La donna indossa una toga e passa accanto alle principali attrazioni di una delle città più sottovalutate d’Italia: ecco l’antico tempio capitolino, la piazza rinascimentale. E il duomo vecchio accanto a quello nuovo. Poi esegue un trucco teatrale che renderebbe orgoglioso Ovidio, si trasforma in una statua alata, mentre una bambina esclama: “Ooh”. Lo spot pubblicitario, trasmesso dalla Rai, incoraggia gli italiani a visitare Brescia, città a metà strada tra Milano e Verona ignorata dalla maggior parte dei visitatori stranieri e il cui fascino va ricordato anche a tanti italiani.
Ritorno alla normalità
La città è nota per un’antica scultura romana che per quasi duecento anni è stata il simbolo della resilienza nei momenti di difficoltà. La restituzione di quest’opera al pubblico, dopo un lungo restauro, non poteva arrivare in un momento più adatto per una città e una regione duramente colpite dal covid-19.“La Vittoria alata è tornata. Vieni a trovarla”, proclama lo spot.
Nel 2020 l’Italia è stata il primo paese europeo a dover affrontare la pandemia di covid-19 e quello che è successo nelle città della Lombardia – in particolare a Brescia e Bergamo, una trentina di chilometri più a ovest – è stato un avvertimento al mondo di quanto sarebbe stata catastrofica.
Qui sono morte migliaia di persone e pochi italiani dimenticheranno l’immagine dei camion dell’esercito che trasportavano le bare da Bergamo verso impianti di cremazione o cimiteri lontani quando, a poche settimane dall’inizio della pandemia, gli obitori della città non potevano più ospitarle. In quella primavera gli ospedali di Brescia avevano più malati di coronavirus di qualsiasi altro posto in Europa.
È stato un periodo di “vero terrore”, ricorda il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, perché quasi tutti avevano un amico, un parente o un vicino che era morto o finito in terapia intensiva. Il covid-19 era entrato a far parte della vita delle persone. “Lo sentivi vicino”, dice il sindaco.
Sette mesi fa qui il virus era ancora una presenza opprimente: i contagi dovuti alla variante delta che spingevano di nuovo il sistema sanitario ben oltre i suoi limiti.
Oggi, mentre a livello nazionale i contagi crescono lentamente grazie alla campagna vaccinale del governo, e mentre le restrizioni imposte dal covid-19 alle attività sociali si allentano, Brescia sta vivendo un momento di “euforia postbellica”, afferma Del Bono. Le autorità locali stanno cercando di sfruttare questa euforia per promuovere una città conosciuta più per la sua produzione industriale, soprattutto macchine utensili e prodotti siderurgici, che come centro culturale. E stanno usando la Vittoria alata come attrazione per i visitatori.
“La vita sta tornando alla normalità”, ma quando si tratta di viaggiare le persone “hanno ancora bisogno di una piccola spinta”, dice Stefano Karadjov, direttore della Fondazione Brescia musei, a proposito della campagna pubblicitaria nazionale. La statua in bronzo del I secolo dC fu scoperta ancora intatta il 20 luglio 1826, durante un grosso progetto di scavi archeologici nel centro di Brescia, in un angolo di un grande tempio, dov’era stata nascosta secoli prima. La scoperta rese Brescia una meta imperdibile per i viaggiatori dell’ottocento impegnati nel grand tour europeo, e le copie della statua diventarono molto richieste da musei e collezionisti di tutto il mondo.
Dopo gli orrori e il lutto delle peggiori settimane della pandemia, i bresciani stanno ritrovando un sentimento raro: l’ottimismo
Il ritrovamento ha ravvivato l’orgoglio locale per le origini romane di Brescia. Brixia, com’era chiamata anticamente, era una fiorente cittadina, e la Vittoria alata era un faro dorato che i viaggiatori dell’antica via Gallica, strada di collegamento tra alcune delle città più importanti del nord Italia, potevano vedere già da lontano.
Quando nell’ottocento una serie di regni, stati pontifici e comuni cominciarono a scrollarsi di dosso le influenze straniere per entrare a far parte del Regno d’Italia, la Vittoria alata diventò un simbolo d’identità e un motivo d’ispirazione, soprattutto durante l’insurrezione del 1849 contro l’Austria. Il poeta Giosuè Carducci scrisse un’ode alla statua in cui definiva Brescia la “Leonessa d’Italia” per il coraggio dei suoi cittadini durante la rivolta delle dieci giornate contro la dominazione asburgica.
Quello spirito sopravvive ancora oggi, dicono i suoi cittadini. “In generale questa è una città di persone che non si arrendono”, dice Nicola Albarelli, proprietario di un negozio di giocattoli sulla strada che porta all’ospedale principale di Brescia. Un tratto che nei primi tre mesi della pandemia le ambulanze percorrevano quasi senza sosta a grande velocità. Nel 1998 la statua era stata già esposta in un museo cittadino, ma il restauro completato nel 2020 è diventato l’occasione per riportare la scultura nel parco archeologico e metterla più in evidenza. Quando il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha visitato Brescia lo scorso maggio, nel suo primo viaggio fuori Roma dopo che la terza ondata della pandemia ha cominciato a rallentare, ha scelto di parlare da un podio all’interno del parco archeologico per offrire parole di speranza alla città e alla nazione ferite. “Questo è il tempo del rilancio, anche in onore di coloro che sono rimasti vittime, è il tempo della ripresa, del pensare e progettare il futuro. E sono lieto di poterlo sottolineare qui”, dove si festeggia il restauro della Vittoria alata, ha detto Mattarella.
Capitale della cultura
Immagini e omaggi alla statua sono in tutta la città. Il principale centro di vaccinazione di Brescia trasmette in continuazione il video del restauro per aiutare i cittadini a passare il tempo mentre aspettano. L’artista italiano Emilio Isgrò ha realizzato una monumentale installazione con la Vittoria alata per una delle stazioni della metropolitana di Brescia inaugurata nel 2020. E dall’estate il sito archeologico ospita una mostra di opere dell’artista contemporaneo bresciano Francesco Vezzoli, tra cui la sua versione di una statua più nota della Vittoria alata: la Nike di Samotracia del Louvre.
Il rilancio culturale avrà un’ulteriore spinta nel 2023, quando Brescia e Bergamo si divideranno il titolo di capitale italiana della cultura, dopo che altre città si sono ritirate dalla gara durante la pandemia per incoronare all’unanimità le due città lombarde. “È stato un gesto di grande solidarietà e generosità da parte dei sindaci di altre città”, dice Del Bono.
Dopo gli orrori e il lutto delle peggiori settimane della pandemia, i bresciani stanno ritrovando un sentimento raro: l’ottimismo. “C’è un desiderio vero di andare avanti”, dice Monica Ferrata, che lavora in una libreria a conduzione familiare. Anche se i giorni e le notti in cui “il lamento delle sirene delle ambulanze sembrava non fermarsi mai” continuano a perseguitarla, dice, l’umore della città è positivo. “Ho una bella sensazione”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati