Leigh Bowery
Tate Modern, Londra
Non è un caso che nel titolo ci sia un punto esclamativo: Leigh Bowery! alla Tate Modern (dal 27 febbraio al 31 agosto) è la prima grande mostra a presentare l’opera multidisciplinare e la vita troppo breve dell’artista di Sunshine, sobborgo di Melbourne in Australia, che ha superato in stranezza la colorata scena dei club londinesi degli anni ottanta. Bowery è conosciuto soprattutto per i suoi costumi favolosi e bizzarri: occhi sporgenti e sorrisi dipinti, parrucche, maschere abbaglianti, corsetti barocchi, zeppe torreggianti, pvc, accessori bondage, tulle, piume… Qualsiasi cosa venga in mente, lui l’ha indossata.
Questo stile all’avanguardia, sfoggiato da Bowery nei locali più ricercati e devianti di Londra (incluso il celebre e “polisessuale” club Taboo, dove l’artista incontrava Boy George, John Galliano e George Michael), ha influenzato molte sfilate d’alta moda dopo la sua morte nel 1994, a 33 anni, per una malattia correlata all’aids. Persona brillante ed eclettica, Bowery si è cimentato con performance, arte dal vivo, danza, musica, servizi fotografici, tv e promozione di locali notturni. La sua personalità non aveva confini, arte e vita erano una sola cosa. La mostra della Tate Modern considera tutte queste sfaccettature e promette un viaggio meraviglioso e selvaggio attraverso l’opera rivoluzionaria dell’artista.
Suzanne Valadon
Centre Pompidou, Parigi
Prima di turbare il pubblico parigino di fine ottocento come prima artista europea a dipingere un nudo maschile a figura intera, Suzanne Valadon lavorava come cameriera, allestiva corone di fiori per funerali, vendeva verdure e volteggiava in aria come acrobata da circo. Una caduta mise fine alla sua carriera sul trapezio quando aveva quindici anni. Cominciò così a frequentare gli studi più importanti di Montmartre, dove fece da modella per maestri impressionisti come Edgar Degas, Berthe Morisot, Pierre-Auguste Renoir, Henri de Toulouse-Lautrec e altri.

Fu Degas a incoraggiare Valadon a prendere in mano un pennello e passare dall’altra parte della tela, mentre a darle il soprannome di Suzanne (il suo nome era Marie-Clémentine) fu Toulouse-Lautrec, alludendo alla fanciulla citata nella Bibbia spiata da due vecchi lascivi mentre faceva il bagno nel suo giardino. Valadon si appropriò del nome e divenne l’autrice, anziché il soggetto, di centinaia di sorprendenti ritratti. I più interessanti sono le sue donne: padrone di sé e distese, non idealizzate e incuranti di essere osservate. Il Centre Pompidou ha allestito una vasta retrospettiva (dal 15 gennaio al 26 maggio) che aiuta a comporre un ritratto della coraggiosa e pionieristica vita privata di Valadon.
The angel of history
Bode Museum, Berlino
L’artista svizzero Paul Klee ha dipinto molti angeli nel corso della sua vita. Ascendenti, discendenti, servitori, piangenti, smemorati, vigili, dubbiosi, pieni di speranza. Il più famoso, però, è il suo Angelus novus dipinto nel 1920, noto come Angelo della storia, nome che gli diede il filosofo Walter Benjamin, proprietario dell’unica stampa dell’opera. Benjamin scrisse che l’angelo – un serafino dai capelli ricci dipinto nei toni del seppia con le braccia alzate in segno di gioia o di allarme – volge il viso al passato mentre viene spinto verso il futuro da una tempesta troppo forte perché possa liberarsi a colpi d’ala: la tempesta del progresso.
Klee e Benjamin morirono entrambi nel 1940: Klee, apolide e affetto da sclerodermia, una rara malattia autoimmune, disegnò angeli fino ai suoi ultimi giorni. Benjamin morì suicida temendo di essere catturato dai nazisti al confine tra la Francia e la Spagna. Al Bode Museum, alla mostra intitolata The angel of history (dall’8 maggio al 13 luglio) si potrà ammirare l’Angelus novus insieme ad altri dipinti, colpiti da danneggiamenti e disastri come il San Matteo e l’angelo di Caravaggio (1602), distrutto a Berlino nel 1945, e alcune sequenze dal film di Wim Wenders Il cielo sopra Berlino, del 1987, in cui due angeli pensierosi rivolgono lo sguardo verso la città divisa.
Anselm Kiefer
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Stedelijk e Van Gogh Museums,Amsterdam
Sag mir wo die Blumen sind (Dimmi dove sono i fiori), implora il poetico titolo dell’imponente mostra dedicata ad Anselm Kiefer che coinvolgerà due delle più prestigiose istituzioni museali di Amsterdam, lo Stedelijk museum e il Van Gogh museum (dal 7 marzo al 9 giugno). Il titolo viene dalla versione tedesca della ballata popolare contro la guerra di Pete Seeger, Where have all the flowers gone?, resa celebre da Marlene Dietrich a un gala Unicef del 1962. La mostra propone lavori vecchi e nuovi di Kiefer, la cui opera fa i conti con la memoria, le rovine, la storia, la guerra, la mitologia e il paesaggio.
Una nuova installazione di 25 metri, Site specific, occuperà la scalinata principale dello Stedelijk, mentre nel resto del museo saranno esposte le opere di Kiefer più recenti, mai viste prima e altre considerate capisaldi della sua pluridecennale carriera artistica.
A due minuti a piedi, il museo Van Gogh si concentrerà sulla relazione tra Kiefer e la vita e l’opera di Vincent van Gogh, affiancando i lavori dei due artisti, compresi i loro numerosi dipinti di fiori: girasoli che rappresentano la vita e la morte, la prosperità e la decadenza, con l’arte come ponte eterno tra i due.
James Turrell

Aros; Aarhus, Danimarca
Se pensate che nella vostra vita non visiterete mai il Roden crater, l’opera di James Turrell che si trova nel mezzo del deserto dell’Arizona, potete sempre arrivare ad Aarhus, in Danimarca, a meno di tre ore di treno da Copenaghen, dove l’artista sta per svelare The dome, a skyspace, una nuova installazione permanente presso l’Aros Aarhus Kunstmuseum, che sarà inaugurata nel corso del 2025.
Il vasto ambiente, alto quindici metri e largo quaranta, è in costruzione da più di dieci anni. Una volta terminato, sarà il più ambizioso degli “skyspaces” di Turrell: ambienti totali, semplici nella struttura (contengono solo posti a sedere, luci e una finestra sul cielo in alto), ma incredibili nel loro potere di alterazione della percezione. All’Aros, i visitatori entreranno in un’enorme cupola attraverso una serie di corridoi tortuosi immersi in una luce dorata. Dopo essere arrivati nello spazio a volta, con in cima una specie di occhio gigante, potranno restare in piedi, sedersi o sdraiarsi a terra a osservare un raggio di luce naturale che attraversa l’ambiente mentre le pareti cambieranno colore, colpite dalla luce artificiale: rosa, blu, verde e bianco. Ogni diversa sfumatura cambierà la relazione con il cielo. Bisogna vederlo per crederci.
When we see us: a century of black figuration in painting
Bozar, Bruxelles
Fresca della nomina di curatrice della Biennale d’arte di Venezia 2026, Koyo Kouoh porterà la sua mostra When we see us: a century of black figuration in painting, al Bozar di Bruxelles (dal 7 febbraio al 10 agosto). La curatrice di origine camerunense e la sua squadra dello Zeitz Mocaa, il museo di Città del Capo che ha diretto dal 2019, hanno messo insieme una mostra molto ricca e varia con opere di più di centoventi artisti accomunati dall’interesse per le persone africane e della diaspora che sono state rappresentate nel secolo scorso. Il titolo della mostra s’ispira alla serie Netflix del 2019 di Ava Duvernay sui Central park five, un gruppo di adolescenti neri e latinos ingiustamente accusati di stupro e aggressione nel 1989. Ma se il titolo di Duvernay parlava di “loro” – When they see us – Kouoh lo sostituisce con “noi”, invitando anche lo spettatore ad abbracciare questo punto di vista. L’allestimento è diviso per temi, come sensualità, spiritualità, gioia, euforia ed emancipazione. Ognuno tra il pubblico potrà trovare alcuni nomi familiari (nel mio caso, ne approfitto ogni volta che posso vedere il lavoro del sudanese Ibrahim El-Salahi, un modernista innovatore), ma è senza dubbio la grande quantità di artisti esposti a esercitare il richiamo più forte.

Biennale architettura
Venezia
Carlo Ratti, direttore della diciannovesima Mostra internazionale di architettura di Venezia, porta nella città intelligens (dal 10 maggio al 23 novembre), una mostra che s’interroga su come l’architettura possa sfruttare l’intelligenza naturale, artificiale e collettiva per combattere il cambiamento climatico. “Per affrontare un mondo in fiamme, l’architettura deve riuscire a sfruttare tutta l’intelligenza che ci circonda”, ha detto Ratti, aggiungendo che il settore delle costruzioni contribuisce molto alle emissioni di gas serra e deve rinnovarsi. È troppo tardi? Accanto ai lavori che metteranno in luce alcune possibili soluzioni – dal rilancio di pratiche edilizie tradizionali all’intelligenza artificiale che risparmia invece di consumare energia – la Biennale di architettura 2025 punta a rispecchiare il proprio “manifesto dell’economia circolare”, riducendo gli sprechi e concentrandosi sulla sostenibilità. La mostra sarà corredata da ventinove padiglioni nazionali, che è lecito prevedere (e perfino sperare) seguiranno l’esempio della mostra guardando al futuro, qualunque esso sia.
Cézanne
Musée Granet, Aix-en-Provence, Francia
Che lo sappiate o no, l’avete visto almeno in parte in decine di dipinti di Paul Cézanne: il Jas de Bouffan, un grande maniero di campagna appena fuori Aix-en-Provence, che il padre dell’artista acquistò nel 1859. La maestosa dimora del settecento, con la facciata color crema, le persiane blu e il tetto spiovente con tegole di terracotta, è il luogo dove Cézanne lavorò per quarant’anni e appare in molti dei suoi dipinti: da vicino, da lontano, nascosta dalla penombra di un boschetto. A volte i quadri mostrano una vista dalla casa, viali di castagni, sentieri ombrosi e campi dorati. Altre volte la casa è lo sfondo in cui l’artista ritrae i suoi amici, oppure i terreni della dimora sono lo spunto per scorci immaginari, per esempio bucolici raduni di bagnanti nudi. Quest’estate al Musée Granet, la mostra Cézanne au Jas de Bouffan (dal 28 giugno al 12 ottobre) riunirà cento dipinti, disegni e acquerelli che esplorano lo speciale rapporto dell’artista con la sua casa natale e con i suoi dintorni nel sud della Francia. Nell’ambito di un tributo a Cézanne da parte della città di Aix-en-Provence, sarà inoltre possibile visitare la casa restaurata e l’ultimo studio del pittore, Les Lauves, dove lavorò dal 1901 fino alla sua morte nel 1906.
Angelico
Palazzo Strozzi e Museo di San Marco,Firenze
Dopo la sua morte avvenuta nel 1455, il pittore noto come Fra Angelico fu venerato come Beato Angelico. Nelle sue Vite, il Vasari descrive questo artista capace di dipingere delicate e luminose scene religiose con “raro e perfetto talento” che era inoltre “umilissimo e modesto in tutto ciò che fece e disse, e le cui immagini erano dipinte con grande facilità e pietà”.
Come accade spesso per gli artisti italiani degli inizi del quindicesimo secolo, conosciamo solo stralci della biografia di Beato Angelico: nato Guido di Pietro intorno al 1395, entrò nell’ordine domenicano da giovane, fu probabilmente formato come miniatore e spostato più volte di monastero in monastero. Ma la sua produzione fu vasta e diventò presto famoso per la sua sorprendente padronanza della prospettiva e per le sue figure eteree rivestite d’oro. Angelico (dal 26 settembre al 25 gennaio 2026), un progetto congiunto di Palazzo Strozzi e del Museo di San Marco (che comprende un monastero domenicano ancora attivo dove si trovano gli affreschi più famosi del Beato Angelico), riunisce insieme opere del pittore devoto delle quali si erano perse le tracce per più di duecento anni. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati