Abbiamo respirato per una settimana. Poi l’8 gennaio 2023 gli estremisti, sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro, hanno assaltato il palazzo del Planalto, il parlamento e la corte suprema a Brasília, mentre il loro capo era in Florida, negli Stati Uniti, dov’è scappato il 30 dicembre, prima della fine del suo mandato. Bolsonaro deve tornare in Brasile per essere giudicato e arrestato per i crimini commessi. E ognuna delle persone che l’8 gennaio ha partecipato alle violenze e cercato di fare un golpe dev’essere identificata e processata.

Non possiamo permettere che l’aria ci sia rubata ancora una volta. Le autorità devono fare la loro parte, e non solo loro: lottare per la democrazia è il compito di tutta la società brasiliana.

Nel suo primo discorso dopo il tentato golpe, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva (del Partito dei lavoratori, di sinistra) ha lasciato intendere che negli atti di terrorismo a Brasília sono coinvolti anche i garimpeiros (cercatori d’oro illegali) e i deforestatori dell’Amazzonia. È ragionevole pensare che il presidente avesse informazioni dai servizi di sicurezza per sostenere le sue affermazioni. Quando le indagini saranno concluse, non ci sorprenderà scoprire un legame tra i protagonisti del tentato golpe e gli invasori di terre amazzoniche, che spesso vivono negli stati del centro e del sud del paese.

Il terrorista che ha cercato di far esplodere una bomba all’aeroporto di Brasília lo scorso dicembre è un imprenditore dello stato del Pará che si occupa di combustibili fossili e trasporti nelle città amazzoniche, dove la deforestazione è maggiore. Il suo nome, ­George Washington de Oliveira Sousa, dona una nota di realismo magico all’episodio terroristico. Bolsonaro aveva avuto un’idea simile quando era capitano dell’esercito: cercò di far esplodere delle bombe nelle caserme per ottenere un aumento dei salari. Invece d’impedire a una persona del genere di occupare qualsiasi tipo d’incarico pubblico, Bolsonaro ha avuto carta bianca per continuare a commettere crimini senza problemi. Ed è diventato presidente.

Dopo il tentativo di golpe, Lula ha lasciato intendere che nelle violenze sono coinvolti i deforestatori dell’Amazzonia

Senza impunità

Bolsonaro ha incoraggiato e continua a incoraggiare attentati contro lo stato. Vigliacco come sempre, ora lo fa dagli Stati Uniti, mentre i suoi sostenitori si espongono alla vergogna e ingrossano le pagine nere della storia. Se il Brasile vuole avere un futuro, non possiamo permettere che l’impunità prevalga di nuovo. Come ha scritto il filosofo e leader nativo Ailton Krenak: “Il futuro è ora, potrebbe non esserci un domani”.

Noi giornaliste di Sumaúma usiamo la formula “dittatura imprenditoriale-militare” per riferirci al colpo di stato del 1964 che instaurò in Brasile la dittatura: ventun anni di stato d’eccezione durante i quali centinaia di civili furono arrestati, torturati, sequestrati e assassinati. Alcuni sparirono, una sofferenza senza fine per i loro familiari. Il numero di vittime tra le comunità indigene fu molto più grande: più di ottomila nativi furono uccisi durante la dittatura, la maggioranza in Amazzonia. Usiamo la formula “dittatura imprenditoriale-militare” per non dimenticare la partecipazione di una parte significativa del mondo imprenditoriale brasiliano nella distruzione della democrazia e nei crimini commessi in quel periodo. Com’è noto uno di loro, il dirigente Albert Henning Boilesen, voleva assistere personalmente alle torture. Esiste perfino un documentario sull’argomento.

Ancora una volta c’è l’appoggio degli imprenditori alle azioni violente scoppiate dopo la vittoria di Lula lo scorso ottobre e nei fatti dell’8 gennaio a Brasília. Bisogna identificare i finanziatori e gli organizzatori degli atti terroristici, giudicarli e punirli. Inoltre, è importante chiarire com’è stato possibile che un tentativo di golpe annunciato da settimane si sia potuto concretizzare senza che le autorità responsabili, a tutti i livelli, lo abbiano impedito. I golpisti sono arrivati nella piazza dei Tre poteri della capitale marciando per chilometri, dopo essersi organizzati di fronte al quartier generale dell’esercito.

Continuare a lottare

Il golpe non è riuscito, ma ha comunque ritardato le azioni e i dibattiti urgenti del paese. Perfino l’insediamento di alcuni ministri, come quello dell’attivista ambientale Sônia Guajajara al nuovo ministero dei popoli indigeni, ha dovuto essere rinviato. La situazione è catastrofica e gli attacchi dei garimpeiros nei territori yanomani, munduruku e kayapó si aggravano ogni giorno che passa. Minacciati di morte dagli invasori illegali, il leader contadino Erasmo Theofilo, la quilombola (discendente di schiavi) Nathala Theofilo e i suoi quattro bambini piccoli, si nascondono in un luogo segreto per non essere uccisi. Bolsonaro e il bolsonarismo continuano a sequestrare il nostro tempo, sottomettendoci alle loro perverse azioni quotidiane. E ci riescono. Bisogna riprendere il controllo del dibattito pubblico e della nostra quotidianità.

Su Sumaúma abbiamo ripetuto spesso che, una volta sconfitto Bolsonaro, avremmo affrontato momenti difficili. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo durante la cerimonia d’insediamento, quando Luiz Inácio Lula da Silva è stato accompagnato da Raoni, il maggior leader nativo brasiliano, e dai rappresentanti delle minoranze massacrate negli ultimi quattro anni di governo di estrema destra. Non poteva esserci simbolo migliore per la nuova epoca che è cominciata in Brasile. Ci siamo rilassati, ma non dobbiamo smettere di lottare. E dobbiamo farlo come la foresta: in piedi. Non permetteremo che ci sia amnistia per i crimini di stato. ◆ ar

Eliane Brum è una scrittrice, giornalista e documentarista brasiliana. A settembre del 2022 ha fondato il sito Sumaúma (dal nome di un grande albero amazzonico) per raccontare la crisi climatica, concentrandosi sull’Amazzonia. Vive ad Altamira, nello stato del Pará. In Italia ha pubblicato ­

Le vite che nessuno vede (Sellerio 2020).

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati