Dalla prima volta che arrivò sulla scena, quasi vent’anni fa, con il suo primo romanzo sulla sua esperienza di lavoro in un call center, che in seguito ha ispirato il film Tutta la vita davanti, Michela Murgia è stata un personaggio pubblico e un parafulmine per il dibattito politico in Italia.
Scrittrice, intellettuale e attivista per i diritti civili, ha criticato esplicitamente lo spostamento a destra dell’Italia in un momento in cui i partiti di sinistra sembravano aver perso la voce. Michela Murgia era una femminista e una paladina dei diritti civili, che invitava ad accettare le famiglie non tradizionali in un paese in cui i partiti al governo promuovono una visione conservatrice della società.
Libertà e femminismo
Prima di morire, il 10 agosto 2023, a 51 anni, ha detto ai suoi amici di volere che il suo funerale fosse aperto a tutti. E centinaia di persone hanno raccolto l’invito. Persone appartenenti a tutti i ceti sociali – banchieri in pensione, impiegati d’albergo, traduttori, studenti – sono andate a rendere omaggio a “un simbolo di libertà e femminismo le cui parole dovrebbero essere trasformate in azioni”, ha detto Maria Luisa Celani, che lavora nel cinema ed era tra la folla radunata davanti alla basilica di Santa Maria in Montesanto, conosciuta come la chiesa degli artisti, nella centralissima piazza del Popolo a Roma. Murgia ha ispirato queste persone con i suoi romanzi e nei dibattiti pubblici, e le ha commosse raccontando i suoi ultimi giorni sui social network. Dopo aver annunciato di avere un cancro al rene al quarto stadio, durante un’intervista dello scorso maggio pubblicata sul Corriere della Sera, Murgia aveva parlato apertamente della sua malattia e dell’importanza di vivere la vita al massimo, senza paura.
Alcune delle persone presenti al funerale avevano bandiere o ombrelli arcobaleno, per ricordare la campagna di Murgia per i diritti lgbt+. Altre avevano delle copie dei suoi libri con le pagine consumate. Molte, tra la folla che ha intasato le strade verso la piazza e ha costretto la polizia municipale a deviare il traffico, hanno seguito sul telefono la diretta del funerale, trasmessa dai siti dei principali quotidiani. I social network sono stati sommersi da condoglianze e riconoscimenti. “Era una persona speciale e meritava un saluto speciale”, ha detto Patrizia Mosca, una funzionaria statale appena andata in pensione, che di solito non partecipa a funerali pubblici, “nemmeno quelli dei papi”. Ma Murgia era diversa. “Volevo esserci per questa bella persona”, ha detto. Anche molta gente che non condivideva le sue opinioni le ha reso omaggio, come la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, il cui partito affonda le radici nel fascismo. Su Twitter (che oggi si chiama X), l’ha definita “una donna che combatteva per difendere le sue idee, seppur notoriamente diverse dalle mie, e di questo ho grande rispetto”. Murgia aveva infatti spesso criticato le politiche dell’attuale governo, che riteneva tipiche di un “regime fascista”.
A luglio la scrittrice aveva annunciato di aver sposato l’attore e regista Lorenzo Terenzi in articulo mortis, cioè in punto di morte, per motivi legali. Secondo la legge italiana, i suoi consanguinei avrebbero ereditato i suoi beni e sarebbero stati responsabili delle future decisioni sui suoi lavori inediti. Anche se Murgia non era in conflitto con la famiglia, sposando Terenzi si è assicurata che le sue volontà sarebbero state rispettate, hanno detto gli amici. “Se ci fosse stato un altro modo per garantire i diritti reciproci, non avremmo mai fatto ricorso a uno strumento così patriarcale e limitato”, aveva scritto Murgia su Instagram. Qualche giorno dopo, Vogue Italia ha pubblicato le foto del ricevimento di nozze, al quale hanno partecipato gli amici più cari. Anche lei aveva pubblicato le foto della cerimonia su Instagram. “Le persone, prima di tutto. Il resto sono solo chiacchiere”, aveva scritto.
In una lunga intervista video con Vanity Fair dello scorso maggio, aveva descritto la famiglia tradizionale basata sui legami di sangue come un residuo del patriarcato. La sua idea di famiglia era ibrida, un patto sociale tra persone che sceglievano di vivere insieme. L’aveva definita una famiglia queer, che nel suo caso comprendeva quattro giovani che considerava suoi figli e una manciata di amici. In questo senso, ha detto Alessandro Giammei, un componente di quella famiglia, che insegna a Yale, “Queering significa superare quello che l’eterosessualità come paradigma, come unica opzione, fa all’intera società e alla totalità delle storie che raccontiamo”. Era un modello che Murgia aveva esplorato anche nei suoi racconti e romanzi.
L’abito da sposa di Murgia – disegnato da Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della casa di moda Dior – era stato decorato con la scritta God save the queer (Dio salvi i queer), che è anche il titolo di un libro del 2022 in cui la scrittrice sarda si chiedeva se fosse possibile essere femministe all’interno della chiesa cattolica romana patriarcale. Murgia non aveva mai perso la fede in questo: “Come cristiana, penso che la fede abbia bisogno anche di una prospettiva femminista e queer”, aveva scritto. Anche il suo saggio Ave Mary (Einaudi 2011) era incentrato sul ruolo delle donne nella chiesa. E il 10 agosto il quotidiano della conferenza episcopale italiana Avvenire ha reso omaggio a Murgia, definendola una “scrittrice di talento e una credente inquieta”. Ma era probabilmente più conosciuta per il suo attivismo politico.
Originaria della Sardegna, nel 2014 si era candidata a governatrice della regione dov’era nata. Non era stata eletta, ma non aveva mai rinunciato al suo impegno politico. Quattro anni dopo aveva scritto Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi 2018), un volume satirico sulla politica di destra contemporanea.
Al funerale, Luciano Capponi, impiegato di banca, ha detto che la mobilitazione della scrittrice “a favore di chi è diverso” era necessaria “in un paese come il nostro”.
Raccogliere la sua bandiera
Nel suo ultimo libro, Tre ciotole (Mondadori 2023), una raccolta di racconti che si intrecciano in un romanzo, Murgia ha parlato della malattia. “Ha deciso di fare della sua morte non solo un gesto letterario ma un gesto politico”, ci ha detto al telefono Aldo Cazzullo, il giornalista del Corriere della Sera che l’aveva intervistata a maggio. “Probabilmente la maggioranza degli italiani non era d’accordo su tutto quello che diceva”, ha aggiunto Cazzullo, “ma in qualche modo questo suo grido per rivendicare la libertà di amare non è caduto nel vuoto. È una bandiera che sarà raccolta dalla nuova generazione”.
Quando la bara di Murgia è uscita dalla chiesa, le campane hanno suonato e si è alzato un lungo e caloroso applauso. Mentre il carro funebre si allontanava, la folla ha intonato Bella ciao, l’inno al movimento di resistenza partigiana della seconda guerra mondiale. Diverse persone piangevano. Lo scorso maggio, alla presentazione di Tre ciotole al salone del libro di Torino, Murgia aveva detto che stava vivendo un momento di grande libertà. “Non ho più limiti”, aveva detto, e aveva aggiunto “Tanto che fanno, mi licenziano?”. E aveva consigliato ai presenti: “Non aspettate di avere il cancro per fare la stessa cosa”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati