neutrale. I fatti sono questi. Il Qatar è una monarchia assoluta con leggi che si basano principalmente sulla sharia, la legge islamica. Gli stadi in cui si giocheranno i Mondiali di calcio che cominciano il 20 novembre sono stati costruiti dai lavoratori immigrati in condizioni spesso allucinanti e con molte morti sul lavoro, come riferiscono le organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Per evitare che le partite si giochino in stadi con gli spalti vuoti, tifosi da tutto il mondo devono arrivare in aereo in questo paese desertico: il Qatar, infatti, ha meno abitanti di Berlino. Ditemi voi se non è pazzesco.

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Certo, si potrebbe obiettare che vendiamo le nostre automobili alla Cina, compriamo il gas dall’Azerbaigian e il petrolio dall’Arabia Saudita. Il mondo è quello che è, c’è poco da fare. Perché allora ci si scandalizza tanto? Questa è un’argomentazione degna di un serial killer che dice: ne ho già ammazzati tre, uno in più che differenza fa? Le ingiustizie non sono meno ingiuste se seguono altre ingiustizie. Anzi, si accumulano come l’acqua piovana in un secchio messo lì a raccoglierla. La domanda giusta allora è questa: come facciamo, in un mondo che è quello che è, a fare in modo che nel secchio si accumuli meno acqua piovana possibile? Ecco, a questo punto la faccenda diventa una questione di ottimizzazione. Se i cinesi smettessero di comprare le nostre automobili, molte persone qui in Germania perderebbero il posto di lavoro. Se non ci fosse più gas, le nostre case resterebbero fredde. E senza petrolio non avremmo la benzina. L’interruzione dei rapporti commerciali con la Cina, l’Azerbaigian o l’Arabia Saudita avrebbe dei costi per l’economia tedesca, mentre un eventuale boicottaggio dei mondiali da parte degli spettatori con tutta probabilità comporterebbe danni che le statistiche non riuscirebbero neanche a rilevare. Dal punto di vista economico questo tipo di boicottaggio sarebbe quello che si dice un low hanging fruit (il frutto al ramo più basso di un albero): insomma, il massimo guadagno con il minimo impegno.

Lusail, Qatar (Marko Djurica, Reuters/Contrasto)

Il regime qatariota spera che i mondiali siano un palcoscenico d’eccezione in termini d’immagine. E allora meno gente li guarderà meno il regime riuscirà nel suo intento. Un mondiale senza pubblico televisivo europeo – considerando il potere d’acquisto e l’entusiasmo per il calcio del vecchio continente – darebbe inoltre un segnale forte alle federazioni sportive internazionali, i cui responsabili la prossima volta magari ci penseranno due volte prima di scegliere un paese ospitante inadeguato dal punto di vista politico e ambientale come il Qatar.

E per quanto riguarda la tesi secondo cui gli eventi sportivi di portata mondiale aiuterebbero le forze liberali nei paesi autoritari che li ospitano, be’: non si è mai rivelata giusta. Dopo le olimpiadi invernali del 2014 di Sochi, in Russia, Vladimir Putin ha annesso la Crimea; dopo i giochi di Pechino dell’inverno del 2022 il presidente cinese Xi Jinping ha rafforzato la repressione dell’opposizione. Insomma, sembra vero il contrario: lo sport serve ai potenti per mettersi in mostra agli occhi dei loro cittadini come padroni di casa che godono di stima internazionale.

Sono diverse le città francesi che, in segno di protesta contro il Qatar, hanno già deciso di non proiettare sui megaschermi le partite del mondiale. È un inizio. Nelle prossime settimane, se potete, guardate altro: gare di sci, partite di pallamano, serie tv, documentari sugli animali. E per quanto riguarda il calcio, tra due anni ci saranno i campionati europei di calcio. In Germania. ◆ sk

Mark Schieritz è un giornalista economico della Zeit.

A questo punto è impossibile tornare indietro. La stampa deve raccontare l’evento mostrando i lati oscuri del paese e opponendosi a ogni tentativo di censura

Assegnare i mondiali al Qatar è stato un errore. In questi anni sarebbe stato possibile revocare la decisione, soprattutto dopo che le organizzazioni per i diritti umani e i giornalisti hanno fornito le prime prove dei maltrattamenti dei lavoratori nei cantieri per la costruzione degli stadi. Ma la Fifa, la federazione che governa il calcio mondiale, è un’organizzazione corrotta, spinta da interessi commerciali e priva di coscienza morale, e non ha mai neanche preso in considerazione questa possibilità. Forse perché, quand’era il momento, i tifosi non l’hanno messa sufficientemente sotto pressione?

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Ormai è inevitabile che i mondiali si svolgano nel deserto del Qatar, ma solo ora i sostenitori del boicottaggio chiedono di non guardarli. E invece la prospettiva va ribaltata: adesso l’importante sarà illuminare con riflettori più potenti che mai gli angoli bui del Qatar; e anche i fallimenti della Fifa, insieme agli scarpini da calcio. In quest’ottica spegnere la tv serve a poco. Certo, gli indici d’ascolto bassi danneggerebbero la Fifa, ma boicottare le partite in tv somiglia più a mettere il broncio che a fare una protesta efficace. Se vogliono ottenere qualcosa per i lavoratori sfruttati in Qatar (e altrove), i gestori dei pub farebbero meglio a proiettare le partite e a tenere in bella vista sul bancone dei contenitori per le offerte ad Amnesty international o a Human rights watch. E i tifosi, se vogliono manifestare contro il modo in cui il Qatar tratta i dissidenti e gli omosessuali, farebbero più danno alla campagna d’immagine dell’emirato se durante le partite della sua nazionale si dessero appuntamento per tenere presidi davanti alle ambasciate del paese in giro per il mondo.

Doha, Qatar (Giuseppe Cacace, Afp/Getty)

Ben venga l’impegno dei tifosi per i diritti umani, la democrazia e la diversità. Pare che la coscienza critica stia crescendo, altrimenti non si spiega perché non ci sia stata una campagna di boicottaggio simile prima dei mondiali del 2018 in Russia, a quattro anni dall’annessione illegale della Crimea. Certo, forse da allora è cresciuta soprattutto la rabbia contro la Fifa. E il Qatar si presta bene a simboleggiare una commercializzazione fuori controllo del calcio.

In ogni caso è giusto esprimere le proprie critiche e allo stesso tempo seguire i servizi sui mondiali. Perché proprio nel caso di questo campionato sarà molto importante guardare con consapevolezza il lavoro dei giornalisti e osservare le posizioni che prenderanno sportivi e funzionari in Qatar.

In questi giorni le autorità qatariote stanno cercando di imporre ai mezzi d’informazione condizioni inaccettabili. Secondo un articolo del quotidiano britannico The Guardian, per esempio, sarà vietato riprendere gli alloggi dei lavoratori immigrati. E anche gli edifici governativi, le università e la popolazione locale in casa propria. C’è solo da sperare che i giornalisti non si prestino e che rendano palesi e quindi vani i tentativi di censura, facendo informazione in modo professionale. Speriamo inoltre che rivolgano domande scomode: alla Fifa per quanto riguarda il suo ruolo e alla Federcalcio tedesca sui valori che dice di sostenere. Ci crede davvero in quei valori? Dubitarne è lecito, visto che agli ultimi campionati europei il portiere della nazionale tedesca si è presentato con la fascia da capitano nei colori della bandiera arcobaleno. E in Qatar? Meglio di no.

Un mondiale non è mai fatto solo di partite: i servizi da e sul paese ospitante si susseguono per settimane, prima e dopo le partite e anche tra una partita e l’altra. Quest’anno sarà un particolare banco di prova per le tv, ma anche per la Fifa e per il Qatar. E per la Federcalcio tedesca. Bene, teniamoli d’occhio! ◆ sk

Yassin Musharbash è il vicecaporedattore della sezione inchieste della Zeit.

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1487 - 18 novembre 2022
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